La prescrizione matura anche nel periodo intercorrente tra la sentenza di primo grado e il decreto che fissa il giudizio di appello.
La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 40531/2025 (allegata al post) accoglie il motivo prospettato dalla difesa e sottolinea che è pacifico che il termine di prescrizione non matura prima della decorrenza del termine lungo, previsto dall’art.161, comma secondo, cod. pen., soltanto nel caso in cui tra un atto interruttivo e il successivo non sia interamente decorso il termine ordinario previsto dall’art.157 cod. pen. (Sez.5, n.51475 del 4/10/2019, G., Rv.277853; Sez.2, n.20654 del 23/04/2014, Ndiaye, Rv.259583-01).
Nella specie tra i due atti interruttivi, individuati nella sentenza di primo grado e nel decreto dispositivo del giudizio in appello, correttamente indicati dal ricorrente, intercorre un periodo silente di oltre dodici anni, pari al doppio dei termine previsto dall’art.157 cod. pen. e superiore allo stesso termine massimo conteggiato ai sensi dell’art.161 comma 2 cod. pen. senza che, medio tempore, si siano verificate eventuali sospensioni rilevanti ai sensi dell’art.159 cod. pen.
Sottolineo che è stato un risultato che mi ha fatto piacere umanamente perché ha evitato, ad una persona completamente cambiata, di entrare in carcere a distanza di oltre 13 anni dai fatti.
Fatti che sembrano distanti un’era geologica e così è anche per quell’uomo di 48 anni, ormai marito, padre e lavoratore, al quale lo Stato presenta il conto da pagare per colpe che non lo “descrivono” più, perché appartengono a un ragazzo di un tempo lontano.
Ma che razza di giustizia è questa?
