Nomine di magistrati decise con spirito goliardico e prassi non commendevoli: nessun illecito disciplinare (Riccardo Radi)

Nomine di magistrati espresse spesso in un gergo goliardico e facendo riferimento a prassi associative non commendevoli” ma, c’è sempre un ma nelle sentenze della sezione disciplinare del CSM “non erano tuttavia finalizzate, nell’intento del dott. NOME 1, a manipolare le scelte consiliari”.

Prendi una sentenza della sezione disciplinare del CSM, la numero 93/2024 (allegata al post), leggila e poi rispondi alla domanda: siamo convinti che è tutta petulante autopromozione dei magistrati a caccia di incarichi direttivi per sé o altri?

Non commenteremo la sentenza ma ci limitiamo a riportare brevemente il fatto e la decisione poi, se vorrete, leggetela per intero.

Fatto:

Il presente procedimento disciplinare trae origine dall’estrazione, in altro procedimento, di alcuni messaggi dal telefono cellulare in uso al dott. NOME 3, tra i quali emergevano conversazioni con il dott. NOME 1, magistrato in servizio presso la Procura della Repubblica del Tribunale di UFF 1, in qualità di Procuratore della Repubblica.

In data 4 settembre 2020 veniva pertanto disposta dalla Procura Generale presso la Corte di cassazione la separazione degli atti mediante la formazione di autonomo fascicolo contenente copia dei predetti messaggi, tratti dalla messaggistica WhatsApp e dalla messaggistica iPhone.

Il successivo 8 settembre 2020, il PG presso la Corte di cassazione promuoveva azione disciplinare nei confronti del dott. NOME 1, con conseguente instaurazione del procedimento n. 93/2020D.

In particolare, venivano contestati al magistrato gli illeciti disciplinari di cui agli artt. 1 e 2, lett. d) del d.lgs. 109 del 2006 perché, in violazione dei doveri di correttezza, di leale comportamento e di riserbo gravanti sui magistrati, quale Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di UFF 1, candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio di Presidenza della UFF 2 del 2018, al fine di assicurarsi l’elezione al citato Consiglio di Presidenza e di rafforzare la corrente di appartenenza CORRENTE 1, pretendeva e otteneva dal dott. NOME 3, allora membro togato del UFF 3 e appartenente alla medesima corrente, di interloquire e di esprimere il proprio assenso o dissenso sulle pratiche consiliari in grado di avere ripercussioni sulla sua campagna elettorale, ovvero sulle decisioni che in grado di rafforzare o indebolire il prestigio di CORRENTE 1 e, conseguentemente, il suo gradimento personale presso il corpo elettorale di riferimento.

Si contestava come le interlocuzioni avessero interferito indebitamente sui procedimenti amministrativi relativi alla copertura dei posti direttivi o semi-direttivi ovvero sul conferimento di altri incarichi relativi a vari Uffici giudiziari, ledendo gravemente il prestigio della magistratura e lo stesso organo di autogoverno e, soprattutto, ponendo in essere comportamenti gravemente scorretti nei confronti dei colleghi aspiranti agli incarichi oggetto della sua attenzione, in quanto potenzialmente in grado di alterare i procedimenti di selezione dei candidati maggiormente idonei a ricoprire gli incarichi messi a concorso, sbilanciando gli stessi procedimenti a favore del concorrente gradito dal dott. NOME 1, con corrispondente rilevante pregiudizio per gli aspiranti pretermessi.

Nel capo di incolpazione si rinviava “a fini meramente esemplificativi e non esaustivi” alla lettura dei messaggi tratti dall’archivio WhatsApp del telefono sequestrato a NOME 3, scambiati con il dott. NOME 1, in condivisione con il dott. NOME 4, nel periodo intercorrente tra il giugno 2017 e il 24 settembre 2018, data di cessazione dall’incarico di membro del UFF 3 del dott. NOME 3.

Decisione

In conclusione, per quanto concerne la chat in esame, deve essere escluso l’addebito, atteso che non sono emerse evidenze di pressioni improprie tali da integrare la gravità della scorrettezza richiesta dalla norma contestata all’incolpato.

Se da un lato è vero che sembra emergere una generica forma di interessamento da parte dell’NOME 1, essa rappresenta al più un comportamento scorretto, ma non anche caratterizzato da “gravità”, elemento fondamentale e costitutivo richiesto dalla norma richiamata nell’incolpazione in alternativa alla reiterazione, non ravvisabile nel caso in esame.

Concludendo, le conversazioni riportate nel capo di incolpazione, valutate sia complessivamente che singolarmente, conducono ad escludere l’addebito disciplinare.

Invero, l’istruttoria espletata ha restituito il quadro di una serie di conversazioni tra persone avvinte da legami di natura amicale, che, sebbene avessero ad oggetto discorsi attinenti alle nomine di magistrati espresse spesso in un gergo goliardico e facendo riferimento a prassi associative non commendevoli, non erano tuttavia finalizzate, nell’intento del dott. NOME 1, a manipolare le scelte consiliari alterando il regolare svolgimento delle procedure, non risultando, per l’effetto, che l’incolpato abbia mai posto in essere comportamenti gravemente o reiteratamente scorretti.

Ne deriva che il dott. NOME 1 deve essere assolto per insussistenza dell’addebito contestatogli.

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