La Cassazione penale sezione 6 con la sentenza numero 40969 depositata il 19 dicembre 2025 (allegata al post) ha esaminato il seguente quesito, il tema che il ricorso pone è se il rimedio dell’opposizione, inserito nella parte del codice di rito destinata alla disciplina dei mezzi di ricerca della prova (art. 252-bis cod. proc. pen.) e dell’attività a iniziativa della polizia giudiziaria (art. 352 cod. proc. pen.), sia riferibile alla sola perquisizione “processuale”, volta alla ricerca del corpo del reato o di cose pertinenti al reato, che, dunque, presuppone una previa acquisizione ed iscrizione della notizia di reato, o sia esperibile anche in caso di perquisizione “preventiva” quale quella eseguita nel caso in esame, perquisizione che, di contro, non presuppone la commissione di un reato e, dunque, prescinde dall’acquisizione della notizia di reato.
La Suprema Corte ha affermato che anche nei confronti del decreto di convalida della perquisizione preventiva, ossia eseguita d’iniziativa della polizia giudiziaria a prescindere dall’avvenuta iscrizione della notizia di reato, è ammissibile l’opposizione, ex art. 352 comma 4-bis, cod. proc. pen., ad opera delle persone nei cui confronti la perquisizione stessa sia stata disposta o eseguita, a condizione che ad essa non abbia fatto seguito un provvedimento di sequestro, anche ai soli fini amministrativi, di quanto rinvenuto.
Va, innanzitutto, premesso che il d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 ha introdotto il rimedio dell’opposizione avverso il provvedimento di perquisizione al quale non sia seguito il sequestro (si tratta dell’art. 252-bis cod. proc. pen., con riferimento al decreto emesso dal pubblico ministero, e del comma 4-bis dell’art. 352 cod. proc. pen., con riferimento alla perquisizione eseguita dalla polizia giudiziaria e convalidata dal pubblico ministero).
Come emerge dalla relazione illustrativa della citata riforma, l’obiettivo perseguito dal legislatore è stato quello di colmare il vuoto di tutela dell’ordinamento processuale penale italiano messo in luce dalla Corte EDU con la sentenza del 27 settembre 2018, Brazzi c. Italia, che ha ritenuto l’Italia responsabile per aver violato l’art. 8, par. 2, CEDU, in una fattispecie in cui il ricorrente si era lamentato di non aver potuto beneficiare di alcun controllo giurisdizionale preventivo o a posteriori nei confronti di una perquisizione disposta in indagini a seguito della quale non era stato sequestrato alcun bene.
E’ stato, così, disegnato un sistema processuale fondato sulla coesistenza di due rimedi impugnatori: il riesame, nel caso in cui alla perquisizione sia seguito il sequestro, e l’opposizione, nell’ipotesi in cui, invece, alla perquisizione non sia seguita la misura cautelare reale.
Sia l’art. 252-bis che il comma 4-bis dell’art. 352 cod. proc. pen. si aprono, infatti, con la clausola di riserva che definisce chiaramente il perimetro dell’opposizione, con riferimento alla perquisizione non seguita dal sequestro, e i soggetti legittimati alla sua proposizione, ovvero l’indagato e la persona nei cui confronti la perquisizione è stata eseguita o disposta.
Le due norme non specificano espressamente i motivi per cui può essere proposta l’opposizione, ma dal terzo comma dell’art. 252-bis (al quale rinvia l’art. 352, comma 4-bis), ove si prevede che il giudice accoglie l’opposizione se accerta che è stata disposta fuori dai casi previsti dalla legge, può desumersi che i vizi deducibili sono solo quelli che attengono alla sussistenza o meno dei presupposti previsti dalla legge per l’esecuzione della perquisizione, la cui assenza rende arbitraria l’ingerenza nelle libertà del singolo (cfr. Sez. 1, n. 24786 del 12/3/2024, Akid, in motivazione).
Il tema che il ricorso pone è se il rimedio dell’opposizione, inserito nella parte del codice di rito destinata alla disciplina dei mezzi di ricerca della prova (art. 252-bis cod. proc. pen.) e dell’attività a iniziativa della polizia giudiziaria (art. 352 cod. proc. pen.), sia riferibile alla sola perquisizione “processuale”, volta alla ricerca del corpo del reato o di cose pertinenti al reato, che, dunque, presuppone una previa acquisizione ed iscrizione della notizia di reato, o sia esperibile anche in caso di perquisizione “preventiva” quale quella eseguita nel caso in esame, perquisizione che, di contro, non presuppone la commissione di un reato e, dunque, prescinde dall’acquisizione della notizia di reato.
Secondo il provvedimento impugnato, infatti, il rimedio dell’opposizione riguarderebbe solo le perquisizioni processuali in quanto siffatta conclusione appare coerente con la finalità perseguita dal legislatore di colmare il vuoto di tutela riscontrato da Corte EDU, Brazzi c. Italia.
Secondo la cassazione, tale conclusione non può essere condivisa.
In primo luogo, va considerato che né l’art. 252-bis né il comma 4-bis dell’art. 352 contengono uno specifico riferimento che consenta di escludere le perquisizioni preventive dal novero degli atti impugnabili.
Tale non può, infatti, considerarsi l’indicazione, tra i soggetti legittimati, della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, elemento, questo, che potrebbe far propendere per la limitazione del rimedio nei termini sostenuti nel provvedimento impugnato.
Tale dato, tuttavia, viene neutralizzato dalla successiva indicazione, sempre tra i soggetti legittimati alla proposizione del rimedio, della persona nei cui confronti è stata eseguita o disposta la perquisizione, sintagma, questo, riferibile indifferentemente tanto alle perquisizioni preventive che a quelle processuali.
Va, inoltre, considerato che, sebbene le perquisizioni di carattere preventivo prescindano dall’acquisizione di una notizia di reato e siano riconducibili all’attività «della polizia di sicurezza» (così afferma la Corte costituzionale nella sentenza n. 252 del 2020), una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata del rimedio in esame impone di individuarne il perimetro di operatività con riferimento a tutte le operazioni di perquisizione, ivi comprese quelle di carattere preventivo.
Come chiarito dalla Corte costituzionale, il comune denominatore di tali perquisizioni e ispezioni “speciali” è l’intento legislativo di apprestare strumenti di contrasto di determinate forme di criminalità maggiormente incisivi di quelli prefigurati in via ordinaria dal codice di procedura penale, attraverso l’attribuzione alla polizia giudiziaria di poteri più ampi rispetto a quelli codificati.
Privilegiare, dunque, una soluzione che escluda dai soggetti legittimati a proporre tale rimedio coloro nei cui confronti è stata eseguita una perquisizione di carattere “preventivo” implicherebbe una evidente frizione con gli artt. 24 Cost. e 8 CEDU, oltre che una disparità di trattamento e una irragionevolezza della disposizione processuale che, di fatto, a fronte della esecuzione di un atto di perquisizione connotato da pari invasività nella sfera privata di chi lo subisce, verrebbe a differenziare la possibilità di accesso o meno al rimedio impugnatorio in ragione del solo dato dell’avvenuta acquisizione della notizia di reato.
A sostegno della esperibilità del rimedio dell’opposizione anche avverso il provvedimento di convalida della perquisizione preventiva, va considerato che la cassazione, in una delle prime pronunce sul tema, ha esaminato proprio un ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto dell’opposizione proposta avverso la convalida della perquisizione eseguita dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 41 T.U.L.P.S. (Sez. 1, n. 24786 del 12/03/2024, Akid, Rv. 286657).
In tale pronuncia la Suprema Corte ha affermato che, ai fini della valutazione sulla legittimità della perquisizione, il giudice deve basarsi sulle sue risultanze e sull’atto che le illustra – che, nel caso di perquisizione ad iniziativa della polizia giudiziaria, è appunto il verbale delle operazioni – oltre che sugli eventuali atti a corredo, che il pubblico ministero abbia ritenuto di trasmettere a giustificazione dell’impiego del mezzo di ricerca della prova.
Ha, inoltre, aggiunto che la decisione sulla messa a disposizione di ulteriori atti, ivi compresa l’acquisizione della notizia di reato, è rimessa alla discrezionalità del pubblico ministero in quanto, oltre a non essere prevista dal codice di rito, finirebbe per imporre alla parte pubblica una discovery incompatibile con la fase processuale in corso e ciò, a maggior ragione, con riferimento alla perquisizione eseguita ai sensi dell’art. 41 T.U.L.P.S. che non presuppone l’esistenza di una notizia di reato.
La diversa conclusione, qui affermata, in merito alla proponibilità del rimedio dell’opposizione anche avverso i provvedimenti di convalida della perquisizione preventiva non incide, comunque, sulla legittimità del provvedimento impugnato, sia pure per una ragione diversa da quella esposta dal Giudice per le indagini preliminari. Nel caso di specie, infatti, in base alla clausola di riserva contemplata dall’art. 352, comma 4-bis cod. proc. pen., assume una specifica rilevanza ostativa all’esperibilità del rimedio l’intervenuto provvedimento di sequestro amministrativo della sostanza stupefacente.
Sotto altro profilo, inoltre, si rileva che il ricorso in esame non ha dedotto alcun profilo di abnormità del provvedimento che consentirebbe di ritenere ammissibile il ricorso per cassazione.
Va, a tale riguardo, ribadito che, in tema di impugnazioni, il decreto che dispone o convalida la perquisizione “domiciliare” a cui segua il sequestro non è autonomamente impugnabile, salvo che il predetto mezzo di ricerca della prova non sia abnorme in quanto operato al di fuori dei casi e dei modi stabiliti dalla legge e in violazione di diritti costituzionali irrinunciabili (Sez. 5, n. 5261 del 03/12/2024, dep. 2025, Rv. 287856, che, in motivazione, ha precisato che l’abnormità del mezzo di ricerca della prova rende inutilizzabile quanto eventualmente acquisito, ad eccezione del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato).
Si è, a tal fine, richiamato il principio di diritto, già affermato dalle Sezioni Unite, secondo il quale quando una perquisizione sia stata effettuata senza l’autorizzazione del magistrato e non nei “casi” e nei “modi” stabiliti dalla legge, si è in presenza di un mezzo di ricerca della prova che non è più compatibile con la tutela di diritti soggettivi che, per la loro stessa rilevanza costituzionale, reclamano e giustificano la più radicale sanzione di cui l’ordinamento processuale dispone, e cioè l’inutilizzabilità della prova così acquisita in ogni fase del procedimento (Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, Sala, Rv. 204643).
Tirando le fila del discorso, il sistema processuale consente, dunque, di individuare quattro ipotesi, ognuna delle quali è connotata da uno specifico rimedio impugnatorio:
i) la perquisizione “processuale”, volta alla ricerca del corpo del reato o di cose pertinenti al reato, non seguita da sequestro, impugnabile con il rimedio dell’opposizione ai sensi degli artt. 252-bis o 352, comma 4-bis cod. proc. pen.;
ii) la perquisizione “processuale”, seguita da sequestro, impugnabile con il rimedio del riesame cautelare ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen.;
iii) la perquisizione “preventiva” non seguita da sequestro, impugnabile con il rimedio dell’opposizione ai sensi dell’art. 352, comma 4-bis cod. proc. pen.;
iv) la perquisizione “preventiva” seguita da sequestro, impugnabile, in base alla natura del provvedimento ablatorio, ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., ove si tratti di una misura di carattere “penale”, o della legge n. 689 del 1981, qualora di tratti, invece, di una misura amministrativa.
