Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 40680/2025, 3/17 dicembre 2025, ha affermato che la “ratio” della disposizione di cui all’art. 7 del D.L. 152/91, oggi 416-bis.1 cod. pen. non è soltanto quella di punire con pena più grave coloro che commettono reati utilizzando “metodi mafiosi” o con il fine di agevolare le associazioni mafiose, ma essenzialmente quella di contrastare in maniera più decisa stante la loro maggiore pericolosità e determinazione criminosa, l’atteggiamento di coloro che, siano essi partecipi o meno in reati associativi, si comportino “da mafiosi”, oppure ostentino in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi, quella particolare coartazione o quella conseguente intimidazione, propria delle organizzazioni della specie considerata (Sez. 6, n. 582 del 19/02/1998, Rv. 210405 – 01).
Ha ulteriormente chiarito che tale principio deve essere applicato anche ai casi di violenza giovanile in cui per le particolari forme di manifestazione gruppi di soggetti pur composti anche da minorenni esercitino in forma ripetuta e reiterata attività di intimidazione soprattutto ai danni di gestori e dipendenti di pubblici esercizi.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale di legittimità, ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del metodo mafioso, di cui all’art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203, non occorre che sia dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo necessario solo che la violenza o la minaccia assumano la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, ossia di quella ben più penetrante, energica ed efficace che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da un tipo di sodalizio criminoso dedito a molteplici ed efferati delitti, sicché, una volta accertato l’utilizzo del metodo mafioso, l’aggravante, avente natura oggettiva, si applica a tutti i concorrenti nel reato, ancorché le azioni di intimidazione e minaccia siano state materialmente commesse solo da alcuni di essi (Sez. 2, n. 32564 del 12/04/2023, Rv. 285018 – 02).
Escluso quindi che sia necessario ed indispensabile accertare l’appartenenza del ricorrente ad un gruppo mafioso secondo forme rituali di inserimento quanto alle forme di manifestazione del metodo si è ancora affermato come ricorre la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., quando l’azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune (Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, Rv. 277222
– 01).
E proprio fatta applicazione di tale principio nella valutazione della sussistenza della aggravante la Corte di appello avrebbe dovuto tenere necessariamente conto di circostanze significative dalla stessa sentenza di secondo grado pure esposte e costituite:
-dalla partecipazione ai fatti di un gruppo numeroso di soggetti indicati anche in 10 persone;
-dall’uso di armi nell’effettuare minacce ed intimidazioni tipiche dell’agire mafioso;
-dalla capacità di intimidire persino i soggetti addetti alla sicurezza del locale i quali si allontanavano di fronte alle richieste del gruppo capeggiato dal ricorrente, soggetto appartenente a famiglia già coinvolta in precedenti condanne per partecipazione mafiosa;
-dal generale clima di intimidazione e paura generato dalle azioni di detto gruppo nei confronti di tutti i dipendenti del locale i quali avevano anche essi subito aggressioni fisiche e ripetute intimidazioni in distinte occasioni;
-dal forte condizionamento della libertà morale degli avventori e dei dipendenti reso manifesto dalle ritrattazioni delle deposizioni testimoniali e persino dall’allontanamento all’estero di una delle vittime.
Sempre con riguardo alla suddetta aggravante va ricordato come la “ratio” della disposizione di cui all’art. 7 del D.L. 152/91, oggi 416-bis.1 cod. pen. non è soltanto quella di punire con pena più grave coloro che commettono reati utilizzando “metodi mafiosi” o con il fine di agevolare le associazioni mafiose, ma essenzialmente quella di contrastare in maniera più decisa stante la loro maggiore pericolosità e determinazione criminosa, l’atteggiamento di coloro che, siano essi partecipi o meno in reati associativi, si comportino “da mafiosi”, oppure ostentino in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi, quella particolare coartazione o quella conseguente intimidazione, propria delle organizzazioni della specie considerata (Sez. 6, n. 582 del 19/02/1998, Rv. 210405 – 01).
Tale principio deve essere applicato anche ai casi di violenza giovanile in cui per le particolari forme di manifestazione gruppi di soggetti pur composti anche da minorenni esercitino in forma ripetuta e reiterata attività di intimidazione soprattutto ai danni di gestori e dipendenti di pubblici esercizi che, lungi dall’essere finalizzate ad ottenere il solo profitto ingiusto dell’ingresso senza il pagamento del biglietto ovvero consumazioni gratuite, appaiono manifestare una evidente e chiara volontà di acquisire una “gestione di fatto” del pubblico esercizio tale da poterne poi reclamare anche pubblicamente l’appartenenza al gruppo e, comunque, la sua sottomissione allo stesso.
Le forme tipiche di manifestazione di tale volontà di sottomissione delle attività economiche appaiono proprio quelle in cui attraverso un ripetuto atteggiamento intimidatorio e violento tenuto nei confronti dei titolari e dei dipendenti dell’esercizio, ovvero di altri avventori, si finisca per ottenere una generale condizione di passività del personale, che permetta al gruppo ed ai suoi componenti di atteggiarsi uti dominus all’interno dello stesso che costituisce, poi, il fine dell’estorsione tipicamente mafiosa. In tali casi, i componenti del gruppo, pur composto da minorenni, appaiono avere agito non soltanto, quindi, per la realizzazione dell’immediato profitto ingiusto costituito dal mancato pagamento del ticket di ingresso o dalla consumazione gratuita, quanto al più generale scopo di assicurarsi una gestione di fatto del locale e la sottomissione di un’attività economica al proprio volere, che costituisce uno degli scopi tipici delle attività delle organizzazioni mafiose tipizzata dallo stesso testo dell’art. 416 bis cod. pen.
