Il 17 dicembre 2025, sull’edizione digitale della rivista Wired, è stato pubblicato, a firma di Claudia Morelli, l’articolo “L’App per il processo penale telematico migliora lentamente, ma i bug rischiano di far perdere le intercettazioni (tra le altre cose)” (consultabile a questo link).
Il termine APP è in questo caso l’acronimo di Applicativo per il processo penale.
La notizia è che nel plenum del 10 dicembre 2025 il Consiglio superiore della magistratura (di seguito CSM) ha approvato con delibera “il parere obbligatorio preventivo su una bozza di regolamento ministeriale che vorrebbe rendere esclusivo il deposito per via digitale, sia di atti, documenti e richieste relativi alle intercettazioni dal primo luglio prossimo; sia di atti, documenti, richieste e memorie nei procedimenti relativi alle misure cautelari personali, compreso quello di impugnazione, misure cautelari reali e impugnazioni in materia di sequestro probatorio dal primo aprile 2026”.
Il CSM ha consigliato di differire questo passaggio perché APP non ha ancora raggiunto la stabilità desiderabile: scrive la Morelli che “talvolta “rallenta” sensibilmente il suo funzionamento comunicando all’utente improvvisi messaggi di errore per poi tornare a funzionare dopo alcuni minuti di attesa; oppure capita che gli atti e i documenti trasmessi da un magistrato ad un altro non risultano visibili al destinatario e siano necessari interventi tecnici ad hoc per rimediare ai bug dell’applicativo. “In pratica, allo stato attuale, l’informatizzazione del procedimento penale non riesce ancora a rendere più celere ed efficace l’attività giurisdizionale penale”, specifica il Csm”.
In sostanza, “Il meccanismo normativo delineato dal ministero della Giustizia nella bozza di decreto presenterebbe due criticità. Intanto l’aver fissato termini troppo ravvicinati di utilizzo di App “rispetto all’attuale stato embrionale delle applicazioni telematiche per intercettazioni e impugnazioni davanti al tribunale del riesame”. Troppo rischioso per l’organo di autogoverno della magistratura, perché si tratta di attività processuali soggette a termini perentori. Eventuali malfunzionamenti dell’app comporterebbero la perdita irrimediabile di prove (intercettazioni) o la decadenza delle parti dalle facoltà di impugnazione. In secondo luogo, il doppio binario analogico-digitale per la fase di impugnazione delle misure cautelari davanti al tribunale provocherà la circolazione di atti analogici verso uffici (pubblici ministeri e giudice per le indagini preliminari) ormai operanti in modalità esclusivamente telematica. Una differenziazione “irrazionale” del regime degli atti all’interno del procedimento cautelare, che impedirebbe una gestione unitaria del fascicolo digitale e creerebbe disallineamenti tra la forma digitale della misura emessa dal pm o dal gip e quella eventualmente analogica del provvedimento del tribunale del riesame”.
Da qui l’invito del CSM a “rivedere la scansione temporale e rimandare ulteriormente l’utilizzo di App per queste attività”.
