La Cassazione penale sezione 1 con la sentenza numero 32770/2025 ha stabilito che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 660 cod. pen. commesso tramite il telefono, ciò che rileva è il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere la condotta illecita, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita, poiché l’eventuale interruzione dell’azione molesta o disturbatrice tenuta per petulanza o per biasimevole motivo interviene comunque dopo che la stessa si è già realizzata.
Fattispecie relativa ad imputato che, nell’arco di circa venti giorni, aveva effettuato più chiamate vocali e inviato numerosi messaggi di testo alla persona offesa per provare a ristabilire la relazione sentimentale già terminata.
La contravvenzione prevista dall’art. 660 cod. pen. mira a tutelare la tranquillità pubblica, che può essere turbata in conseguenza di fatti di disturbo o molestia che, posti in essere ai danni di un singolo individuo, possono determinare reazioni tali da causare disordini per l’ordine pubblico: in particolare, secondo Sez. 1, n. 11208 del 29/09/1994, Bolani, Rv. 199624 – 01, «Con la disposizione prevista dall’art. 660 cod. pen. il legislatore, attraverso la previsione di un fatto recante molestia alla quiete di un privato, ha inteso tutelare la tranquillità pubblica per l’incidenza che il suo turbamento ha sull’ordine pubblico, data l’astratta possibilità di reazione. Pertanto, rispetto alla contravvenzione in discorso, viene in considerazione l’ordine pubblico, pur trattandosi di offesa alla quiete privata; onde l’interesse privato, individuale, riceve una protezione soltanto riflessa, cosicché la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate o disturbate»
L’elemento materiale del reato consiste nella molestia o nel disturbo, che devono essere realizzati in luogo pubblico o aperto al pubblico, oppure con il mezzo del telefono.
Il disturbo è integrato da una condotta che altera le normali condizioni in cui si svolge l’occupazione delle persone; la molestia viene, invece, definita come ciò che altera dolosamente, fastidiosamente o inopportunamente la condizione psichica di una persona, essendo irrilevante se si tratti di alterazione durevole o momentanea: tanto è stato confermato dalla Corte costituzionale, che, nella sentenza n. 172 del 7 maggio 2014, aderendo al significato che la parola assume secondo il senso comune, ha evidenziato che molestare significa «alterare in modo fastidioso o importuno l’equilibrio psichico di una persona normale», essendo questo «il significato evocato dall’art. 660 cod. pen., in cui viene fatto riferimento alla molestia per definire il risultato di una condotta».
La giurisprudenza ha precisato che è necessaria «una effettiva e significativa intrusione nell’altrui sfera personale che assurga al rango di “molestia o disturbo” ingenerato dall’attività di comunicazione in sé considerata e a prescindere dal suo contenuto» (Sez. F, n. 45315 del 07/08/2019, Manassero, Rv. 277291 – 01): a ciò consegue che, in presenza di un fatto oggettivamente molesto o che arreca disturbo, è irrilevante che la persona offesa non abbia percepito o subito alcun fastidio.
La norma incriminatrice richiede che la condotta molesta o disturbatrice sia tenuta «per petulanza o per altro biasimevole motivo» (sicché se ne è inferito che il reato non è configurabile in caso di molestie reciproche, quando, cioè, tra le stesse vi sia stato un rapporto di immediatezza o, comunque, un nesso di interdipendenza: cfr. Sez. 5, n. 11679 del 13/12/2022, dep. 2023, Gaudesi, Rv. 284250 – 01); la cassazione ha in proposito chiarito che «per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà» (Sez. 1, n. 6064 del 06/12/2017, dep. 2018, Girone, Rv. 272397 – 01): si è, ad esempio, statuito che «Integra il reato di molestie un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, a ciò manifestamente contraria, realizzato mediante una condotta di fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell’altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà» (Sez. 5, n. 7993 del 09/12/2020, P., Rv. 280495 – 01).
Secondo l’orientamento di legittimità venutosi oramai a consolidare, il reato «non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, purché ispirata da biasimevole motivo o avente il carattere della petulanza» (Sez. 1, n. 3758 del 07/11/2013, dep. 2014, Moresco, Rv. 258260 – 01); in proposito, si è ulteriormente puntualizzato che «Il reato di molestie o disturbo alle persone, pur non essendo necessariamente abituale, in quanto suscettibile di perfezionarsi anche con il compimento di una sola azione da cui derivino gli effetti indicati dall’art. 660 cod. pen., può in concreto assumere la forma dell’abitualità, incompatibile con la continuazione, allorché sia proprio la reiterazione delle condotte (nella specie, numerose telefonate notturne, spesso mute) a creare molestia o disturbo» (Sez. 1, n. 19631 del 12/06/2018, Papagni, Rv. 276309– 01; in termini, più di recente, Sez. 1, n. 12703 del 17/01/2025, P., Rv. 287787 – 01).
Quando, come nel caso di specie, il reato venga commesso con il mezzo del telefono, ai fini della configurabilità del reato in oggetto «ciò che rileva è il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere o prevenire l’azione perturbatrice, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita; ne consegue che costituisce molestia anche l’invio di messaggi telematici, siano essi di testo (SMS) o messaggi whatsapp». (Sez. 1, n. 37974 del 18/03/2021, D’Antoni, Rv. 282045 – 01)
