Giudici che liquidano 2,78 miliardi di euro e spicci in favore degli amministratori giudiziari: per il CSM sono meri errori di calcolo (Riccardo Radi)

Il processo all’Ilva non è nato sotto una buona stella e dopo anni di udienze ed una camera di consiglio di dodici giorni a conclusione di un processo monstre (44 imputati, 1481 parti civili, 300 faldoni, 3700 pagine di sentenza) la sentenza del maggio 2021 di condanna, per decine di imputati, è stata annullata il 13 settembre 2024 dalla Corte d’Assise d’Appello di Taranto, che ha trasferito gli atti alla Procura di Potenza.

La difesa di alcuni imputati aveva chiesto all’inizio del processo di primo grado il trasferimento a Potenza, in quanto vi era “una incompatibilità ambientale”.

Secondo i legali, infatti, “il processo non poteva essere celebrato davanti ai magistrati tarantini perché non avrebbero la serenità necessaria a giudicare, in quanto anch’essi sarebbero persone offese e danneggiate del reato di inquinamento” ma la Corte d’assise era stata di contrario avviso.

Tale decisione si è rilevata nefasta processualmente mandando in fumo anni di istruttoria dibattimentale.

La sentenza poi annullata conteneva un altro tarlo che vi raccontiamo.

Si può liquidare la somma di circa 3 miliardi di euro a due amministratori giudiziari senza rendersi conto dell’abnormità della cifra?

Si può e non c’è alcun addebito disciplinare nei confronti dei due giudici della Corte d’Assise incorse nel macroscopico errore di calcolo, nella quantificazione del compenso, che avrebbe potuto “comportare un gravissimo danno a carico dell’Erario”, così si legge nell’incolpazione.

La vicenda disciplinare si è conclusa con la sentenza del CSM numero 16/2025 (allegata al post),

Il tutto era nato dall’iniziativa del “Ministro di Giustizia – su proposta dell’Ispettorato Generale, in relazione all’interrogazione parlamentare del sen. … avente ad oggetto i decreti di liquidazione dei compensi ai custodi giudiziari per la gestione dello stabilimento Ilva di Taranto emessi dalla Corte d’Assise di Taranto il 31/5/2021 – promuoveva l’azione disciplinare nei confronti della dott.ssa NOME 1 e della dott.ssa NOME 2, nella loro qualità rispettivamente di Presidente e di componente della Corte d’Assise di UFF 2, per grave violazione di legge determinata da ignoranza e negligenza inescusabile…”

Abbiamo ricostruito la vicenda, risalendo all’interrogazione al Senato del 14 dicembre 2022 ( https://www.senato.it/show-doc?tipodoc=Resaula&leg=19&id=1363274&part=doc_dc-allegatob_ab-sezionetit_icrdrs) dove si chiedeva : Ai Ministri delle imprese e del made in Italy e della giustizia. – Premesso che:

in seguito alla conclusione del processo di primo grado sul disastro ambientale concernente la gestione dell’ILVA di Taranto, il gruppo Riva ha impugnato i decreti di liquidazione dei compensi dei custodi giudiziari dello stabilimento siderurgico poiché, a parere dei ricorrenti, la cifra quantificata dalla Corte d’assise è il risultato di un calcolo che ritengono non sia stato effettuato correttamente dai giudici;

nel ricorso presentato, più nello specifico, sono stati posti in discussione i criteri per stabilire i compensi utilizzati dalla Corte, che avrebbe calcolato le percentuali non già sui valori all’interno di ciascuno scaglione di riferimento, ma in una modalità difforme rispetto al dettato normativo;

considerato che:

sembrerebbe che gli importi siano stati determinati in rapporto al valore del compendio aziendale sequestrato in assenza di un tetto massimo;

a parere dell’interrogante una tale vicenda, se effettivamente corrispondente alla verità, oltrepasserebbe i confini della logica e del buonsenso, considerato che si tratta di risorse pubbliche e che esse sono già impegnate, in misura significativa, a favore dei commissari e di altri ausiliari a detrimento degli obiettivi di ripresa della produzione industriale e di rientro dalla cassa integrazione delle migliaia di lavoratori che da anni attendono un segnale,

si chiede di sapere:

se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza di quanto esposto;

se confermino la veridicità delle notizie richiamate e, in caso affermativo, se, nell’ambito delle rispettive competenze, possano fornire chiarimenti in merito ai criteri adottati per determinare gli importi liquidati in favore dei custodi giudiziari.

(4-00093)”

A seguito dell’iniziativa del Ministro di Giustizia si elevava l’incolpazione, in parte di seguito descritta:

La Corte d’Assise presieduta dalla dr.ssa NOME 1 e con la componente togata, nella persona della dr.ssa NOME 2, emetteva, in data 31 maggio 2021, due provvedimenti di liquidazione, nell’ambito del procedimento penale sopra indicato, rispettivamente in favore degli amministratori giudiziari dei beni sottoposti a sequestro, ingegneri NOME 5, NOME 6 e NOME 7 e in favore dell’amministratore giudiziario dr. NOME 8 (e dei suoi coadiutori), liquidando a titolo di acconto – pari al 10% del totale – sui compensi per l’attività dagli stessi svolta, la somma di euro 139.000.000,00 oltre I.V.A. se dovuta, per ciascuno dei provvedimenti di liquidazione, in grave violazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 177 del 2015, che prevede, quale criterio per la determinazione del compenso agli amministratori, il sistema degli scaglioni, riferito al valore crescente del complesso aziendale e alle corrispondenti percentuali progressivamente decrescenti, da calcolarsi pertanto sulle quote di valore crescente dello stesso complesso aziendale, calcolando viceversa le percentuali previste dagli scaglioni non in relazione alla detta quota di valore crescente del complesso aziendale ma, per ciascuno scaglione, sempre in relazione all’intero valore aziendale, che era determinato in due miliardi di euro, pervenendo alla liquidazione, a titolo di acconto per il periodo temporale di un solo anno, delle sopra indicate abnormi somme.

Violazione da ritenersi grave, sia avuto riguardo all’abnorme sproporzione, rispetto a quanto effettivamente dovuto applicando i criteri dettati ex lege, 2 delle somme dapprima computate quale compenso da liquidarsi, pari a 1,39 miliardi di euro per ciascuna procedura, e da poi liquidate a titolo di acconto, pari al 10% (per una somma di 139 milioni di euro cadauno) nei due provvedimenti sopraindicati, sia per la messa in pericolo dell’Erario, prevedendosi, a norma dell’art. 42 del D.lgs. 159/11, l’anticipazione delle spese da parte dello Stato, in ipotesi di incapienza totale o parziale della gestione dei beni

La decisione: “assolte dall’incolpazione ad esse ascritta di grave violazione di legge, con riferimento a tutte tre le condotte specificamente contestate, essendo rimasto escluso l’illecito disciplinare”.

In soldoni i decreti di liquidazione era stati emessi contestualmente alla pronuncia della sentenza dopo dodici giorni di camera di consiglio e che questa scelta era finalizzata ad evitare alla Cancelleria l’aggravio della loro notificazione alle 1481 parti civili oltre agli imputati, quindi una svista nulla di più.

Una svista, due sviste chi era che diceva che tre indizi fanno una prova?

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