Divieto di partecipazione dei giudici onorari nei collegi che giudicano i reati ex art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p.: la violazione non è causa di nullità nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 116/2017 nei quali era già stata esercitata l’azione penale (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 39950/2025, 27 novembre/11 dicembre 2025, ha affermato che il divieto non derogabile di destinazione del giudice onorario a comporre i collegi che giudicano i reati indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., introdotto dall’art. 12 d.lgs. n. 116 del 13 luglio 2017, determina una limitazione alla “capacità” del giudice ex art. 33 cod. proc. pen., la cui violazione è causa di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen., in relazione all’art. 178, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.: si tratta di una nullità insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (Sez. 3, n. 39119 del 06/07/2023, Rv. 285112-01; Sez. 3, n. 9076 del 21/01/2020, Rv. 279942-01).

Ha tuttavia ulteriormente osservato che tale nullità non è ravvisabile allorché, come avvenuto nella fattispecie in esame, sia applicabile la disciplina transitoria di cui all’art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 116/2017 che esclude che per i procedimenti in corso si applichino i divieti introdotti dalla riforma: “Per i procedimenti relativi ai reati indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, iscritti alla data di entrata in vigore del presente decreto, i divieti di destinazione dei giudici onorari di pace di cui al comma 5 nei collegi non si applicano se, alla medesima data, sia stata esercitata l’azione penale”. 

Invero, il mutato quadro normativo con l’introduzione di una disciplina organica della magistratura onoraria nelle parti nelle quali ha modificato l’assegnazione dei giudici onorari ed ha disciplinato l’assegnazione di questi nei giudizi penali e civili, impedisce di richiamare il precedente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’integrazione di un collegio da parte di un giudice onorario in veste di supplente, non viola l’art. 43-bis del R.D. 30 gennaio 1941 n. 12, che si riferisce all’esercizio delle funzioni del tribunale in composizione monocratica, né è causa di nullità processuale, atteso che detta previsione introduce un mero criterio organizzativo di ripartizione di procedimenti tra i giudici ordinari e quelli onorari (Sez. 5, n. 47999 del 27/05/2016, Rv. 268465) e che la trattazione da parte del giudice onorario di un procedimento penale diverso da quelli indicati dall’art. 43-bis, comma 3, lett. b) del R.D. n. 12/1941, ossia in relazione ai reati non previsti dall’art. 550, cod. proc. pen., non è causa di nullità, in quanto la disposizione ordinamentale introduce un mero criterio organizzativo dell’assegnazione del lavoro tra giudici ordinari e giudici onorari (Sez. 4, n. 9323 del 14/12/2005, dep. 2006, Rv. 233911-01), indirizzo interpretativo che si fondava sulla disposizione dell’art. 43-bis, ora espressamente abrogata dall’art. 33 del d.lgs. 116/2017 (Sez. 2, n. 9913 del 02/02/2024, non mass.).

Nella fattispecie in esame, tuttavia, non è dato ravvisare la dedotta nullità, poiché al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 116 del 13/08/2017, era stata già esercitata l’azione penale (con il conseguente rinvio a giudizio disposto con decreto del Giudice dell’udienza preliminare in data 05/05/2014 e la prima udienza dibattimentale tenuta in data 07/11/2016). 

Pertanto, trova applicazione la disciplina transitoria di cui all’art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 116/2017 che esclude che per i procedimenti in corso si applichino i divieti introdotti dalla riforma: “Per i procedimenti relativi ai reati indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, iscritti alla data di entrata in vigore del presente decreto, i divieti di destinazione dei giudici onorari di pace di cui al comma 5 nei collegi non si applicano se, alla medesima data, sia stata esercitata l’azione penale”. 

L’atto di esercizio dell’azione penale è infatti identificabile esclusivamente nella “richiesta di rinvio a giudizio” o, per i reati meno gravi, nel decreto di citazione diretta a giudizio o nella richiesta di decreto penale di condanna: atti con i quali il PM esprime, in modo irrevocabile, la volontà di perseguire in giudizio la persona iscritta nel registro delle notizie di reato. I successivi atti, con i quali la parte pubblica manifesta la persistenza della sua volontà punitiva sono espressione delle sue facoltà processuali, ma non sono qualificabili come atti di esercizio dell’azione penale (Sez. 2, n. 30554 del 06/06/2024, non mass.; Sez. 3, n. 46874 del 09/05/2023, non mass.; da ultimo, Sez. 2, n. 9943 del 25/02/2025, Rv. 287654-01). 

È vero che in un precedente arresto, che si esprime in termini dissonanti rispetto all’orientamento indiscusso formatosi, si è precisato che “non trova applicazione nel caso in esame la disposizione derogatoria di cui all’art. 30 dello stesso d.lgs. 116 del 2017 posto che dalla ricostruzione dell’andamento del procedimento di primo grado risulta che il dibattimento veniva ripetutamente rinnovato per mutamento del collegio anche nel 2020 e, quindi, in data ben successiva l’entrata in vigore della norma” (Sez. 2, n. 8796 del 14/02/2024, non mass.; seguita da Sez. 2, n. 27371 del 08/05/2024, non mass., in fattispecie di dubbia sovrapponibilità, essendosi la motivazione limitata ad affermare che “non trova applicazione nel presente giudizio la disposizione derogatoria di cui all’art. 30, commi 1 e 5, del citato d.lgs. n. 116 del 2017, dal momento che la destinazione del giudice onorario di tribunale a comporre il collegio penale è successiva all’entrata in vigore della norma, nella sua originaria formulazione”), ancorando così la non operatività della deroga al divieto suddetto al momento dell’apertura del dibattimento, ma tale affermazione è apertamente contraria alla lettera della legge e, comunque, da quest’ultima non consentita in via interpretativa.

Il legislatore processuale ha infatti scelto di consentire l’utilizzo dei giudici onorari in tutti quei procedimenti per i quali è stata esercitata l’azione penale, che, come noto, può essere esercitata tramite la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di citazione diretta a giudizio, la richiesta di giudizio immediato, di giudizio direttissimo, di emissione del decreto penale di condanna o di applicazione della pena su richiesta (si vedano gli artt. 60 e 416 cod. proc. pen.); non si può, pertanto, spostare in avanti il momento in cui non opererebbe la deroga al divieto fino ad una diversa fase processuale quale è l’apertura del dibattimento, vista la chiara indicazione contenuta nel citato art. 30, frutto di una precisa scelta legislativa, che non consente eccezioni o applicazioni estensive che finirebbero per tradire irreparabilmente la chiara voluntas legis

Sulla base di queste considerazioni, la Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 30 d. lgs. n. 116 del 2017, non potendosi dubitare della legittimità costituzionale della predetta disciplina transitoria, la quale, assegnando rilevanza decisiva all’atto di esercizio dell’azione penale, esprime le ragionevoli scelte del legislatore in ordine alla individuazione del giudice naturale (Sez. 2, n. 30554/24, cit.).

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