La Cassazione penale sezione 1 con la sentenza numero 35173/2025, in tema di affidamento in prova al servizio sociale, dovendosi il giudizio prognostico richiesto dalla legge fondare sui risultati dell’osservazione del comportamento del condannato, è viziata l’ordinanza del tribunale di sorveglianza che respinga la richiesta di applicazione della suddetta misura alternativa deducendo l’assenza di segni di ravvedimento esclusivamente dal mancato risarcimento, anche solo parziale, del danno, omettendo di considerare le concrete condizioni economiche del reo.
Secondo il consolidato insegnamento della Corte di legittimità, ai fini della concessione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale non possono, di per sé soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna,la mancata ammissione di colpevolezza,o i precedenti penali, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che dai risultati dell’osservazione della personalità emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato (da ultimo, Sez. 1, n. 1410 del 30/10/2019, M., Rv. 277924).
In particolare, è stato chiarito che, per il giudizio prognostico favorevole, la natura e la gravità dei reati per i quali è stata irrogata la pena in espiazione deve costituire, unitamente ai precedenti (Sez. 1, n. 1812 del 4/3/1999, Danieli, Rv. 213062 – 01), alle pendenze e alle informazioni di P.S. (Sez. 1, n. 1970 dell’11/3/1997, Caputi, Rv. 207998 – 01), il punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, la cui compiuta ed esauriente valutazione non può mai prescindere, tuttavia, dalla condotta tenuta successivamente dal condannato e dai suoi comportamenti attuali, risultando questi essenziali ai fini della ponderazione dell’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva (Sez. 1, n. 31420 del 5/5/2015, Incarbone, Rv. 264602 – 01; Sez. 1, n. 31809 del 9/7/2009, Gobbo, Rv. 244322 – 01); si è anche precisato che, fra gli indicatori utilmente apprezzabili in tale ottica, possono essere annoverati l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l’adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna, l’attaccamento al contesto familiare e l’eventuale buona prospettiva di risocializzazione (Sez. 1, n. 44992 del 17/9/2018, S., Rv. 273985 – 01).
Dai principi poc’anzi enunciati deve inferirsi che la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta carente ed incompleta, essendosi il Tribunale limitato a evidenziare la gravità del reato in esecuzione ed il mancato risarcimento del danno, omettendo tuttavia di condurre un’analisi fondata sulla valutazione dei parametri stabiliti dalla giurisprudenza nomofilattica ed innanzi richiamati. Sotto un primo profilo, nel rivolgere la sua attenzione prevalentemente al passato, sottolineando la gravità del reato – in esecuzione – commesso, il Tribunale omette di effettuare un’approfondita valutazione della condotta del condannato successiva al delitto,e di valutare adeguatamente il percorso effettuato dal K., che, come si legge in ordinanza, non è gravato da ulteriori precedenti o pendenze, dispone di un idoneo domicilio presso il fratello, svolge attualmente attività lavorativa di raccolta differenziata per un periodo di tre mesi presso la Cooperativa La Traccia di Prato con prospettive di stabilità occupazionale, ha intrapreso attività di volontariato presso la mensa dell’Associazione La Pira ogni sabato dalle 9.00 alle 13.30, fruisce regolarmente di permessi premio, ha completato un percorso di revisione critica compatibilmente con le capacità riflessive e introspettive di cui è dotato.
D’altro canto, il richiamo al mancato risarcimento del danno appare manifestamente illogico, essendo state del tutto pretermesse le allegazioni difensive, in cui si dava atto dei tentativi di contatto con la parte civile Parrocchia di Tizzana, rimasti inesitati, essendosi poi il condannato determinato ad effettuare simboliche donazioni all’Associazione La Pira, ove egli svolge regolarmente attività di volontariato.
Peraltro la decisione del Tribunale si pone in contrasto con il principio già affermato dalla Suprema Corte, cui occorre dare continuità, per cui «in tema di affidamento in prova al servizio sociale, dovendosi il giudizio prognostico richiesto dalla legge fondare sui risultati dell’osservazione del comportamento del condannato, è viziata l’ordinanza del tribunale di sorveglianza che respinga la richiesta di applicazione della suddetta misura alternativa deducendo l’assenza di segni di ravvedimento esclusivamente dal mancato risarcimento, anche solo parziale, del danno, omettendo di considerare le concrete condizioni economiche del reo»(Sez. 1, n. 5981 del 21/09/2016, dep. 2017, Panelli, Rv. 269033 – 01).
