È stato pubblicato proprio oggi, 16 dicembre 2025, un breve testo del costituzionalista Gaetano Azzariti sulla riforma delle carriere (G. Azzariti, Il contesto della riforma, in Questione Giustizia, 16 dicembre 2025, consultabile a questo link).
Il titolo è un chiarissimo avviso ai naviganti/lettori: c’è una sola riforma di cui valga la pena parlare al giorno d’oggi; il suo testo conta ben poco, l’attenzione deve essere riservata piuttosto al contesto.
Il contenuto dello scritto è perfettamente coerente alla dichiarazione di intenti suggerita dal titolo (si avverte che i passaggi letterali sono evidenziati in corsivo, le interruzioni sono evidenziate con il simbolo […], i neretti sono stati aggiunti da chi scrive a scopo enfatico).
Già nell’incipit: “Vorrei soffermarmi sul contesto, più che sul testo. Se vogliamo ben comprendere la portata e gli effetti della riforma costituzionale in materia di ordinamento della giustizia è necessario infatti riflettere anche, e forse soprattutto, sulla crisi più generale della democrazia. Anzitutto rilevando la sua chiara connessione. Difatti non credo possa negarsi che la profondità delle trasformazioni in corso in tutti gli ordinamenti di democrazia occidentale abbiano una loro diretta incidenza sul sistema giudiziario e di tutela dei diritti”.
Seguono accenni ai fattori scatenanti di questa crisi: “aggressività di Putin”, “arroganza di Trump”, “afasia ormai congenita dell’Europa”, “moltiplicarsi degli ordinamenti dispotici”, “impotenza delle istituzioni dell’ONU”, “barbarie delle pratiche genocidarie che si stanno sviluppando sotto i nostri occhi impotenti”.
Queste cause nel loro insieme stanno causando “una complessiva rottura degli equilibri mondiali” e, come loro conseguenza “le difficoltà di far valere i diritti, l’autonomia e il ruolo dei giudici si sono palesate in modo drammatico”, tanto che “c’è chi parla ormai di fine del diritto internazionale e ritorno del diritto della forza”.
Non mancano riferimenti alle “cosiddette democrazie illiberali (l’Ungheria, la Polonia, quest’ultima almeno sino alle ultime elezioni) nei cui confronti erano diffuse le condanne delle ripetute violazioni dei principi dello stato di diritto”.
Amara la riassunzione: “Insomma, non sembra che per la giustizia e le tutele giurisdizionali, oltre che per l’ordinamento giurisdizionale nel suo complesso, tiri una bella aria da nessuna parte nel mondo”.
Tratteggiata questa cupa cornice, l’attenzione dell’Autore si sposta sul nostro Paese e le conclusioni rimangono drammatiche: “mi vorrei limitare ad osservare un fatto che non credo possa essere negato. La riforma del ruolo costituzionale assegnato al potere giudiziario opera entro un definito disegno politico complessivo, che è in corso di svolgimento. Una diversa idea di democrazia ampiamente articolato (sic) e che è stato chiaramente enunciato (sic), contrassegnato (sic) da una esplicita volontà politica finalizzata a conseguire un insieme di incisivi cambiamenti sociali e istituzionali. Un progetto che si sviluppa su più piani. Basta qui richiamare lo stravolgimento della forma di governo che si avrebbe se dovesse essere approvato lo sgangherato premierato attualmente in discussione. Un progetto che farebbe transitare la nostra sofferente democrazia parlamentare, per farla approdare in una inquietante democrazia del Capo”.
Segue l’elenco delle manifestazioni di questo disegno complessivo ed è talmente nutrito da rendere necessario il rinvio alla lettura integrale dello scritto per poterlo apprezzare compiutamente.
Segue ulteriormente la parte che registra “i continui attacchi alla indipendenza e autonomia della magistratura […] Accusata di invadere lo spazio della politica ogni volta che inquisisce un soggetto politico o condanna questi per azioni o fatti posti in essere contra legem ovvero in violazione di norma di diritto internazionale o europeo. Persino il controllo contabile sulle spese viene considerato un fatto eversivo realizzato in odio al Governo e compiuto da giudici ostili, ritenuti, chissà perché, sempre “comunisti”. Siamo ben oltre, dunque, la più che legittima reazione del Governo o dei singoli esponenti politici, qualora vengano inquisiti, che è rivolta a difesa del proprio operato e finalizzata a dimostrare la correttezza delle proprie azioni. Ora la pretesa è quella dell’immunità. La tesi è chiara: la politica non si processa, essa ha il primato sugli altri poteri. Un ritorno dello Stato assoluto”.
È il turno di una sequenza che Azzariti presente come ineluttabile: “Da qui la volontà di rimodulare gli equilibri dei poteri: a favore di quello politico. Insofferente al controllo e non solo a quello dei giudici nazionali. Da qui la riforma della giustizia. Ma anche l’intolleranza per il rispetto del diritto internazionale (come dimostra l’ingiustificato e aggressivo rifiuto di dare seguito alla richiesta della Corte penale internazionale). Un disegno che dunque riguarda gli assetti democratici complessivi e gli equilibri costituzionali. Non è pertanto solo questione di magistratura. Si tratta di un progetto perseguito con tenacia; però, credo, non ancora compiuto. Potrebbe dirsi, in caso, come suggeriva Gramsci, che viviamo una fase d’interregno dove si manifestano fenomeni mostruosi. La lotta è tra vecchio che non muore e nuovo che non è ancora nato”.
Si arriva così al paragrafo conclusivo.
Chi si attendesse qualche accenno, anche minimo, al contenuto della legge costituzionale che ha dato causa allo scritto di Azzariti rimarrebbe deluso.
L’Autore si limita ad affermare che la sua definizione è avvenuta entro il contesto descritto in precedenza.
Ciò che gli preme è il risveglio delle coscienze in vista del referendum confermativo: “io credo che se riuscissimo a far comprendere il quadro entro cui si colloca la riforma e la posta in gioco che è il superamento del nostro sistema costituzionale delle garanzie e la costituzione antifascista posta a garanzia dei diritti fondamentali delle persone, allora può essere che si riesca a far percepire anche a livello popolare i rischi che corriamo.
I sondaggi dicono che per ora i contrari alla riforma sono in minoranza. Dalla parte di chi vuole arrestare il degrado dello stato di diritto forse non c’è ancora la forza necessaria: c’è però la Costituzione. Il che non è poco e, in fondo, è il presupposto per avere ragione. Se il sonno della ragione ha generato mostri, non possiamo fare altro che provare a risvegliare le coscienze dormienti”.
E questo è quanto.
È difficile confrontarsi con una riflessione così congegnata, lo è sempre quando è lo stesso Autore a creare barriere invalicabili attorno al proprio pensiero.
Lo ha fatto rassegnando conclusioni assiomatiche non falsificabili secondo la logica popperiana perché non sottoponibili a verifiche empiriche.
Valorizzando il contesto ed escludendo il testo.
Servendosi diffusamente di espedienti retorici, primo tra tutti il richiamo alla Costituzione che sarebbe tradita e vilipesa dalla legge costituzionale, senza spendere una parola o un concetto che diano anche solo un argomento di prova sul modo in cui il tradimento e il vilipendio avverrebbero non in astratto ma sulla base del testo di quella legge.
Presentando in termini foschi la democrazia italiana: l’ha definita sofferente e suscettibile di trasformarsi in un’inquietante democrazia del Capo se non, addirittura, uno Stato assoluto.
Lo ha fatto, infine, ignorando radicalmente le ragioni remote e prossime che hanno intaccato la credibilità della magistratura e del suo organo di autogoverno.
Non si vuole qui negare fatti che sono innegabili: la piattaforma ideologica dell’Esecutivo in carica fa pendere decisamente la bilancia dal lato della sicurezza sociale piuttosto che da quello delle libertà individuali; il bisogno di sicurezza viene costantemente, e talvolta artificialmente, alimentato e la risposta offerta è troppo spesso quella della repressione; aumentano le manifestazioni di insofferenza verso decisioni giudiziarie non gradite cui si assegna il valore negativo di ingerenze indebite della magistratura in sfere di esclusiva competenza della politica.
Tutto vero e, per quanto possa contare un blog artigianale come Terzultima Fermata, abbiamo costantemente denunciato ognuna di queste tendenze e gli effetti che hanno prodotto.
Scritti come quelli di Azzariti sembrano tuttavia collocarsi su un piano completamente differente: inviti a credere, piuttosto che tesi argomentate e dimostrate; presagi millenaristici piuttosto che analisi razionali.
Se è questo il modo scelto per far comprendere agli elettori la posta in gioco, si hanno molti dubbi che funzionerà.
