Dimenticare in carcere l’indagato per 43 giorni è … scarsamente rilevante (Riccardo Radi)

L’onorevole Enrico Costa ha pubblicato un post indignato citando la sentenza numero 8/2025 della sezione disciplinare del CSM (allegata al post) che ha mandato assolto un giudice che ha dimenticato per 43 giorni in carcere una persona.

Costa tranquillizzati c’è anche di peggio, basta andare a leggere la sentenza numero 99/2024 del CSM, chi avrà pazienza scoprirà la perla nel prosieguo.

Tornado alla sentenza che ha fatto infervorare Enrico Costa, il CSM ha di nuovo fatto uso della clausola generale dell’esenzione dagli addebiti per scarsa rilevanza del fatto,

Con ciò confermando che l’ordinamento disciplinare dei magistrati ha un’intonazione robustamente protezionistica, nel senso di essere congegnato, sia nella tipizzazione degli illeciti disciplinari che nella previsione della clausola generale dell’esenzione dagli addebiti per scarsa rilevanza del fatto, in modo da confinare l’area di ciò che è disciplinarmente rilevante entro spazi ristretti.

La seconda riguarda l’interpretazione di quella cornice, cui concorrono con pari importanza sia la Sezione disciplinare che la Procura generale: pare, cioè, che entrambe facciano largo uso della discrezionalità insita nelle previsioni normative, attraverso una altrettanto larga valorizzazione della scarsa rilevanza e l’adozione di parametri di minimizzazione del fatto.

Nel caso esaminato dalla sentenza numero 8 del 2025 l’incolpazione era la seguente: “Con l’unico capo di incolpazione viene contestato al dott. NOME 1, nella sua qualità di sostituto Procuratore presso il Tribunale di UFF 1 e di titolare del procedimento n. 4375/19 r.g.n.r. – 3435/19 r.g. G.I.P., la grave violazione degli artt. 303, comma 1 lett. a) n. 2, e 306 c.p.c., determinata da negligenza inescusabile, ed il conseguente ingiusto danno arrecato all’indagato NOME 3, per aver omesso di chiedere tempestivamente la liberazione di quest’ultimo per scadenza del termine di durata massima della custodia cautelare alla data del 10 maggio 2021, risultando il NOME 3 in custodia cautelare dal giorno 10 novembre 2020 ed essendo intervenuta la scarcerazione effettiva solo in data 22 giugno 2021, con un ritardo di 43 giorni”.

Estratto della decisione numero 8/2025:

Va poi considerato il periodo di tempo di ingiusta detenzione del NOME 3, pari a 43 giorni. Rileva, infatti ai fini dell’art. 3-bis, anche l’entità del ritardo nella liberazione (CSM, Sez. disc., sent. n. 207/2018, cit.), sebbene, come precisato dalle Sezioni Unite, non sia possibile enucleare in astratto ed in via generale soglie minime e massime di durata della privazione della libertà personale che rendano applicabile o non applicabile l’esimente, essendo necessario procedere ad una valutazione in misura della singola vicenda disciplinare e dei tratti che la contraddistinguono (così Cass. S.U. 20 settembre 2022 n. 27418, cit).

Ebbene, a questo proposito, può affermarsi che il periodo di tempo in discorso – sebbene non di minima entità – possa ritenersi comunque tale da non escludere la concessione dell’esimente, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, ed in particolare dell’assenza di istanze dell’imputato e della pena finale concretamente irrogata, sebbene con sospensione condizionale, nonché dell’errore indotto dalla mancata annotazione di cancelleria sul SICP sul quale il magistrato ha fatto affidamento.

Peraltro, proprio in ragione della necessità di valutare ogni vicenda nella sua specificità e globalità, tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive, in giurisprudenza si registrano casi in cui periodi ben più prolungati sono stati ritenuti non ostativi al riconoscimento della scarsa rilevanza, ovvero addirittura all’assoluzione nel merito; ci si riferisce, in particolare, alla già citata sentenza n. 27418/2022 delle Sezioni Unite (130 giorni di ritardo) o alla sentenza di questa sezione n. 124 del 2019 (108 giorni), anch’essa sopra citata, o ancora alla sentenza CSM n. 105/2015, con la quale il magistrato incolpato è stato mandato assolto a causa del ritenuto legittimo affidamento nell’operato di altri magistrati intervenuti in precedenza, pur in presenza di ben 210 giorni di ritardo nella scarcerazione.

Va altresì considerata l’unicità dell’episodio nella attività professionale del dott. NOME 1.

Queste circostanze circoscrivono fortemente la gravità degli illeciti accertati – riportandola entro i limiti della scarsa rilevanza del fatto – sia sotto il profilo della valutazione della condotta dell’incolpato sia con riferimento alle conseguenze derivatene, ossia sul piano della concreta lesione dei beni giuridici.

Il quadro rilevante per il riconoscimento dell’esimente ex art.3 bis è completato dalla figura professionale del magistrato quale emerge dalla 10 11 deposizione del dott. NOME 5, il quale ha evidenziato la grande laboriosità dell’incolpato sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, non essendo emerso alcun elemento che riveli un qualche danno alla sua immagine pubblica in conseguenza della vicenda in esame.

In conclusione, per le ragioni sin qui esposte, il comportamento contestato all’odierno incolpato può ritenersi provato e astrattamente integrante gli illeciti di cui all’art. 2, comma 1, lett. g) e a) d. lgs. n. 109 del 2006; tuttavia, alla luce di una verifica globale ed in concreto della specifica vicenda, l’illecito deve essere escluso per la scarsa rilevanza del fatto, così come disposto dal citato art. 3 bis del d.lgs. n. 109 del 2006.

Per tali ragioni, il dott. NOME 1 deve essere assolto dall’incolpazione allo stesso ascritta, perché l’illecito disciplinare non è configurabile essendo il fatto di scarsa rilevanza

La casistica della sezione disciplinare del CSM vede decine di sentenze che si concludono nel modo descritto.

Tra le tante ricordiamo la sentenza numero 99/2024 che ha “statuito” la colpa concorrente dell’avvocato, evidentemente per allargare la forbice dei “periodi ben più prolungati (di carcerazione senza titolo sottolineiamo noi) che sono stati ritenuti non ostativi al riconoscimento della scarsa rilevanza”.

Si avete capito bene.

Dare la colpa all’altro libera la coscienza ma allontana la verità, si potrebbe parafrasare così la sentenza numero 99/2024 della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della magistratura che nel procedimento, RG n. 2/2023 (presidente Pinelli, estensore Fontana), che così ha deciso nel caso di un giudice che dimenticato per sei mesi una persona in carcere.

In tema di illecito disciplinare dei magistrati, l’omessa scarcerazione dell’imputato per oltre sei mesi dalla data di perdita di efficacia della misura integra certamente, trattandosi di disciplina a tutela del bene della libertà personale, la violazione di legge derivante da errore o negligenza inescusabile.

Nella specie la Sezione disciplinare ha ritenuto di applicare l’esimente di cui all’art. 3 bis tenuto conto di una serie di elementi, tra cui la mancata richiesta di revoca della misura cautelare da parte del difensore dell’imputato e la figura professionale dell’incolpato”.

commento

Si riconosce la rilevanza disciplinare del fatto e il fatto è un imputato rimasto in carcere sei mesi oltre la data di perdita di efficacia della misura cautelare subita.

Eppure, anche in questo caso, quella rilevanza scolora fino a scomparire perché – si badi bene – il difensore dell’interessato non ha chiesto la revoca della misura e l’incolpato ha una certa, non meglio precisata, figura professionale.

Da un lato, quindi, la colpa del magistrato viene traslata sul difensore rimasto inerte, con ciò stesso banalizzando o addirittura negando il suo dovere di vigilanza sulle misure in corso; dall’altro, si accenna a un profilo professionale – non sapremo mai quale – e lo si erge a baluardo protettivo.

Rimangono sullo sfondo, alla stregua di un fastidioso inconveniente, i sei mesi di vita sottratti allo sventurato cui è toccato in sorte una così eminente figura professionale.

Scriveva il reazionario è pungente Nicolas Gomes Dàvila: “L’uomo preferisce discolparsi con la colpa altrui piuttosto che con la propria innocenza”.

Giudice “dimentica” per sei mesi persona in carcere: non c’è illecito disciplinare per colpa concorrente dell’avvocato (Riccardo Radi) – TERZULTIMA FERMATA

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