«Il parlamento di Tolosa segue una pratica molto curiosa nelle prove testimoniali. Altrove si ammettono mezze prove, che in fondo non sono che dubbi, perché si sa che sono mezze verità. Ma a Tolosa si ammettono i quarti e gli ottavi di prova. Si può considerare, per esempio, un sentito dire come un quarto di prova, un altro sentito dire più vago come un ottavo; di modo che otto dicerie, che non sono che un’eco di una diceria mal fondata, possono diventare una prova completa ed è all’incirca su questo principio che Jean Calas fu condannato alla ruota».
Questo periodo è tratto dal “Commentario sul libro dei Delitti e delle Pene” scritto nel 1763 da François-Marie Arouet, assai più noto come Voltaire.
La giustizia penale al tempo di Voltaire
…I Parlamenti
A quel tempo esistevano tredici Parlamenti (Parlements) – tra di essi quello di Tolosa – che operavano come istituzioni pubbliche locali e, tra le loro varie funzioni, avevano anche quella di organi di giustizia che esercitavano su delega regia (justice déléguée).
…La fonte primaria
La giustizia penale era regolata dall’Ordonnance criminelle del 1670 che portò a compimento il disegno di classificazione sistematica delle regole del processo penale avviate con le ordonnances di Blois, del 1498, e di Villers-Cotterêts, del 1539.
…Le regole procedurali
La competenza per territorio apparteneva al giudice del luogo in cui era stato commesso il crimine per cui si procedeva.
Il procedimento, marcatamente inquisitorio, poteva essere attivato su denuncia di un qualsiasi cittadino o querela della persona offesa o anche d’ufficio.
Si apriva quindi una fase istruttoria preliminare (information) alla quale seguiva quella definitiva ove si fosse ravvisato di dover procedere per reati punibili con pene afflittive o infamanti.
L’attività istruttoria, affidata al giudice inquisitore, si svolgeva in segreto e senza la presenza del difensore e consisteva essenzialmente nell’audizione dei testi a carico e a discarico e nell’interrogatorio dell’accusato.
Completata anche questa fase gli atti venivano trasmessi al collegio giudicante cui competeva interrogare l’imputato ed emettere il verdetto conclusivo.
…La tortura come mezzo di ricerca della prova
Era lecita la tortura dell’accusato ove si procedesse per reati punibili con la morte e sempre che gli elementi di prova apparissero consistenti.
La facoltà di tortura era contenuta nell’art. 1 del Titolo XIX dell’Ordonnance criminelle.
Il testo era così formulato: «Se c’è una prova consistente a carico dell’accusato di un crimine che merita la pena di morte, e che sia costante, ogni giudice potrà ordinare la sua sottoposizione alla questione, nel caso in cui la prova non sia sufficiente».
Serve precisare che il termine “questione” derivava dall’espressione latina quaestio per tormenta e indicava pertanto un interrogatorio condotto infliggendo supplizi a chi lo subiva.
In calce al testo era riportata l’opinione di Monsieur Pussort, un Consigliere di Stato che aveva partecipato ai lavori preparatori dell’Ordonnance, redatta in questi termini: «Il Signor Pussort ha ravvisato che sarebbe difficile uniformare la questione in tutti i Parlements: la descrizione che dovrebbe essere fatta sarebbe indecente in un’ordinanza».
Il che conferma l’attenzione al garbo espressivo che in ogni tempo e in ogni luogo ha sempre contraddistinto i Consiglieri di Stato.
La tortura poteva essere praticata anche dopo la sentenza di condanna al fine di costringere il reo a confessare i nomi dei suoi eventuali complici.
…Gli esiti
Quanto agli esiti possibili, l’assoluzione si intendeva sempre allo stato degli atti e non era quindi suscettibile di acquisire forza di giudicato. La condanna poteva essere appellata e la decisione sull’impugnazione era di competenza del Consiglio di Stato.
…I criteri di valutazione della prova e le prerogative difensive
Meritano una particolare sottolineatura i criteri di valutazione degli elementi probatori e di commisurazione della pena, così come gli spazi e le modalità di intervento della difesa.
In estrema sintesi ognuno di questi aspetti era caratterizzato da indeterminatezza ed arbitrarietà e non c’era fase del procedimento penale e della successiva esecuzione che ne fosse esentata.
Alcuni esempi: l’acquisizione e la valutazione delle prove erano massimamente arbitrarie e affidate in esclusiva al giudice istruttore; si consideravano prove piene la deposizione di due persone affidabili o uno scritto vergato dall’accusato che potesse essere inteso come auto-attribuzione del fatto; se le prove piene mancavano, e accadeva spesso, ci si accontentava di semiprove, un contenitore piuttosto vago in cui poteva entrare di tutto; le pene erano totalmente arbitrarie e, nonostante l’esistenza di lunghe liste di crimini correlati alle relative pene, i giudici spesso non si sentivano in dovere di motivare le scelte.
Lo stesso Voltaire ne era perfettamente consapevole, tanto da constatare nel Commentario citato in apertura, che “Il y a autant de jurisprudences que de villes» (“Ci sono tante giurisprudenze quante le città”).
Ai giorni nostri
Ci è adesso più chiara l’osservazione di Voltaire citata in apertura.
E adesso?
Abbiamo qualcosa di simile?
Abbiamo ancora quarti e ottavi di prova e siamo disposti a servircene?
Se sì, il mitico ma anche famigerato “Non poteva non sapere” come andrebbe classificato? Mezza prova, un quarto, un ottavo?
E la convergenza del molteplice, il sentito dire, le testimonianze indirette, i tanti sillogismi traballanti in cui ci imbattiamo?
Ne riparleremo.
