Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 15928/2024, 2 febbraio/16 aprile 2024, ha affermato che il divieto di bis in idem cautelare non si applica al sequestro probatorio poiché il vincolo che tale strumento appone sulla res non costituisce una misura cautelare, servendo soltanto a dimostrare il fatto contestato.
Provvedimento impugnato
Con ordinanza in data 8 novembre 2023, il Tribunale, in funzione di riesame dei provvedimenti cautelari reali e dei sequestri, rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di SDN (indagato, soggetto titolare delle cose sequestrate ed interessato alla loro restituzione), avverso il decreto di sequestro probatorio emesso dal PM in data 20 ottobre 2023, avente ad oggetto assegni di conto corrente, privi della indicazione del beneficiario ed orologi di pregio; materiale idoneo quindi a comprovare la prospettata ipotesi di reato (art. 132, d.lgs. 385/1993, esercizio abusivo del credito).
Ricorso per cassazione
Avverso tale ordinanza proponeva ricorso, a mezzo del difensore di fiducia, l’indagato, soggetto cui le cose sono state sottratte ed interessato alla restituzione, deducendo:
vizio esiziale di motivazione per illogicità assoluta (art. art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.) per avere il Tribunale male interpretato ed applicato con motivazione assolutamente non convincente il principio “bis in idem cautelare” che preclude la nuova emissione del medesimo titolo sulle stesse cose già in precedenza sequestrate, laddove il decreto sia stato annullato per ragioni sostanziali;
il medesimo vizio è dedotto con riferimento alla male argomentata sussistenza del fumus commissi delicti rispetto alla ipotesi rubricata.
Decisione della Suprema Corte
Il ricorso è inammissibile, giacché proposto fuori dai casi previsti dalla legge.
Nella nozione di “violazione di legge”, per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non la contraddittorietà o l’illogicità manifesta della stessa, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004; si vedano anche, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, e Sez. U, n. 5 del 26/02/1991, Bruno; seguite da Sez. 6, n. 7472, del 21/1/2009, Rv. 242916; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Rv. 248129; Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013; Sez. 2, n. 5807, del 18/1/2017, Rv. 269119; più recentemente, Sez. 6, n. 4857/19, del 14/11/2018).
Non può pertanto essere proposta come violazione della legge, sostanziale o processuale, la scarsa persuasività degli argomenti spesi dal Tribunale per fondare la decisione di rigetto dell’istanza di riesame.
I motivi di ricorso, oltre a recare chiara indicazione del vizio di motivazione denunziato e non censurabile in questa sede di legittimità, si sviluppano pure, nel corpo della impugnazione, in una denuncia di non persuasività della motivazione, come riconosce lo stesso ricorrente, che si duole infatti principalmente del fatto che il Tribunale ha malinteso il senso della impugnazione e non ha offerto corretta risposta argomentativa alle deduzioni in tema di legittimità del possesso delle cose in sequestro.
Né ha fondamento alcuno la dedotta violazione del principio che fa divieto di rinnovare il vincolo cautelare sulla medesima res in relazione al medesimo fatto-reato (ne bis in idem cautelare).
In primo luogo, giova evidenziare che il vincolo apposto sulla res non costituisce misura cautelare, ma strumento (sequestro probatorio) di apprensione della res a fini dimostrativi del fatto contestato.
Il principio del bis in idem cautelare non può pertanto trovare cittadinanza in una materia che cautelare non è.
In ogni caso, giova comunque ricordare che secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, anche nella sua massima espressione di collegialità, il divieto di bis in idem costituisce un principio generale dell’ordinamento finalizzato a impedire l’eventualità di processi simultanei (in questo senso, Corte cost., n. 27 del 1995; ord. n. 318 del 2001; ord. n. 39 del 2002); principio operante anche in materia cautelare, ivi compreso l’ambito del c.d. giudicato cautelare.
In base a tale principio, il potere del PM di richiedere l’applicazione di una misura cautelare deve ritenersi esaurito con la prima richiesta, sicché esso non può essere esercitato nuovamente, in pendenza del relativo procedimento cautelare, conseguente, ad esempio, all’eventuale esperimento delle impugnazioni, salvo, ed è questo l’aspetto rilevante ai fini della definizione della regiudicanda, che la domanda fondi su elementi “nuovi”, riguardanti l’aspetto indiziario o il profilo delle esigenze, ovvero che il precedente vincolo sia caducato per motivi formali.
Più specificamente, le Sezioni unite hanno precisato che il divieto di bis in idem, costituente principio generale dell’ordinamento ai sensi dell’art. 12 delle Preleggi, rinviene la sua matrice «nella categoria della preclusione processuale», la quale si risolve nell’impedimento dell’esercizio di un potere altrimenti attribuito ai soggetti del processo, come, per quanto qui di rilievo, nel caso di un pregresso esercizio dello stesso potere, con conseguente sua “consumazione” e inevitabile paralisi, non solo della promovibilità dell’azione, ma anche del potere del giudice investito, precedentemente, della cognizione sull’identica regiudicanda; tanto al fine di impedire ulteriori interventi giudiziari in assenza di un mutamento del quadro procedimentale di riferimento, onde prevenire la formazione di contrasti tra decisioni e la strumentalizzazione delle forme e dei percorsi processuali (Sez. U, n. 24655 del 28/6/2005, Donati, Rv. 231800; sul tema v. anche Sez. U. n. 18339 del 31/3/2004, Doneli, Rv. 227358; Sez. U., n. 7931 del 16/12/2010, Testini, Rv. 249001).
Nondimeno, è stato precisato che il procedimento cautelare, per la ratio che lo contraddistingue, postula la necessità che i suoi provvedimenti possano andare incontro a un tendenziale adeguamento al mutare delle situazioni; sicché l’«idem», il cui «bis» è precluso, non può concretarsi ed esaurirsi, in ambito cautelare, come avviene invece nel processo cognitivo, nella mera identità del fatto, ma ricomprende, necessariamente, anche l’identità degli elementi posti (e valutati) a sostegno o a confutazione di esso e della sua rilevanza cautelare.
Coerentemente con tale impostazione è stato, quindi, perfino affermato che, in tema di misure cautelari, qualora il PM, nelle more della decisione su una impugnazione incidentale de libertate, intenda utilizzare, nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto, elementi probatori “nuovi”, può scegliere se riversarli nel procedimento impugnatorio ovvero porli a fondamento di una nuova mozione cautelare, ma, una volta effettuata in un senso la scelta, gli è precluso di coltivare l’altra (Sez. 5, n. 29495 del 14/5/2018, Rv. 273482); e ancora che, in pendenza di un’impugnazione incidentale de libertate, il PM, a fronte di sopravvenuti nuovi elementi, può avanzare per il medesimo fatto nuova richiesta cautelare al giudice per le indagini preliminari che, una volta accolta, rende improcedibile l’impugnazione pendente (Sez. 3, n. 18031 del 18/1/2019, Rv. 275958; Sez. 1, n. 36679 del 20/6/2013, Rv. 256887).
Nel caso di specie, deve osservarsi che il PM procedente ha assunto la nuova iniziativa probatoria, apprendendo i medesimi beni, già oggetto di sequestro probatorio annullato (per difetto di elementi atti ad integrare il “tipo” ricettazione), sulla base di una contestazione “nuova” (esercizio abusivo del credito), fondante sull’apprezzamento di una nuova e differente condotta di reato, peraltro abituale e non istantaneo, come la ricettazione.
Ciò in quanto ha rappresentato la nuova necessità di annettere la res al procedimento, per esigenze dimostrative del fatto contestato.
Talché, si versa evidentemente fuori da una situazione di bis in idem, potendo escludersi in radice la sovrapposizione a un provvedimento cautelare in essere, di altro provvedimento cautelare nei confronti della stessa persona, per gli stessi fatti, differente e rinnovata essendo la morfologia del fatto, che non si sovrappone, ma succede ad altra cautela, invalidata per difetto di elementi integrativi del nomen iuris.
