La riforma costituzionale della magistratura: un confronto mancato (Marco Eller Vainicher)

Ormai ogni giorno si sprecano le analisi della riforma costituzionale della magistratura (impropriamente chiamata ‘della giustizia), scomodando i personaggi più autorevoli, in gran parte e purtroppo venuti a mancare, alcuni, fortunatamente, in buona salute: da Casavola a Barbera, da Falcone a Tortora a Borsellino, fino a Carnelutti e Calamandrei.

Non so se a breve avremo anche un’analisi dell’attuale riforma scritta da Lidia Poët, forse dobbiamo attendere qualche autorevole fonte della stampa periodica che lo suggerisca.

E poi c’è la serie di argomenti ‘forti’: è in pericolo la democrazia (lo sarebbe che passi o che non passi il referendum, quindi assai inutile preoccuparsene); la magistratura sarà meno indipendente (argomento che, nella Costituente entusiasmava Togliatti) o sarà sotto il controllo dell’Esecutivo (questo invece piaceva a Leone) o avremo un PM superpoliziotto che non sa nuotare nel mare magnum della cultura della giurisdizione e che sarà indipendente da chiunque ed incontrollabile.

Tutti argomenti fortissimi eh, per carità, mancano il “ce lo chiede l’Europa” o “in tutto il mondo tengono separate le magistrature” (due cose tanto vere quanto inutili, ma prima o poi verranno fuori), e sicuramente più interessanti di un PM in crisi di identità che è contemporaneamente soggetto alla volontà politica, alla legge, senza alcun freno, che anzi indaga i giudici che non gli danno ragione (poi qualcuno, Roberto Crepaldi, GIP del Tribunale di Milano, per esempio, ci ricorda che è già successo, e dunque non cambierebbe nemmeno questo).

L’unico soggetto assente dal dibattito è la riforma: perché l’assetto attuale è sbagliato o perché l’assetto attuale è ottimo è la vera problematica da comprendere.

Parto dalla considerazione che la riforma è mediocre, cambia poco o nulla e soprattutto non risolve i problemi che affliggono la giustizia: per valutare davvero il valore di una riforma, infatti, occorre fare riferimento all’ergonomia, quindi, quale scopo persegue e se sia o meno, teoricamente, in grado di perseguirlo.

Da questo punto di vista la riforma non è idonea a raggiungere lo scopo dichiarato di rimediare alla lentezza dei processi, perché non è dedicata a questo, né di separare realmente i procuratori dai giudici, perché sarà necessaria una radicale revisione dell’ordinamento giudiziario e del funzionamento del CSM, che rischia di essere eletto con l’attuale legislazione; se poi consideriamo che manca poco più di un anno alla fine della legislatura e che, dal 1992, abbiamo avuto una costante alternanza di orientamento politico, possiamo essere certi che la riforma sarà subito abrogata (magari per rifarla identica).

D’altro canto, la separazione tra Giudici e Procuratori già esiste:

  1. l’articolo 101 assoggetta alla legge (e solo alla legge) i giudicanti, per cui già i Procuratori potrebbero essere assoggettati all’esecutivo;
  2. l’articolo 107 suddivide i magistrati per funzioni (le funzioni, per nota, sono inquirente, requirente, giudicante ed ispettiva);
  3. sempre l’articolo 107 stabilisce che se per i giudici le garanzie sono previste nella Costituzione, per i Procuratori sono fissate dalla legge ordinaria (ancora una volta nulla vieta, già oggi, di assoggettarli all’esecutivo);
  4. l’articolo 108 precisa che i giudici ed i procuratori delle giurisdizioni speciali sono soggetti a regole diverse (come lo sono anche gli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia);
  5. l’articolo 112 pone in capo al solo Ufficio di Procura il compito di promuovere l’azione giudiziaria (che il giudice non potrà disporre, nemmeno con l’imputazione coatta);

D’altro canto, la parità tra Procuratori della Repubblica e Procuratori Legali – Avvocati (visto che l’Avvocato è ancora Procuratore Legale di diritto) è già fissata dall’articolo 111, che impone anche la terzietà del giudice e la ragionevole durata del processo.

Insomma, la riforma fissa gli stessi principi, ma con un maggior numero di parole.

Allora è una riforma inutile se non dannosa? No, è solo una riforma scarsamente utile, non inutile, perché non cambia realmente la situazione, ma, al contempo, è un passo in avanti nella direzione di un progetto di trasformazione del modello processuale di fine Ottocento – primi Novecento di cui si favoleggia sin dal 1947, poi rinviato per mille motivi: la riappacificazione nazionale, il boom economico, il terrorismo, fare un dispetto a Berlusconi, il bipolarismo, il dichiarato amichettismo verso certe inchieste giudiziarie.

Per ogni periodo c’è stato un motivo per rinviare la riforma e i malpensanti potrebbero dire ‘una inchiesta giudiziaria’, peraltro, negli anni è stata proposta da entrambi gli schieramenti, anche se nessuno ha mai avuto i numeri per portare a compimento il progetto.

Votare sì oggi cambierebbe poco, ma ci porterebbe nella direzione giusta, votare no oggi significa mettere l’eterno stop ad una riforma che aspetta da quasi ottant’anni.

Per questo, nel mio piccolo, pur non essendo uno degli importanti giuristi che sono scesi in campo, pur convinto che questa riforma non sia quello di cui abbiamo bisogno (ne ho spiegato i motivi: qui e qui), sono convinto della necessità di votare per il SÌ.

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