Assumere incarichi per il tramite di una società senza ricevere mandato direttamente dalla parte assistita, il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza numero 186/2025 ha stabilito che pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che assuma pratiche per il tramite di un’agenzia e svolga attività professionale senza ricevere il mandato diretto della parte assistita così ponendo in essere un’ipotesi di non consentito accaparramento della clientela.
Decisione:
Quanto alla contestazione relativa all’ accaparramento della clientela, secondo il CDD l’Avv. [RICORRENTE] si è avvalsa dell’acquisizione di mandati professionali, procurati o procacciati dalla società “[AAA] s.r.l.” la quale non si era limitata a consigliare il legale al cliente, ma lo aveva indicato e sostanzialmente imposto (per espressa indicazione ed invito da parte della stessa Società, vedi art. 1) della tripolare “Convezione per incarico” in atti).
L’opera della società, continua il CDD, si è concretizzata in un’attività che le ha procacciato o “rastrellato” dei clienti, non in ragione di un’autonoma individuazione del professionista o della fiducia in essi suscitata, ma grazie ad un’opera di altrui promozione e, di fatto, imposizione.
L’accettazione, poi, della clausola contenuta nella scrittura privata del 11.07.17, con la promessa di agire senza corrispettivo nei confronti dell’eventuale cliente inadempiente, integra il concetto di “promessa di vantaggi” alla società procacciante, puntualmente tipizzato quale illecito al comma 3 del medesimo articolo.
Nello stesso senso il CDD ha evidenziato l’impegno a svolgere attività gratuita e senza rimborso delle spese nel caso di rigetto del ricorso ex lege 89/2001.
Orbene, mette conto rilevare che è deontologicamente rilevante il comportamento della ricorrente che ha assunto pratiche per il tramite di una società senza ricevere mandato direttamente dalla parte assistita come sancito dall’art. 37 CDF (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 12 settembre 2018, n. 104).
La censura per questo motivo non coglie nel segno.
Quanto alla determinazione della sanzione il CDD di Bologna ha comminato, con la decisione gravata, la sospensione attenuata dall’esercizio dell’attività professionale per mesi due per la violazione dell’art. 24 del CDF rispetto a quella edittale che prevede la sospensione dall’attività professionale da 1 a 3 anni valorizzando la collaborativa condotta dell’incolpata, l’assenza di procedimenti disciplinari nonché la interruzione di qualsiasi rapporto con la società “[AAA] s.r.l.” .
Tale dosimetria è corretta ed in linea con il principio enunciato nell’art. 21 del NCDF in quanto appare essere non la somma di altrettante pene singole sui vari addebiti contestati, quanto invece il frutto della valutazione complessiva delle condotte dell’incolpata anche successive ai fatti.
Il C.N.F., pertanto, sulle tratteggiate coordinate esegetiche, rigetta il ricorso proposto dall’avv. [RICORRENTE] e conferma l’impugnata decisione del CDD di Bologna del 7.12.2022.
Consiglio Nazionale Forense (pres. Greco, rel. Cosimato), sentenza n. 186 del 4 luglio 2025
