Scopo dell’indagine
Il DDL costituzionale A.S. 1353-B approvato dalle Camere prevede all’art.105 l’istituzione dell’Alta Corte Disciplinare, quale unico organo giurisdizionale deputato a decidere in ordine alla responsabilità disciplinare dei magistrati, sottraendo così tale funzione al C.S.M.
Al contempo la disposizione stabilisce che le sentenze dell’Alta Corte potranno essere impugnate “soltanto” dinanzi alla stessa Alta Corte, così derogando all’art.111 della Costituzione, nella parte in cui esso sancisce che contro le sentenze pronunciate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge.
Il presente scritto si propone di analizzare il testo approvato con particolare riferimento al suo ultimo comma, ove si rimette al legislatore ordinario di assicurare “che i magistrati giudicanti o requirenti siano rappresentati nel collegio”, senza però stabilire la misura di questa rappresentanza.
Il quesito che ci si porrà è in particolare se, alla luce della presente formulazione, il legislatore ordinario sia o meno tenuto a formare i collegi giudicanti in modo tale da rispettare le proporzioni stabilite dal comma terzo per la formazione dell’Alta Corte, le quali parrebbero in effetti garantire l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura per tramite della prevalenza della componente togata su quella di nomina/estrazione politica.
Il testo normativo del nuovo art. 105, Cost.
“Spettano a ciascun Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme sull’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di professionalità e i conferimenti di funzioni nei riguardi dei magistrati.
La giurisdizione disciplinare nei riguardi dei magistrati ordinari, giudicanti e requirenti, è attribuita all’Alta Corte disciplinare.
L’Alta Corte è composta da quindici giudici tre dei quali nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio e tre estratti a sorte da un elenco di soggetti in possesso dei medesimi requisiti, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, nonché da sei magistrati giudicanti e tre requirenti, estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità.
L’Alta Corte elegge il presidente tra i giudici nominati dal Presidente della Repubblica o estratti a sorte dall’elenco compilato dal Parlamento in seduta comune.
I giudici dell’Alta Corte durano in carica quattro anni. L’incarico non può essere rinnovato.
L’ufficio di giudice dell’Alta Corte è incompatibile con quelli di membro del Parlamento, del Parlamento europeo, di un Consiglio regionale e del Governo, con l’esercizio della professione di avvocato e con ogni altra carica e ufficio indicati dalla legge.
Contro le sentenze emesse dall’Alta Corte in prima istanza è ammessa impugnazione, anche per motivi di merito, soltanto dinanzi alla stessa Alta Corte, che giudica senza la partecipazione dei componenti che hanno concorso a pronunciare la decisione impugnata.
La legge determina gli illeciti disciplinari e le relative sanzioni, indica la composizione dei collegi, stabilisce le forme del procedimento disciplinare e le norme necessarie per il funzionamento dell’Alta Corte e assicura che i magistrati giudicanti o requirenti siano rappresentati nel collegio”.
Il fondamento del principio di necessaria proporzionalità della Sezione disciplinare del C.S.M. nella lente della Consulta
Con la sentenza n. 12 del 1971 la Corte costituzionale affronta due questioni relative alla formazione di commissioni in seno al CSM: 1) la possibilità di costituirle; 2) ove ammessa, le modalità di composizione delle stesse.
In particolare, la sentenza si pronunzia sulla questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 18 dicembre 1967, n. 1198, nella parte in cui essi “demandano la cognizione dei procedimenti disciplinari, anziché all’intero Consiglio, ad una sezione di esso composta di quindici membri eletti all’interno dell’organo, la quale delibera, poi, con solo nove componenti estratti a sorte”.
La Corte, ammessa la possibilità di creare commissioni in seno al CSM con legge ordinaria, dichiara però costituzionalmente illegittimo l’art.2 in quanto la selezione dei componenti della sezione disciplinare tramite sorteggio non garantisce il rispetto delle proporzioni stabilite dall’art.104 Cost.
La Consulta, dunque, afferma il principio di necessaria corrispondenza tra le proporzioni del CSM come disegnate nella Costituzione e quelle della sua sezione disciplinare.
Il rispetto di tale principio tuttavia è qualificato dalla Consulta come un corollario della specifica natura giuridica e funzione del CSM: “il Consiglio superiore è stato voluto dalla Costituzione in diretta attuazione del principio secondo il quale ” la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere” (art. 104) e che, in funzione di siffatta garanzia, ad esso è stato riservato (art. 105) ogni provvedimento concernente lo stato dei magistrati….A diversa conclusione si deve invece pervenire per l’art. 2, secondo il quale, nell’ambito della sezione, il collegio deliberante per il singolo procedimento è composto, oltre che dal vice presidente, da due membri eletti dal Parlamento, da tre magistrati di Cassazione (di cui uno con ufficio direttivo) e da tre magistrati di appello o di tribunale: tutti prescelti col metodo del sorteggio fra i componenti della Sezione. In base a quanto innanzi è stato precisato, la norma risulta viziata di illegittimità costituzionale perché consente che il singolo collegio possa risultare composto con la totale esclusione dei magistrati di appello o dei magistrati di tribunale. Vero è che l’ultima parte del primo comma prevede che “almeno due” dei suddetti magistrati debbano appartenere alla stessa categoria dell’incolpato e che il secondo comma stabilisce che, procedendosi nei confronti di un uditore o di un aggiunto, due dei componenti debbano essere magistrati di tribunale: ma è ovvio che anche in questi casi il meccanismo é tale da poter comportare l’esclusione dal collegio di tutti i magistrati di appello o di tutti i magistrati di tribunale. E risulta con ciò violato l’art. 104 Cost., perché nell’esercizio di una delle più delicate competenze del Consiglio, non è assicurata la presenza di tutte le categorie che, in base alla stessa legge, concorrono alla formazione del consesso unitario”.
La tenuta del principio di necessaria proporzionalità nei collegi dell’Alta Corte
Secondo quanto riportato dalla relazione illustrativa al DDL costituzionale A.S. 1353-B, approvato dalle Camere, la scelta di attribuire la competenza disciplinare ad un’apposita Alta Corte deriva “dal particolare rilievo della materia disciplinare e dalla connotazione giurisdizionale che il relativo procedimento ha assunto”. La definizione è laconica, ma l’assenza di riferimenti alla funzione di tutela dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura induce a ritenere che si intenda istituire un giudice speciale. Questa soluzione mi pare confortata anche dalla composizione promiscua dell’Alta Corte, disomogenea rispetto a quella dei due C.S.M.
Essendo mutate le funzioni e la natura giuridica dell’organo disciplinare, deve escludersi che i principi scanditi dalla Consulta con la summenzionata sentenza n.12 del 1971 debbano trovare applicazione anche con riferimento alla composizione dei collegi dell’Alta Corte.
Tanto premesso, è lecito chiedersi se la nuova formulazione dell’art.105 garantisca comunque detta proporzionalità.
In altre parole, è possibile che la legge ordinaria stabilisca che i singoli collegi non rispettino le proporzioni previste dal comma 3 per la formazione dell’Alta Corte?
L’interrogativo non mi pare peregrino.
Al contrario questa perplessità trova un puntuale riscontro proprio nella formulazione dell’ultimo comma dell’art.105 Cost., il quale rimanda alla legge ordinaria il compito di assicurare “che i magistrati giudicanti o requirenti siano rappresentati nel collegio”.
L’utilizzo della congiunzione disgiuntiva “o” non può avere altro significato che quello di escludere il principio di necessaria corrispondenza proporzionale tra l’Alta Corte ed i suoi collegi.
La composizione dell’Alta Corte di cui al comma 3 prevede invero l’inclusione sia di magistrati requirenti che giudicanti.
Dunque, se si fosse voluto che ogni collegio rispettasse le proporzioni del comma tre, la formulazione avrebbe dovuto essere la seguente “che i magistrati giudicanti e requirenti siano rappresentati nel collegio”.
Anche il mancato riferimento al rispetto delle proporzioni di cui al comma 3 nell’ultimo comma mi pare indice della volontà di lasciare il legislatore ordinario libero di formare i collegi secondo criteri diversi da quelli di proporzionalità.
Sarà dunque ben possibile che con legge ordinaria si preveda in alcuni casi la prevalenza della componente di estrazione politica rispetto a quella di estrazione togata.
Non è assurdo immaginare una legge che vari la composizione in ragione del capo di incolpazione contestato.
In tal caso la scelta del collegio sarebbe rimessa all’organo che promuove l’azione disciplinare.
Attualmente esso è rappresentato dal Ministro della Giustizia (per espressa previsione costituzionale) e dal Procuratore Generale presso la Corte di cassazione (in virtù di legge ordinaria).
Poiché tuttavia l’intenzione della riforma pare quella di recidere ogni nesso tra il CSM e la funzione disciplinare, pare molto probabile che questa competenza verrà sottratta al Procuratore, in quanto membro di diritto del CSM della magistratura requirente.
L’effetto complessivo potrebbe dunque essere quello di rimettere all’Esecutivo la scelta della composizione del collegio.
In ogni caso, quali che siano le scelte che saranno operate dal legislatore ordinario, pare evidente come la formulazione dell’ultimo comma dell’art.105 Cost e la non impugnabilità delle sentenze dell’Alta Corte innanzi alla Cassazione sono elementi che, combinati, rischiano di minare seriamente l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura.

Il dubbio è più astratto che concreto.-
A fronte della composizione dell’Alta Corte (6 componenti di estrazione politica e 9 di derivazione giudiziaria), della possibilità di un “appello” anche per ragioni di merito, della tipologia di giudizio (quantomeno a maggioranza), della necessità di uno spacchettamento dei componenti (alla luce dell’incompatibilità tra i componenti di primo grado e quelli di appello), difficilmente si potrà artificiosamente creare un collegio a maggioranza di componenti di estrazione “politica” (a meno di non concepire uno sbilanciamento “pilotato” in primo grado, facilmente emendabile in appello).-
Ciò che realmente preoccupa la magistratura militante e l’assenza di proporzione nella designazione dei componenti di derivazione giudiziaria. La maggioranza (cfr. 6 componenti) di estrazione giudicante, non piace ai requirenti (da tempo detentori di un oscuro potere di controllo ed indirizzo)
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