La Cassazione penale sezione 1 con la sentenza numero 38799 depositata il 1 dicembre 2025 (allegata al post) segnalataci dal collega Antonino Napoli, che ringraziamo, ha ricordato che, anche per i detenuti al 41 bis la detenzione è incompatibile quando il ristretto non risponde più alle cure disponibili.
La Suprema Corte premette che l’art. 146, comma 3, cod. pen. obbliga il giudice al differimento dell’esecuzione della pena in presenza di una «malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative».
Il differimento è invece previsto come facoltativo dall’art. 147, comma 1, n. 2, cod. pen. nell’ipotesi in cui il condannato risulti affetto da «una grave infermità fisica».
L’art. 47 ter, comma 1 ter, ord. pen. stabilisce, infine, che, nelle anzidette ipotesi di rinvio della esecuzione della pena, il tribunale di sorveglianza può applicare provvisoriamente la detenzione domiciliare.
Sulla base di questi dati normativi la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che lo stato di salute incompatibile con il regime carcerario non sia limitato alla patologia implicante un imminente pericolo per la vita, estendendosi esso «ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare una condizione inumana e degradante di espiazione della pena» (Sez. 1, n. 22373 dell’8/05/2009, Aquino, Rv. 244132; Sez.1, n. 16681 del 24/1/2011, Buonanno, Rv. 249966); si è specificato a tale proposito che, ai fini dell’accoglimento di un’istanza di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena detentiva per gravi motivi di salute, ai sensi dell’art. 147, comma primo, n. 2, cod. pen., non è necessaria un’incompatibilità assoluta tra la patologia e lo stato di detenzione, ma occorre pur sempre che l’infermità o la malattia siano tali da comportare un serio pericolo di vita, o da non poter assicurare la prestazione di adeguate cure mediche in ambito carcerario, o, ancora, da causare al detenuto sofferenze aggiuntive ed eccessive, in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità al quale deve essere improntato il trattamento penitenziario (Sez. 1, n. 27352 del 17/05/2019, Rv. 276413).
Il principio di diritto che governa la materia è poi nel senso che, affinché possa disporsi il rinvio dell’esecuzione della pena a causa di grave infermità fisica, occorre la contemporanea presenza di due autonomi presupposti.
Deve in primo luogo riscontrarsi la sussistenza di una malattia oggettivamente qualificabile in termini di gravità, che implichi un serio pericolo per la vita del condannato o importi comunque la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose (il requisito della gravità deve qui leggersi attenendosi ad una accezione particolarmente rigorosa, considerando sia il principio di indefettibilità della pena, sia il principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge).
Deve inoltre ricorrere la possibilità che il condannato – una volta tornato in libertà – possa fruire di cure e trattamenti sostanzialmente diversi e dotati di efficacia maggiore, rispetto a quelli che possono essere apprestati in ambiente carcerario, magari anche attraverso lo strumento del ricovero in luoghi esterni di cura.
Non basta quindi che la patologia incida in modo rilevante sulla salute del soggetto e possa genericamente regredire, attraverso il ritorno alla libertà; la norma postula invece che la malattia si appalesi di tale gravità, da porre la prosecuzione dell’esecuzione della pena in conflitto con il senso di umanità, ispiratore di norme di rango costituzionale (artt. 3, 25, 27 e 32 Cost.).
La valutazione sopra delineata è demandata ovviamente al giudice e può eventualmente richiedere l’ausilio di un perito (Sez. 1, n. 1033 del 13/11/2018, Galli, Rv. 276158-01); il ricorso allo strumento della perizia di tipo sanitario assume invece il connotato della doverosità, laddove il giudice — disponendo già di documentazione clinica atta a provare l’incompatibilità delle condizioni di salute del soggetto con il regime detentivo ritenga di non accogliere l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena (Sez. 1, n. 54448 del 29/11/2016, Morelli, Rv. 269200).
La giurisprudenza di legittimità ha anche avuto modo di chiarire quanto segue: «Il giudice chiamato a decidere sul differimento dell’esecuzione della pena o, in subordine, sull’applicazione della detenzione domiciliare per motivi di salute deve effettuare un bilanciamento tra le istanze sociali correlate alla pericolosità del detenuto e le condizioni complessive di salute di quest’ultimo con riguardo sia all’astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici disponibili, sia alla concreta adeguatezza della possibilità di cura ed assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al predetto valutando anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico» (Sez. 1, n. 37062 del 09/04/2018, Acampa, Rv. 273699 – 01).
Tanto premesso, la motivazione posta a fondamento della decisione impugnata non esprime una logica e coerente applicazione dei principi ermeneutici sopra enunciati.
Il grave quadro clinico patologico, emergente dall’ultima relazione proveniente dall’area sanitaria dell’istituto di detenzione del 19/02/2025, è stato ritenuto non incompatibile con il regime detentivo, sul presupposto che le attuali condizioni di salute generale del detenuto fossero stabili, discrete e soddisfacenti, e che lo stesso fosse adeguatamente trattato e monitorato per le patologie delle quali è affetto; precisava il tribunale come la documentazione clinica più recente attestasse che la neoplasia polmonare non presentava segnali di recidiva né di accresciuta criticità o di non rispondenza alle terapie farmacologiche.
I giudici hanno, tuttavia, omesso di considerare che la relazione dei consulenti tecnici di parte, dott. e allegata al ricorso in ossequio al principio di autosufficienza, datata 01/04/2025 (successiva quindi all’ultima relazione proveniente dall’area sanitaria del carcere), avesse evidenziato un aggravamento delle condizioni del detenuto, essendo specificato che la malattia oncologica, con particolare riferimento alle metastasi al cervello, non è in regressione.
Nella relazione di parte si evidenzia poi il mancato rispetto dei tempi consigliati per i controlli, e l’eccessivo lasso temporale tra esami strumentali e consulenza specialistica oncologica, con riflessi sulla mancanza di cure idonee e tempestive; si specifica infine che la struttura carceraria è inadeguata per la gestione di un paziente oncologico con metastasi cerebrali.
A fronte di una relazione medico legale di parte che attestava l’incompatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario, il tribunale di sorveglianza non ha fatto buon governo del principio di diritto affermato più volte dalla Suprema Corte secondo cui il giudice che, in presenza di dati o documentazione clinica attestanti l’incompatibilità delle condizioni di salute del condannato con il regime carcerario, ritiene di non accogliere l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena o di detenzione domiciliare per motivi di salute deve disporre gli accertamenti medici necessari, nominando un perito (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 54448 del 29/11/2016, Rv. 269200 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 39798 del 16/05/2019, Rv. 276948 – 01).
Sul punto, il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata appare, invece, del tutto inadeguato rispetto alla conclusione cui approda – in punto di adeguatezza delle cure prestate al detenuto e di compatibilità dello stato di salute del predetto con il regime carcerario -, in quanto carente di obiettivi supporti medico-scientifici, che il tribunale avrebbe potuto acquisire ricorrendo eventualmente allo strumento peritale.
Le carenze ed incoerenze valutative appena evidenziate hanno, infine, inficiato il bilanciamento del diritto del condannato a ricevere le più appropriate cure mediche in ambiente extra murario con le istanze sociali correlate alla pericolosità del predetto, in quanto la non compiutamente accertata curabilità in carcere delle patologie del detenuto ha reso indefinito il primo dei due poli del giudizio, facendo sì che al secondo venisse accordata una indebita valenza primaria.
Le considerazioni sopra svolte impongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con il conseguente rinvio al Tribunale di sorveglianza di Milano, per un nuovo esame, che dovrà essere eseguito nel rispetto dei principi che si sono enunciati
Nel ringraziare il collega Antonino Napoli per la segnalazione riportiamo alcuni post pubblicati in tema di differimento pena nelle forme della detenzione domiciliare per gravi condizioni di salute:
