Separazione delle carriere: perché votare e far votare SI (Riccardo Radi e Mauro Trogu)

Dobbiamo votare e far votare Si, evitando i convegni per gli addetti ai lavori e utilizzando il tempo impegnandoci giornalmente in un passa parola o meglio in un porta a porta, per spiegare ai cittadini le ragioni della necessità della separazione delle carriere in magistratura.

Con Mauro Trogu, abbiamo provato a scrivere questo post immaginando di rispondere ad una domanda di un amico che ci chiede perchè votare Si:

In estrema sintesi possiamo dire questo: la riforma contribuirà col tempo a vedere formare classi di giudici più imparziali.

Cerchiamo di spiegarci.

Attualmente i giudici e i pubblici ministeri sono a tutti gli effetti colleghi: entrambi sono magistrati; frequentano gli stessi corsi di formazione; un giudice nel corso della carriera può scegliere di iniziare a fare il pubblico ministero e viceversa; nelle commissioni (dello stesso consiglio superiore della magistratura) che valutano la professionalità dei giudici ci sono pubblici ministeri e viceversa, quindi si danno i voti a vicenda e da questi voti dipendono i loro aumenti di stipendio; quando un giudice è sottoposto a procedimento disciplinare la commissione (dello stesso consiglio superiore della magistratura) sarà composta anche da pubblici ministeri e viceversa.

Insomma, ci sono tante ragioni per le quali i giudici e i pubblici ministeri non hanno nessun interesse a mettersi gli uni contro gli altri.

Tutto questo ha un grande rilievo perché nel processo penale vige il principio della domanda, e cioè il giudice decide su una domanda che gli formula il pubblico ministero (ad esempio: il pubblico ministero chiede il rinvio a giudizio dell’imputato, oppure chiede la condanna dell’imputato, oppure chiede la custodia cautelare in carcere dell’imputato, etc.), talvolta dopo aver sentito anche la difesa (non in tutti i casi la difesa ha il diritto di intervenire prima che il giudice abbia deciso: non capita quando sono chieste le intercettazioni, in certi casi non capita neppure quando viene chiesta la custodia cautelare dell’indagato).

Dall’insieme dei rapporti che abbiamo descritto sopra, deriva che le richieste del pubblico ministero vengono accolte con una frequenza altissima (in particolare le richieste di intercettazione, quelle di custodia cautelare e di rinvio a giudizio hanno percentuali di accoglimento che sfiorano il 100%, dati pubblicati dal ministero della giustizia), perché il giudice si fida tantissimo, troppo, del suo collega, e non ha interessi particolari a ostacolarlo.

Da ciò deriva che la difesa ha un peso inferiore, viene guardata con molta più diffidenza, le sue richieste sono sottoposte a vagli molto più stringenti.

La riforma, pur lasciando che pubblici ministeri e giudici restino magistrati, li vuole formare facendoli passare per due concorsi distinti, sottoponendoli a due consigli superiori della magistratura con valutazione della professionalità distinti e togliendo agli uni il potere disciplinare sugli altri, per evitare che si possano scambiare trattamenti di favore (in Italia il 99,7% delle domande di valutazione della professionalità dei magistrati sono positive, e i procedimenti disciplinari che si concludono con condanne serie si contano sulla dita di una, forse due mani.

Se questi dati fossero lo specchio della realtà dovremmo avere i magistrati migliori del mondo, quasi infallibili e instancabili nel loro lavoro, mentre nella vita quotidiana vediamo cose ben diverse…).

L’obbiettivo è quindi quello di avere un giudice più imparziale, meno soggetto alle influenze del pubblico ministero che accusa, e che quindi possa valutare con più obiettività la posizione dei cittadini che di volta in volta sono sottoposti a processo.

Questo si traduce in una garanzia per le persone che, sfortunatamente o meritatamente, si venissero a trovare sottoposte a un processo penale”.

Siamo riusciti a convincere l’ipotetico amico?

Forse ni, ma siamo convinti che dalla teoria bisogna passare alla pratica e ci impegneremo, in ogni occasione, a parlare con amici e conoscenti, magari con sconosciuti sulla metro o sull’autobus delle ragioni del Si.

Io e Mauro siamo consapevoli di non avere in mano verità assolute ma siamo memori che nel 2019 il vice-presidente del CSM disse “o sapremo riscattarci o saremo perduti”, a distanza di sei anni nulla è cambiato e il Si getterà un sasso nello stagno.

Un sasso che proverà a sovvertire le degenerazioni di un sistema che nessuno potrà negare.

Ci riuscirà?

Non è affatto detto che la riforma costituzionale sia in grado, come per incanto, di riportare i PM entro l’alveo fisiologico che avrebbero dovuto occupare secondo la visione del Codice Vassalli, di liberare il CSM dall’attuale presa ferrea delle correnti organizzate della magistratura che spesso dialogano sotto banco con la politica, di ripristinare gli equilibri che dovrebbero essere connaturali al giusto processo.

Non abbiamo la presunzione di saperlo, abbiamo solo la speranza racchiusa in questa frase: “Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare Winston Churchill

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