Sospensione condizionale della pena: non violato il divieto di reformatio in peius se il giudice d’appello, in assenza di impugnazione del PM, subordina il beneficio all’adempimento di un obbligo (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 30237/2025, 17 giugno/4 settembre 2025, ha chiarito, in tema di sospensione condizionale della pena, che non viola il divieto di “reformatio in peius” il giudice di appello che, in assenza di impugnazione, sul punto, della parte pubblica, modifica in senso peggiorativo le modalità di applicazione del già concesso beneficio, subordinandolo all’adempimento di uno degli obblighi previsti dall’art. 165 cod. pen. (fattispecie in cui la sospensione condizionale era stata concessa dal primo giudice a persona che, in precedenza, ne aveva già fruito).

Il comma 3 dell’art. 597 cod. proc. pen., così recita: “Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado“.

La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di rilevare che, per espressa previsione della citata disposizione, il divieto riguarda la sola revoca dei benefici in quanto, come già sostenuto dalla dottrina, il divieto di reformatio in peius ha carattere eccezionale, il che preclude, di conseguenza, la possibilità di ampliarne l’ambito applicativo per analogia, anche se in bonam partem.

Da tale affermazione consegue ulteriormente l’impossibilità di ritenere operante il predetto divieto anche con riferimento alle modalità di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Invero, l’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. riconduce all’ambito applicativo del predetto divieto, per quanto in questa sede rileva, unicamente la “revoca del beneficio”, e, pertanto, a tale dato letterale occorre necessariamente limitarsi nel definire l’operatività del divieto, che non ricomprende, quindi, il caso – diverso dalla revoca del beneficio – in cui il giudice d’appello modifichi, in senso peggiorativo, le modalità di applicazione del beneficio, condizionandolo all’adempimento di uno degli obblighi previsti dall’art. 165, cod. pen. (Sez. 2, n. 34727 del 30/06/2022, Rv. 283845 – 02).

Tale orientamento giurisprudenziale deve ritenersi ormai consolidato, a maggior ragione alla luce delle pronunce che hanno valutato l’esigenza di contemperare il principio di cui all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. con le disposizioni di cui agli artt. 164 e 168, cod. pen. Per costante giurisprudenza, infatti, il provvedimento che dispone, ai sensi dell’art. 168, terzo comma, cod. pen., la revoca della sospensione condizionale, quando il beneficio risulti concesso in presenza delle cause ostative indicate al comma quarto dell’art. 164, cod. pen., ha natura dichiarativa, in quanto ha riguardo ad effetti di diritto sostanziale che si producono ope legis e possono essere rilevati in ogni momento sia dal giudice della cognizione sia, in applicazione del comma 1-bis dell’art. 674, cod. proc. pen., dal giudice dell’esecuzione, e, dunque, anche dal giudice di appello pur in mancanza di impugnazione del pubblico ministero (cfr., Sez. 3, n. 56279 del 24/10/2017, Rv.  272429 – 01; Sez. 5, n.  40466 del 27/09/2002, Rv. 225699 – 01; Sez. 3, n. 40824 del 06/10/2005, Rv. 232895 – 01; Sez. 3, n. 7199 del 23/01/2007, Rv. 236113 – 01).

Applicando tale principio alle ipotesi in cui la sospensione condizionale sia stata illegittimamente disposta, come nel caso di specie, in assenza della necessaria subordinazione ad una delle condizioni previste dall’art. 165 cod. pen., se si è ritenuto che il giudice ben potrebbe disporre direttamente la revoca della sospensione condizionale della pena, tanto più deve ritenersi consentita, sempre anche in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, la subordinazione del già riconosciuto beneficio all’adempimento di uno degli obblighi previsti dall’art. 165, cod. pen. Come già rilevato dalla Suprema Corte, peraltro, questa soluzione garantisce un risultato maggiormente vantaggioso per l’imputato che, in luogo della revoca del beneficio, viene sottoposto ad un regime che, sia pur meno favorevole rispetto all’omessa indicazione della condizione, è comunque più vantaggioso rispetto alla revoca tout court della sospensione. In conclusione, deve ritenersi ormai consolidata la giurisprudenza di questa Corte di legittimità in tema di sospensione condizionale della pena, secondo cui non incorre nel divieto di “reformatio in peius” la corte d’appello che, in difetto di impugnazione sul punto della parte pubblica, si limiti a modificare le modalità di applicazione del beneficio, condizionandolo all’adempimento di uno degli obblighi previsti dall’art. 165, cod. pen. (così, Sez. 6, n. 9063 del 10/01/2023, Rv. 284337 – 01; in senso conforme; Sez. 2, n. 34727/2022, cit.).