Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 37857/2025, 6/20 novembre 2015, ha affermato che la Corte di appello, anche nel caso in cui sia intervenuta nelle more del giudizio di impugnazione la prescrizione del reato, è tenuta a procedere in udienza nel contraddittorio fra le parti, anche in vista di una possibile rinuncia dell’imputato alla prescrizione, ovvero della interlocuzione in ordine all’eventuale applicazione di formule più ampiamente liberatorie.
Le Sezioni unite penali, nel ribadire il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui nel giudizio d’appello non è consentita la pronuncia di sentenza predibattimentale di proscioglimento ai sensi dell’art. 469, ovvero dell’art. 129, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 33741 del 04/05/2016, Rv. 267498; Sez. 6, n. 50013 del 24/11/2015, Rv. 265700; Sez. 6, n.28478 del 27/06/2013, Rv. 255862) e il consolidato orientamento per cui la sentenza predibattimentale di appello di proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione, emessa de plano, è viziata da nullità assoluta ed insanabile, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. b) e c), e 179, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 50013 del 24/11/2015, Rv. 265700-01; Sez. 6, n. 10960 del 25/02/2015, Rv. 262833), avevano, tuttavia, affermato che in tale ipotesi la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. U n. 28954 del 27/04/2017, Rv. 269809).
Siffatto percorso argomentativo, tuttavia, è oggi superato dall’intervento della Corte costituzionale che con la sentenza n. 111 del 2022, dopo aver analizzato il diritto vivente così come formatosi a partire dalla decisione della Sezioni unite di cui sopra, ha ritenuto l’interpretazione in essa fornita in contrasto con gli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost. ed ha dichiarato incostituzionale l’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., in quanto interpretato nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto dall’imputato avverso sentenza di appello che, in fase predibattimentale e senza alcuna forma di contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.
La Corte costituzionale con tale sentenza ha rilevato che:
(i) la nozione di “ragionevole” durata del processo deve essere sempre il frutto di un bilanciamento delicato tra i molteplici – e tra loro confliggenti – interessi pubblici e privati coinvolti dal processo medesimo, in maniera da coniugare l’obiettivo di raggiungere il suo scopo naturale dell’accertamento del fatto e dell’eventuale ascrizione delle relative responsabilità nel pieno rispetto delle garanzie della difesa, con l’esigenza pur essenziale di raggiungere tale obiettivo in un lasso di tempo non eccessivo;
(ii) la violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. può essere ravvisata soltanto allorché l’effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza e si riveli, quindi, privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 260 del 2020, n. 124 del 2019, n. 12 del 2016 e n. 159 del 2014);
(iii) il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie, in quanto ciò che rileva è esclusivamente la durata del «giusto» processo, quale delineato proprio dall’art. 111 Cost. Un processo non “giusto”, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata. L’interesse ad impugnare per conseguire la declaratoria di nullità di una sentenza di appello di proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione emessa de plano, senza alcuna attivazione del contraddittorio tra le parti, e dunque al di fuori di un «giusto processo» ex art. 111 Cost., non è, pertanto, bilanciabile con le esigenze di ragionevole durata sottese all’operatività della disciplina della immediata declaratoria delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen;
(ivi) già in altre pronunce si era sottolineata l’essenzialità che riveste il contraddittorio, anche ai fini dell’accertamento della causa estintiva del reato (sentenza n. 91 del 1992), nonché la rilevanza dell’interesse dell’imputato prosciolto per estinzione del reato a sottoporre la mancata applicazione delle formule più ampiamente liberatorie alla verifica di un giudice di merito, piuttosto che alla Corte di cassazione (sentenza n. 249 del 1989, relativa alla disciplina del previgente codice di procedura penale);
(v) coerente con tali principi, del resto, è l’art. 469, cod. proc. pen., che, nel consentire al giudice di primo grado la possibilità di definire il giudizio con sentenza adottata in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. e salva l’applicabilità del comma 2 di tale articolo, prevede che detta sentenza sia adottata «sentiti il pubblico ministero e l’imputato e se questi non si oppongono», sicché l’istituto, pur perseguendo la finalità deflattiva di evitare i dibattimenti superflui, comunque non priva le parti del diritto all’ascolto delle loro ragioni.
Ne consegue che la Corte di appello, anche nel caso in cui sia intervenuta nelle more del giudizio di impugnazione la prescrizione del reato, è tenuta a procedere in udienza nel contraddittorio fra le parti, anche in vista di una possibile rinuncia dell’imputato alla prescrizione, ovvero della interlocuzione in ordine all’eventuale applicazione di formule più ampiamente liberatorie (in tal senso Sez. 5, n. 44417 del 05/10/2022, Rv. 283811 secondo cui “sussiste l’interesse dell’imputato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza d’ appello che, in fase predibattimentale e senza contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essersi estinto il reato per prescrizione”).
