Magistrato che pubblica sul proprio account social, commenti a sfondo sessuale e di contenuto sessista: può farlo e non è sottoposto a procedimento disciplinare (Redazione)

Immaginate di leggere su un social commenti a sfondo sessuale e di contenuto sessista ed apprendere che l’autore è un magistrato che si è premurato di indicare la sua qualifica con tanto di foto in toga.

Qualche perplessità ti viene e pensi magari riceverà una tiratina di orecchie a livello disciplinare per invitarlo ad avere un comportamento più consono alla funzione che svolge.

Nulla di tutto questo.

Tale comportamento non è censurabile secondo il Procuratore Generale presso la Cassazione che ha disposto l’archiviazione de plano ai sensi dell’art. 16, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 109 del 2006.

Si legge nella massima pubblicata:

La pubblicazione di commenti a sfondo sessuale e di contenuto sessista sul proprio account social aperto al pubblico – nel quale il magistrato indichi nel profilo la qualifica e la specifica funzione ricoperta, corredando i dati con la propria immagine fotografica in toga – non rientra in alcuno degli illeciti extra-funzionali previsti dall’art. 3 del d.lgs. n. 109/2006, neppure in quello di cui alla lettera a), non essendo tale comportamento caratterizzato dalla finalità ivi richiesta di ottenere benefici o ingiusti vantaggi per sé o per altri.

16/05/2024ILLECITI DISCIPLINARI EXTRAFUNZIONALIPubblicazione di commenti a sfondo sessuale e di contenuto sessista su account social personale aperto al pubblico – Configurabilità di uno degli illeciti extra-funzionali previsti dall’art. 3 del d.lgs. n. 109/2006 – Esclusione.

…Opinioni in punto di coerenza della decisione di archiviazione

La Procura generale presso la Corte di cassazione ha escluso la ricorrenza di qualunque illecito disciplinare inquadrabile in una qualsiasi delle condotte previste dall’art. 3 Ord. disc.

Ha citato a tal fine, come unica tipologia astrattamente ipotizzabile, quella prevista dall’art. 3, lettera a) che sanziona “l’uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sé o per altri”.

Si deve convenire su questa conclusione, nulla rinvenendosi nella condotta concretamente tenuta dall’interessato da cui potessero pervenire a lui o a terzi benefici o ingiusti vantaggi.

Sembra tuttavia che altre tipologie si sarebbero meglio prestate a racchiudere quella condotta.

Si pensa anzitutto a quella descritta nella lettera d), laddove è sanzionato “lo svolgimento di attività incompatibili con la funzione giudiziaria di cui all’articolo 16, comma 1, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, o di attività tali da recare concreto pregiudizio all’assolvimento dei doveri disciplinati dall’articolo 1”.

Doveri questi ultimi che paiono particolarmente pertinenti nella regolamentazione che ne fa il comma 2 del citato art. 1: “Il magistrato, anche fuori dall’esercizio delle proprie funzioni, non deve tenere comportamenti, ancorché legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria”.

Piacerebbe sapere, al riguardo, come sia stato possibile escludere deliberatamente o, peggio ancora, ignorare, che sia la credibilità personale che il decoro e il prestigio del magistrato che il prestigio della sua istituzione di appartenenza rimassero inalterati mentre costui esternava volgarità a sfondo sessuale e di tipo sessista sul proprio account social aperto a tutti al quale aveva collegato la sua immagine in toga.

E magari, si sarebbe potuto pensare anche alla lettera l) del citato art. 3, laddove si considera illecito “ogni altro comportamento tale da compromettere l’indipendenza, la terzietà e l’imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell’apparenza”.

Sarebbe stato così azzardato immaginare che esibire sulla piazza social un orientamento sessista potrebbe essere causa di appannamento dell’imparzialità se non addirittura di ricusazione in controversie e procedimenti ove sia richiesto di valutare orientamenti analoghi e i loro effetti? E sarebbe di aiuto alla reputazione della magistratura nel suo complesso essere associata ad un suo rappresentante capace di comportamenti così sguaiati?

Secondo la PG tutto si tiene e non c’è altro da aggiungere.

Disciplina per gli altri dipendenti del pubblico impiego

Si può prendere a confronto il Codice di comportamento nazionale dei dipendenti pubblici, adottato col DPR n. 62 del 16 aprile 2013, modificato dal DPR n. 81 del 13 giugno 2023 (allegato alla fine del post).

La disposizione pertinente per il confronto è l’art. 11-ter (rubricato “Utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media”)il quale prevede, per ciò che qui interessa:

“1. Nell’utilizzo dei propri account di social media, il dipendente utilizza ogni cautela affinché le proprie opinioni o i propri giudizi su eventi, cose o persone, non siano in alcun modo attribuibili direttamente alla pubblica amministrazione di appartenenza.

2. In ogni caso il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale.”.

Segue poi l’art. 16 (rubricato “Responsabilità conseguente alla violazione dei doveri del codice”) a norma del quale: “1. La violazione degli obblighi previsti dal presente Codice integra comportamenti contrari ai doveri d’ufficio. Ferme restando le ipotesi in cui la violazione delle disposizioni contenute nel presente Codice, nonché dei doveri e degli obblighi previsti dal piano di prevenzione della corruzione, dà luogo anche a responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile del pubblico dipendente, essa è fonte di responsabilità disciplinare accertata all’esito del procedimento”.

Pare a questo punto abbastanza evidente che, quando un pubblico dipendente non magistrato tiene una condotta come quella citata in avvio del post, viola per ciò stesso il Codice di comportamento al quale deve attenersi e subisce una sanzione disciplinare.

Conclusioni

L’orientamento seguito dalla Procura generale nel caso preso in considerazione sembra piuttosto opinabile per le ragioni illustrate.

Comunque sia, le possibilità di esonero da responsabilità disciplinari riconosciute ai magistrati non hanno riscontro nella disciplina riservata ai “normali” dipendenti del pubblico impiego.

Tutte le volte che si mette in evidenza questa vistosa asimmetria, la parte magistratuale ne difende a spada tratta la legittimità, affermando che è necessaria per salvaguardare l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario.

Da qui la domanda: consentire di farla franca a un magistrato che esterna sul web commenti volgari e sguaiati salva la sua autonomia o la sua sensazione di impunità?