“Quello che vedi è tutto ciò che esiste”: se si vede solo l’accusa, l’accusa è la verità (Vincenzo Giglio)

È stata pubblicata nei giorni scorsi una bella e interessante riflessione di Francesco Trapella sulla triangolazione ipotetica tra indagini preliminari, intelligenza artificiale (di seguito IA) e possibili bias (previsioni o stime scorrette dovute a pregiudizi che causano errori cognitivi) di chi ha la responsabilità delle indagini medesime (il riferimento è a F. Trapella, Introduzione ad una ricerca su indagini preliminari, intelligenza artificiale e bias del ragionamento, in Archivio penale, 13 novembre 2025, scaricabile a questo link).

Il focus del post è sul paragrafo 2 dello scritto, denominato “Segreto investigativo, monopolio delle indagini, WYSIATI”.

L’Autore individua come tratti distintivi delle indagini preliminari la segretezza e il ruolo predominante del PM.

Nella sua opinione, la combinazione di queste caratteristiche, che si risolve nell’unilateralità della prospettiva inquirente, comporta il rischio che chi investiga e raccoglie elementi conoscitivi e li utilizza per elaborare una ricostruzione del caso investigato sia scarsamente propenso ad abbandonarla e quindi sottovaluti o tralasci altri elementi che porterebbero in direzioni diverse da quella privilegiata.

Trapella cita letteratura scientifica a sostegno di questa affermazione e anche i risultati di un esperimento condotto da tre studiosi dell’Università californiana di Stanford, Lyle A. Brenner, Derek J. Koehler e Amos Tversky, On the Evaluation of One-Sided Evidence (La valutazione di prove a senso unico), nel Journal of Behavioral Decision Making, 1996.

Gli sperimentatori formarono tre gruppi distinti di volontari: ai primi due (i non giurati) furono fornite informazioni tarate sulla versione di una delle due parti (accusa e difesa) di un procedimento; al terzo gruppo (i giurati) furono fornite le argomentazioni e le prove di entrambe le parti contendenti.

Si tralasciano le ulteriori istruzioni ricevute dai tre gruppi per le quali si rimanda alla lettura dello scritto e si passa direttamente alle conclusioni raggiunte dall’esperimento.

Risultò che il gruppo che aveva ricevuto informazioni solo sulla versione dell’accusa prevedeva la condanna dell’accusato in misura maggiore di coloro che disponevano dell’intero complesso conoscitivo e anche di coloro che conoscevano solo la versione della difesa.

In sintesi: chi era richiesto di tarare la sua previsione solo sulla versione dell’accusa riteneva la condanna dell’accusato un esito ben più probabile di quello stimato dagli altri due gruppi; ed ancora, il gruppo dei giurati, che disponeva delle informazioni più estese, era quello che dimostrò maggiore incertezza nella previsione dell’esito.

Gli studiosi di Stanford conclusero quindi che le prove a senso unico, e tali sono quelle dell’accusa, hanno un’elevata capacità persuasiva in quanto danno vita ad una narrazione intrinsecamente coerente e senza sbavature.

Il paradosso è che prove del genere, per così dire a circuito chiuso in quanto necessariamente cieche e sorde rispetto a qualsiasi argomento avversario capace di invalidarle o quantomeno di metterle in discussione, non sono affatto garanzia di correttezza della ricostruzione proposta proprio perché unilaterali.

Questa condizione e la contraddizione che si porta dietro trovano una efficace sintesi nell’acronimo WYSIATI che deriva dalla frase “What you see is all there is”, traducibile con l’espressione italiana “Quello che vedi è tutto ciò che c’è), che si deve al premio Nobel Daniel Kahneman il quale – spiega Trapella – se ne è servito “per spiegare come la mente umana accolga di buon grado un racconto dei fatti internamente consistente, benché basato su prove limitate. Di nuovo, è una scorciatoia dell’intelletto, per nulla faticosa, che permette di saltare dai (pochi) dati a disposizione a conclusioni ritenute affidabili”.

Segue il passaggio finale: se le cose stanno in questo modo, se il cervello umano si serve tanto dei pensieri veloci e intuitivi e poco, perché non si può permettere altrimenti, di quelli lenti e riflessivi, se è da quello stesso cervello con quelle stesse caratteristiche che proverranno gli algoritmi in cui sono sintetizzate le istruzioni ai sistemi di IA, c’è un consistente rischio che tali sistemi, applicati ai meccanismi della giustizia, replichino i vizi del ragionamento umano e provochino gli stessi errori.

Si lascia adesso la parola direttamente all’Autore:

Questi aspetti debbono essere tenuti in debita considerazione nel preconizzare l’affidamento di compiti decisionali ad un algoritmo. Il suo responso, infatti, risentirà dell’impostazione di chi inserisce l’input: ancor più che per l’essere umano, per la macchina opera il vincolo alle informazioni disponibili, non essendo capace di affrontare questioni articolate in modo indipendente, né possedendo qualità tipiche dell’intelligenza umana, come la coscienza o la creatività.

Il WYSIATI influenza la ricerca investigativa e, di conseguenza, compromette le basi della predizione decisoria. Se si può condividere che, un domani, i pubblici ministeri potranno ricorrere a strumenti di prognosi fondati sull’intelligenza artificiale, il rischio non è tanto – o, meglio, non è solo – il loro appiattimento sui risultati elaborati dalla macchina, quanto, piuttosto, che il computer erediti la loro visione unilaterale e, sulla base di essa, sciolga il nodo dell’azione penale, risponda ad una qualunque istanza della difesa o suggerisca l’accesso ad un rito alternativo.

In altri termini, familiarizzare con i meccanismi mentali sintetizzati in queste pagine aiuta, già ora, a comprenderne i riverberi sull’economia complessiva dell’accertamento: il segreto investigativo e il monopolio del pubblico ministero sulla fase preliminare, escludendo la difesa, favoriscono una narrazione necessariamente frammentaria e, contestualmente, facilitano la consunzione degli elementi a discarico, dispersi perché ignorati dagli inquirenti e non conosciuti per tempo dall’indagato. Sono evidenti le ricadute sul principio di completezza e sulla struttura dell’imputazione, e, quindi – già si diceva – sui presupposti del contraddittorio processuale.

In una battuta, il WYSIATI rende illusoria l’indicazione dell’art. 358 c.p.p., donde la necessità di una riflessione che colga come si stia guardando ad un fenomeno fisiologico della psiche umana, del quale occorre tenere conto nella disciplina delle indagini preliminari: come si è sostenuto, esso concerne gli inquirenti, esattamente come tutti gli altri esseri umani.

Ma, se questo è l’esistente, sovvengono dubbi che un algoritmo, sinora incapace di rendersi autonomo da chi lo istruisce, possa ovviare al WYSIATI, offrendo al pubblico ministero quella visione a tuttotondo che gli è naturalmente estranea.

Ne deriva una conferma: almeno per ora, i bias della macchina sono quelli del suo programmatore. Ancora una volta, quindi, il tema dell’intelligenza artificiale merita di essere affrontato solo dopo avere indagato gli errori cognitivi e le semplificazioni concettuali a cui è incline l’essere umano – e, così, pure colui che addestra l’algoritmo – e che possono trovare adeguato approfondimento, conciliando gli studi sul sistema penale con gli approdi della psicologia cognitiva”.

Le conclusioni di Trapella paiono a chi scrive largamente condivisibili.

Ma c’è anche di più: il WYSIATI non si ferma nel chiuso delle stanze degli inquirenti e non trova alcun serio ostacolo nella segretezza delle indagini che, di questi tempi, è una diceria più che un precetto normativo.

Chiunque legga giornali, guardi trasmissioni televisive, segua dibattiti social, è sommerso da una valanga di informazioni (dati) e dichiarazioni sulle informazioni (metadati) di provenienza giudiziaria o para-giudiziaria.

Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di input che più unilaterali non si può in quanto influenzati dal teorema accusatorio di turno, i quali impattano sull’opinione pubblica, la plasmano in senso conforme alla vulgata colpevolista e restituiscono alla giustizia convinzioni popolari ormai insensibili a qualunque evidenza contraria.

Anche questo è WYSIATI e non è meno pericoloso di quello giudiziario in senso stretto.