Nordio, una catenina e la condanna a 25 di reclusione per una donna che si dichiara da sempre innocente (Redazione)

Un nuovo errore giudiziario all’orizzonte?

Recentemente un caso di omicidio è tornato agli oneri delle cronache per evidenti anomalie (indagini unidirezionali, prove regine che vacillano ad un controllo approfondito, assunzioni di responsabilità postume ecc. ecc.) e il 14 novembre una interrogazione parlamentare chiede al Ministro Nordio, all’epoca dei fatti procuratore aggiunto a Venezia ove si è svolto il processo che ha portato alla condanna a 25 anni di reclusione, di sapere …

premesso che:

il 20 dicembre 2012 Lida Taffi Pamio viene trovata morta nel suo appartamento di via Vespucci a Mestre (Venezia);

per l’omicidio viene condannata a 25 anni di reclusione la dirimpettaia della vittima, Monica Busetto, che da sempre s’è dichiarata innocente;

nel frattempo, nel 2015, Susanna «Milly» Lazzarini, durante un interrogatorio in un procedimento penale avviato per un differente omicidio, confessa di aver commesso anche l’omicidio della Pamio;

Lazzarini, tuttavia, dopo aver dichiarato in tre interrogatori e in due colloqui con i familiari oggetto d’intercettazione ambientale, di aver agito da sola nell’omicidio di Pamio, improvvisamente cambia versione, accusando Busetto di concorso nel reato;

la prova «regina» sulla quale si fonderebbe la condanna di Busetto sarebbe una catenina, ritenuta appartenere alla vittima, ritrovata nel portagioie della Busetto. Tale reperto sarebbe stato considerato decisivo poiché sarebbero state rilevate tracce minime di Dna compatibili con quelle della vittima;

tuttavia, come opportunamente evidenziato da vari servizi a firma Max Andreetta del programma tv «Le Iene», le circostanze di repertazione e le modalità analitiche di laboratorio risultano fortemente controverse, potendo concludere con certezza che nelle analisi si sia verificata una contaminazione ambientale;

la contaminazione risulterebbe evidente anche dagli orari riportati negli atti. Considerato, infatti, che tra l’analisi di un reperto e l’altro è necessaria una sanificazione di 20 minuti, le operazioni di analisi in laboratorio, iniziate alle ore 10, si sarebbero dovute concludere non prima delle ore 14.20, considerati i 13 reperti analizzati, e non alle ore 13.00 come effettivamente avvenuto;

secondo quanto ricostruito dai periti interpellati da «Le Iene» sarebbe inoltre facilmente dimostrabile che la collana rinvenuta nel portagioie della Busetto e quella che indossava la Pamio al momento della morte non sia la stessa. La collanina sequestrata a casa della Busetto misura infatti 58 centimetri, mentre in una foto d’epoca della vittima la collana risulta più lunga di circa 8/16 centimetri rispetto al reperto. A ciò si aggiunge la testimonianza della Lazzarini secondo la quale la collana della vittima «si era rotta dal gancetto», mentre quella rinvenuta presso l’abitazione della Busetto non presenta alcun segno di rottura;

il 3 marzo 2016 il Ministro Nordio, all’epoca dei fatti procuratore aggiunto della procura di Venezia, con riferimento all’ipotesi che le due donne avessero agito insieme, rispose in questo modo al giornalista Stefano Pittarello di 7gold Padova: «questa confessione nulla toglie all’impianto probatorio che aveva indotto la corte d’Assise ad applicare alla signora Busetto una pena molto grave»;

l’impianto probatorio a cui alludeva l’attuale Ministro sarebbe la predetta collanina: conseguentemente, la mancata coincidenza tra i due monili minerebbe la solidità del principale elemento probatorio alla base della condanna;

si aggiunga che, in sede di richiesta di revisione della condanna, la Corte d’appello di Trento nel marzo 2024 avrebbe rigettato l’istanza sulla base dell’assunto, errato, che la Lazzarini nel suo primo interrogatorio, e quindi quello ritenuto più attendibile per vicinanza all’evento, avrebbe dichiarato la complicità della Busetto. In realtà nei primi tre interrogatori, e quindi quelli più vicini in ordine di tempo al delitto, la Lazzarini affermò di aver agito da sola;

ad oggi sono circa 12 anni che la Busetto è in stato di detenzione –:

se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quali accertamenti di sua competenza intenda porre in essere con riferimento al caso esposto e quali iniziative di natura normativa intenda mettere in campo per scongiurare ingiuste detenzioni che ledono il principio di non colpevolezza e il dispositivo dell’articolo 533 del codice di procedura penale secondo il quale il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Diciamo che Nordio come Ministro della Giustizia potrà fare ben poco, solo una revisione potrà modificare lo status quo processuale della donna che si proclama da sempre innocente.

Staremo a vedere.

Un commento

  1. Temo che il dibattito, a prescindere dalla vicenda Taffi Pamio, sia da cinquant’anni incanalato in un imbuto da cui è impossibile uscire: l’aspirazione alla parità di piano processuale su cui celebrare il processo (dalle indagini preliminari alla sentenza definitiva). Ma il piano di parità processuale è il perno del sistema accusatorio, utilissimo per fare una buona “mappa” del sistema giudiziario: che però resta “il territorio”. Tuttavia, con l’andar del tempo, si è finito per confondere la prima e il secondo, dove l’ unico distretto importante è solo e soltanto la assoluta e piena ricerca della verità.

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