Antonio Di Pietro schierato col Comitato Sì Separa alla ricerca del perduto Stato di diritto (Vincenzo Giglio)

Antonio Di Pietro è stato molte cose: operaio in Germania, segretario comunale, commissario della Polizia di Stato, magistrato, avvocato, politico, parlamentare, ministro.

Un uomo multiforme, che ha preso in mano la sua vita e plasmato il proprio destino con determinazione, intelligenza e passione.

Anche un uomo simbolo: da magistrato, più precisamente da sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, fu il personaggio più rappresentativo del pool che gestì il filone investigativo cui fu dato il nome di Mani Pulite, considerato tra le cause determinanti del crollo della cosiddetta Prima Repubblica.

Date queste sue caratteristiche, non sorprende granché vederlo adesso impegnato nella campagna referendaria sulla separazione delle carriere.

Sorprende, invece, vederlo schierato a favore del fronte del Sì, a fianco del Comitato Sì Separa.

Sorprende assai di più la motivazione che lo ha spinto a una simile scelta:

Negli anni c’è stata una trasformazione del Pubblico ministero, che non cerca più chi ha commesso il reato, ma cerca se qualcuno ha commesso un reato. Una trasformazione che non mi sta bene perché non è da Stato di diritto […] Questa riforma semplicemente fa in modo che chi entra in un’aula di giustizia sa che si troverà di fronte un giudice, soggetto terzo, che non è affiancato da nessuno che possa in qualche modo condizionarlo, e quindi si sente più sereno, che sia vittima o indagato” (A. Di Pietro, cerimonia di presentazione del Comitato Sì Separa, Camera dei Deputati, Roma, 12 novembre 2025, consultabile sul Riformista a questo link).

Antonio Di Pietro è allora sceso in campo perché i magistrati del pubblico ministero, abbandonata la loro funzione di cercatori di verità e dei responsabili di reati già commessi, si sono trasformati in creatori di verità, la loro verità, perseguendo persone piuttosto che reati.

Una buona motivazione che gli fa onore.

Ma sentiamo adesso il ricordo di un altro insigne protagonista di Mani Pulite, il professore e avvocato Ennio Amodio, che la visse dal lato opposto di Di Pietro, difendendo tanti indagati incappati nell’indagine milanese.

Ricordo una mattina in Procura, in uno stanzone pieno di una decina di persone accorse spontaneamente per confessare le modalità e gli importi delle tangenti versate a funzionari pubblici. Ciascuno sedeva davanti ad un esponente della polizia giudiziaria che verbalizzava il racconto di imprenditori tremanti e manager ansiosi di vuotare il sacco per scampare alla galera. Un magistrato si muoveva tra i diversi punti di ascolto e verificava gli importi delle mazzette costitutive di reato. E in qualche caso il magistrato esplicitava la sua censura: «Solo duecento milioni di mazzette con il fatturato enorme che ha la sua azienda? Non è credibile: a San Vittore». Ho visto un anziano inquisito invocare stralunato un po’ di pietà: «Il carcere no, dottore, ho detto tutta la verità, mi creda!». Era questa la pratica della territio di medievale memoria. L’indagato doveva capire che collaborare con la giustizia era un dovere sanzionato con il carcere quando la bocca rimaneva troppo cucita. Mi è capitato di assistere un indagato che non riusciva a soddisfare l’esigenza del pubblico ministero. Ed ecco la reazione, come un colpo di frusta: «Lei non sta raccontando tutto quello che sa, se va avanti così sa dove va a finire? A San Vittore, perché il giudice ha già firmato un ordine di custodia in carcere che ora spetta a me eseguire». Una frase pronunciata sventolando un atto che confermava la decisione del giudice»” (E. Amodio, Mani Pulite: una giustizia con l’elmetto, in Discrimen, 7 marzo 2022, a questo link).

Se qualcuno dubitasse del ricordo dell’Avvocato Amodio a causa dei decenni passati e dell’attribuibilità anche al Dr. Di Pietro di prassi così singolari (tra le quali, oltre all’interrogatorio multitasking, spiccò l’esibizione ad pompam ai malcapitati di faldoni strapieni ma di cartacce, quasi a fargli intendere che tutto era ormai noto agli inquirenti), sappia che è stato lo stesso ex PM a rivendicarle con orgoglio, consolidando così l’immagine di contadino col cervello fino che ha sempre coltivato.

Si veda a tal proposito A. Di Pietro (a cura di G. Valentini), Intervista su Tangentopoli, Laterza Editore, 2000.

Si veda anche l’intervista, pubblicata su YouTube e consultabile a questo link, che Di Pietro concesse ad Angelo Zappalà nel corso della terza edizione del festival della criminologia tenutasi a Torino tra il 23 e il 28 ottobre 2018. 

Si veda infine l’intervista concessa dal medesimo alla redazione di Bergamo News, pubblicata il 16 febbraio 2017 su YouTube a questo link.

Stando così le cose, piacerebbe sapere di quale Stato di diritto il Dr. Pietro sente acutamente la nostalgia e come immagina che sarà ripristinato a carriere separate.