Omessa citazione per l’udienza del teste già ammesso: effetti tarati sulla sottovalutazione del “diritto a difendersi provando” (Vincenzo Giglio)

Il “diritto di difendersi provando” è parte integrante del giusto processo nella sua accezione costituzionale e convenzionale, come tale solennemente proclamato dalla Suprema Corte.

Senonché, all’altezza delle formule celebrative non sempre seguono indirizzi interpretativi coerenti, perfino riguardo ad atti la cui derivazione da quel diritto è auto-evidente.

È questo il caso della deposizione di un teste a difesa già ammessa dal giudice e quindi riconosciuta utile per il compimento del programma dimostrativo dell’accusato in sede penale.

Il banco di prova è l’omessa citazione di tale teste per l’udienza destinata alla sua deposizione.

Come si vedrà, le sensibilità interpretative vigenti, per quanto multiformi possano essere, sono tutte accomunate da una sorta di sottovalutazione dell’attività difensiva di prova e dalla propensione ad accantonarla allorchè un qualsiasi intoppo ne impedisca il compimento tempestivo.

Si vedrà ugualmente che questa conventio ad excludendum viene giustificata ora con la creazione pretoria di una causa di decadenza non prevista dalla legge, ora con l’attribuzione al giudice del potere insindacabile di qualificare l’omissione e, quindi, della libertà di attribuirle il significato di una rinuncia implicita alla prova o, peggio, di spregiudicatezza difensiva volta ad allontanare nel tempo la decisione.

Sullo sfondo, infine, si agita il parametro della durata ragionevole del processo e si attribuisce all’omessa citazione il significato negativo di ostacolo a tale ragionevolezza.

Il diritto di difendersi provando viene quindi smentito nella sua effettività.

È adesso il momento dell’osservazione diretta delle decisioni che, a parere di chi scrive, giustificano le considerazioni fin qui svolte.

Le si classificherà in base alla durezza, come si fa con i materiali, con la differenza che per questi la durezza è intesa come resistenza all’azione di scalfittura di altri materiali mentre per le decisioni dei giudici di legittimità la durezza è l’insensibilità a qualsiasi obiezione concettuale.

Il vertice della durezza: omessa citazione = decadenza e basta

È senz’altro individuabile nel filone giurisprudenziale di cui è una delle tante espressioni Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 31541/2020, 13 ottobre 2020, Rv. 279758, per la quale, in tema di prova testimoniale, la mancata citazione dei testimoni già ammessi dal giudice comporta la decadenza della parte dalla prova, poiché il termine per la citazione dei testimoni è inserito in una sequenza procedimentale che non ammette ritardi o rinvii dovuti alla mera negligenza delle parti ed ha, pertanto, natura perentoria.

La durezza medio-alta: omessa citazione = decadenza ma si può chiudere un occhio sulla tardiva citazione

Viene in rilievo in questo ambito Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 8100/2025, 4/27 febbraio 2025 che si fa notare per un distinguo.

La dichiarazione di decadenza dalla prova per intempestività della citazione del teste a difesa equivale ad introdurre per via pretoria una causa di perenzione dalla prova non prevista dal codice di rito, né presente nel c.d. diritto vivente, per di più in una materia – quale quella concernente il diritto alla prova – fondamentale al fine di garantire il “giusto processo”, in quanto strettamente funzionale alla piena e compiuta estrinsecazione del diritto di difesa, implicante (anche) il “diritto di difendersi provando”.

Ed invero, per come affermato da un orientamento interpretativo condivisibile, nessuna disposizione processuale prevede un termine per la citazione del testimone a cura della difesa, né, tantomeno, contempla l’intempestività di tale citazione quale causa di decadenza dalla prova orale, prevedendo anzi l’art. 133, comma 1, cod. proc. pen. che il giudice possa ordinare l’accompagnamento coattivo del testimone “regolarmente” citato o convocato che ometta “senza un legittimo impedimento di comparire nel luogo, giorno e ora stabiliti”, senza connettere la “regolarità” della citazione all’osservanza di alcun termine temporale per il relativo espletamento (Sez. 6, n. 28951 del 17/09/2020, Rv. 279685 – 01).

Si è ravvisato piuttosto, con orientamento pressoché prevalente, una causa di decadenza dalla prova testimoniale già ammessa nella mancata citazione del teste (si vedano, tra le tante, Sez. 6, n. 46470 del 20/02/2019, Rv. 277390 -01; Sez. 4, n. 31451 del 13/10/2020, Rv. 279758 – 01; Sez. 5, n.17351 del 20/01/2020, Rv.279387 – 01; Sez. 2, n. 1951 del 16/01/2025, n.m.; in senso contrario, Sez. 2, n. 21788 del 04/10/2018 – dep. 2019, Rv. 275593 – 01), ma giammai nella “intempestività” della citazione stessa.

La durezza media: omessa citazione = valutazione discrezionale del giudice

Si inserisce a buon diritto in questo sottoinsieme Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 26185/2025, 21 maggio/17 luglio 2025, la quale ha chiarito che la mancata citazione del teste per l’udienza non comporta l’automatica decadenza della parte richiedente dalla prova, ma consente al giudice di valutare se, per la superfluità della testimonianza, per la concludenza del comportamento del richiedente in termini di rinuncia implicita alla prova o per la ingiustificata dilazione dei tempi della decisione, debba dichiararsi la revoca della ordinanza di ammissione della testimonianza. Il collegio di legittimità ha osservato a tal fine che non è consentito al giudice applicare decadenze non previste, in conseguenza della mancata citazione dei testi ovvero della mancata documentazione dei correlati adempimenti.

È una decisione formalmente rispettosa del diritto alla difesa attiva ma nelle sue trame si intravede con chiarezza la traccia della sua svalutazione sostanziale: al riconoscimento dell’inesistenza di cause decadenziali legate all’omessa citazione del teste viene contrapposto infatti il potere del giudice di approfittare dell’occasione non solo per un eventuale giudizio di superfluità della testimonianza ma anche per valutare se la condotta di chi ha chiesto il teste implichi la rinuncia implicita a sentirlo e, perfino, se implichi una dilazione ingiustificata del tempo occorrente per la decisione.

Concetti identici si rinvengono in Cassazione penale, Sez. 7^, ordinanza n. 31377/2025, 1° luglio/19 settembre 2025, secondo la quale la mancata citazione del teste per l’udienza può essere legittimamente valutata dal giudice come comportamento significativo della volontà della parte richiedente di rinunciare alla prova già ammessa, la cui acquisizione ad una udienza successiva comporterebbe una ingiustificata dilazione dei tempi della decisione, incompatibile con il principio della ragionevole durata del processo.

La durezza media affabulatoria: omessa citazione? Parliamone!

La si riconosce in Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 7319/2025, 15 gennaio/21 febbraio 2025).

Occorre riconoscere che si è nel tempo sviluppato un contrasto giurisprudenziale sulla decadenza dalla prova in caso di omessa citazione ad opera delle parti e conseguente onere motivazionale da parte del giudice nonché in relazione alle conseguenze della mancata citazione dei testi richiesti ed autorizzati a cura della parte che ne avesse fatto richiesta. Si era così sviluppato un primo orientamento secondo cui andava escluso che la mancata citazione per l’udienza dei testi già ammessi potesse determinare, per ciò solo, la decadenza dalla prova, “salvo che il giudice, ritenendo la stessa superflua, non provvedesse motivatamente a revocarla” (Sez. 3 n. 45450 del 22/10/2008, Rv. 241684).

In senso analogo, Sez. 5 n. 30889 del 16/6/2005, Rv. 232215; Sez. 3 n. 36967 del 12/72007, Rv. 237944; Sez. 3 n. 24302 del 12/5/2010, n. 24302, Rv. 247878; Sez. 3, n. 13507 del 18/02/2010, Rv. 246604; Sez. 4 n. 21602 del 23/1/2013, (non mass. sul punto); Sez. 5, n. 29562 del 1/4/2014.

Secondo tale primo orientamento, l’ordinanza di revoca dei testi non citati non motivata sulla superfluità degli stessi dà luogo a nullità a regime intermedio, da eccepirsi immediatamente dalla parte presente, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 182 e 183. cod. proc. pen.

Per rispondere alla principale obbiezione conseguente a siffatta interpretazione, di rendere il processo vulnerabile rispetto a pratiche dilatorie, vuoi intenzionali, vuoi causate da negligenza defensionale, si è andato consolidando un orientamento di segno contrario secondo il quale, in tema di prova testimoniale, la mancata citazione dei testimoni già ammessi dal giudice comporta la decadenza della parte dalla prova, poiché il termine per la citazione dei testimoni è inserito in una sequenza procedimentale che non ammette ritardi o rinvii dovuti alla mera negligenza delle parti ed ha, pertanto, natura perentoria (Sez. 5 n. 17351 del 20/01/2020, Rv. 279387; in senso conforme, hanno affermato che in tali casi legittimamente il giudice provvede a revocare l’ammissione dei testi: Sez. 5, n. 20502 del 14/1/2019, Rv. 275529; Sez. 6, n. 46470 del 20/02/2019, Rv. 277390, Sez. 6 n. 46470 del 20/2/2019, Rv. 277390 e Sez. 6, n. 594 del 21/11/2017 dep. 2018, Rv. 271939; Sez. 4, n. 22585 del 25/1/2017, Rv. 270170; Sez. 2, n. 51966 del 25/10/2017; Sez. 2, n. 31964 del 22/06/2016; Sez. 6, n. 2324 del 07/01/2015, Rv. 261922, Sez. 2 del 27 febbraio 2013, n. 14439, Rv. 255548; Sez. 3 del 7/3/2012, n. 28136, Rv. 253652. Tale orientamento, da ultimo cristallizzato altresì nella pronuncia Sez. 6, n. 33163 del 03/11/2020, Rv. 279922 – 01, risulta convincente in quanto il potere organizzativo della gestione delle udienze trova una specifica base normativa negli artt. 468, 495 e 496 cod. proc. pen., e risulta del tutto coerente, sul piano sistematico, con i principi di ragionevole durata del processo e di oralità e immediatezza nell’assunzione delle prove: principi che risulterebbero vanificati se la concreta gestione di tale assunzione venisse lasciata al sostanziale ed insindacabile arbitrio delle parti del processo.

Si tratta in definitiva, di dare attuazione concreta al diritto della parte di difendersi provando, stabilito dall’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., in collegamento con il potere attribuito dal giudice dal comma 4 della medesima disposizione, di revocare le prove che risultino superflue, vuoi per ragioni attinenti al quadro probatorio delineatosi a seguito dell’istruttoria dibattimentale già espletata, vuoi alla luce dell’atteggiamento della stessa parte nei confronti della prova, indicativo di disinteresse e, conseguentemente di irrilevanza della stessa.

Brevissime note conclusive

Gli indirizzi interpretativi pertinenti sono stati esposti e classificati, sia pure in un modo non convenzionale.

Chi scrive è dell’idea che siano tutti espressione di una visione propensa a minimizzare il diritto di difendersi provando, sottoponendolo a limiti, filtri e sanzioni che non hanno riscontro nella legge.

È chiaro che il giudice ha il compito di assicurare un percorso spedito all’istruttoria, di riconoscere e reprimere comportamenti dilatori, di testare costantemente il grado di sviluppo dell’indagine conoscitiva delle parti e fermarne il corso quando abbia raggiunto il suo scopo.

Non può farlo però, è questo il punto, inventando diritto, crocifiggendo ogni sbavatura difensiva, comprese quelle incolpevoli, considerando il programma probatorio difensivo di pura rimessa e quindi sacrificabile senza troppe spiegazioni.