Corte di appello che decide nel merito un appello del PG avverso una sentenza inappellabile: applicabile il principio di consumazione del diritto di impugnazione (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 28631/2025, 4 giugno/5 agosto 2025, ha affermato che il principio di consumazione del diritto d’impugnazione opera nel caso in cui, a seguito di appello del pubblico ministero proposto, al di fuori dei casi consentiti, avverso una sentenza di condanna resa all’esito di giudizio abbreviato, la corte d’appello si sia comunque pronunciata nel merito.

Provvedimento impugnato

È impugnata la sentenza della Corte di appello che, decidendo sull’appello del PG, ha riformato la decisione del primo giudice – che, nel giudizio abbreviato, aveva dichiarato MA colpevole del reato di cui agli artt. 56 — 624 e 625 n. 2 cod. pen ( capo A), per avere posto in essere atti idonei diretti a impossessarsi di oggetti presenti all’interno del camper della p.o., previa forzatura di un telo di protezione, non riuscendo nell’intento per l’intervento della p.o. – riqualificando il fatto ai sensi degli artt. 56 — 624-bis, comma 3, cod. pen. (in relazione all’art. 625 n. 2 cod. pen.) e condannandolo alla pena ritenuta equa.

Ricorso per cassazione

Ricorre per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia.

Denuncia erronea applicazione degli artt. 443, co. 3, e 591, lett. b), cod. proc. pen., sostenendo che la sentenza impugnata dal PG, non avendo modificato il titolo di reato, era inappellabile ai sensi dell’art. 443 co. 3 cod. proc. pen.

La Corte di appello, quindi, piuttosto che accogliere il gravame, riqualificare il fatto e condannare l’imputato, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello, ai sensi dell’art. 591, lett. b), cod. proc. pen.

Decisione della Suprema Corte

Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio.

Il Tribunale, con sentenza del 10/11/2020, ha dichiarato MA colpevole del reato, a lui ascritto al capo A), di tentato furto aggravato dalla violenza sulle cose, e l’ha condannato alla pena di mesi uno di reclusione ed euro 30 di multa.

Avverso ‘quella sentenza, ha proposto appello il PG, articolando un unico motivo con quale si doleva della erronea qualificazione giuridica del fatto che, in quanto finalizzato all’impossessamento di oggetti presenti all’interno del camper di proprietà della p.o., avrebbe dovuto essere sussunto nella fattispecie di cui all’art. 624-bis cod. pen., venendo in rilievo un luogo di privata dimora.

La Corte di appello, accogliendo tale appello, ha riqualificato la originaria contestazione di tentato furto di cui all’art. 624 e 625 cod.pen. (per la quale è intervenuta condanna in primo grado) in tentato furto in luogo di privata dimora di cui all’art. 624-bis cod.pen.

Fondatamente, la difesa ricorrente denuncia l’inappellabilità della sentenza di primo grado da parte del PG, dal momento che il Tribunale aveva ravvisato la responsabilità dell’imputato proprio per il reato come qualificato dall’accusa, mentre, ai sensi dell’art. 443, comma 3, cod. proc. pen, il pubblico ministero può appellare la sentenza di condanna di primo grado solo ove la decisione abbia modificato il titolo del reato.

Stante l’espresso divieto dell’art. 443, comma 3, cod. proc. pen., ribadito nell’art. 593, la Corte di appello avrebbe potuto dichiarare inammissibile il gravame, in quanto proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge, oppure – ricorrendone i presupposti, alla luce delle doglianze formulate – riqualificarlo in ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 568 co. 5 cod. proc. pen. (“L’impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che l’ha proposta“) e rimetterlo al giudice di legittimità (Sez. 3, n. 50305 del 10/11/2023, Rv. 285540 – 01; Sez. 5, n. 13905 del 08/02/2017, Rv. 269597 – 01).

Invece, la Corte di appello si è, malamente, pronunciata nel merito del gravame, in tal modo consumando il potere giurisdizionale di decidere in merito al gravame del PG, impugnazione mai pervenuta all’attenzione della Corte di cassazione per la decisione, se non a seguito del ricorso della parte, quando, cioè, la Corte di appello si era già pronunciata su quell’impugnazione.

Non è consentito alla Corte di cassazione di pronunciarsi nuovamente sulla medesima impugnazione.

Il principio di consumazione del potere di impugnazione preclude la reiterazione di atti di impugnazione, ove, al momento della presentazione del secondo atto, ancorché in sé tempestivo, sia già intervenuta la decisione sulla prima impugnazione, e risulta valido anche nell’ipotesi di duplicato esercizio del potere di impugnazione da parte del medesimo titolare, imputato o difensore che sia (Sez. 3 – n. 37196 de/ 19/11/2020, Rv. 280823).

Il principio di unicità dell’impugnazione, tradizionalmente affermato nella giurisprudenza di legittimità, preclude, allo stesso o ad altri legittimati, la reiterazione di atti di impugnazione, ove, al momento della presentazione del secondo atto, ancorché in sé tempestivo, sia già intervenuta la decisione sulla prima impugnazione. Ciò è stato affermato con riferimento all’ipotesi della doppia impugnazione da parte dell’imputato e del suo difensore (Sez. 5, n. 41864 dell’8/6/2018, n.m.; Sez. 6, n. 20847 del 26/4/2018, n.m.; Sez. 2, n. 19835 del 19/4/2006, Rv. 234655-01), posto che l’esercizio del diritto è pur sempre funzionalmente diretto ad ottenere un risultato in favore del primo e non al conseguimento di un interesse del secondo; e anche con riferimento all’ipotesi della doppia impugnazione da parte dei due difensori dell’imputato (Sez. 1, n. 11600 del 09/01/2019, Rv. 274922- 01; Sez. 2, n. 19109 del 28/04/2011, Rv. 250265-01; Sez. 1, n. 4881 del 16/11/1993, dep. 1994, Rv. 196960-01), in sé non preclusa in quanto il principio di reciproca autonomia dei mandati difensivi non consente di condizionare il numero di appelli o di ricorsi provenienti dai patrocinatori, né il loro possibile contenuto di contestazione, ferma restando tuttavia il divieto, ritenuto consustanziale al sistema, di frazionare in segmenti distinti il giudizio di impugnazione. Il principio in discorso è, in linea generale, valido anche nell’ipotesi di duplicato esercizio del potere di impugnazione da parte del medesimo titolare, imputato o difensore che sia, come di recente ribadito da Sez. 3, n. 37196 del 19/11/2020, Rv. 280823-01).

Come ha evidenziato Sez. 1, con la sentenza n. 32593 del 19/05/2023, Rv. 285099, «(l)a consumazione del potere impugnatorio […] è legata in primo luogo ad un elemento temporale, quale l’avvenuto decorso dei termini – perentori – che la legge fissa perché il relativo rapporto possa essere instaurato; nella stretta vigenza di questi termini, invece, il difensore dell’interessato può presentare non solo l’atto che darà corso al rapporto medesimo, ma anche altri successivi, pur di diverso contenuto, la cui ammissibilità, tuttavia, è subordinata alla condizione che, al momento della loro rituale e tempestiva presentazione, non sia già intervenuta una decisione in ordine all’impugnazione in precedenza proposta».

La ratio, sottesa al principio di consumazione dell’impugnazione, è quella di evitare che il frammentato esercizio del relativo diritto, pur temporalmente dimensionato dal termine legale soggetto a scadenza, possa determinare, con la moltiplicazione dei giudizi di impugnazione, e con i suoi negativi effetti sull’economia del processo e sulla sua ragionevole durata, l’insorgere del rischio di pronunce contrastanti sulla medesima regiudicanda, che neppure l’eventuale diversità dei motivi via via addotti dall’impugnante sarebbe in grado di superare.

L’esito di potenziale conflitto di giudicati sostanziali, non risolvibile a norma dell’art. 669, cod. proc. pen., o, anche altrimenti, con gli strumenti processuali ordinari, è l’evenienza da scongiurare, su cui fa perno la regola dell’unicità del diritto di impugnazione, già enucleata come regola fondamentale del sistema nel previgente codice di rito e importata nell’attuale (Sez. U, n. 6026 del 31/01/2008, Huzuneanu, Rv. 238472-01, § 3 ss. del Considerato in diritto).

Poiché un tale rischio si pone realmente solo a fronte della già intervenuta definizione della prima impugnazione con pronuncia sul merito – diversamente dal caso in cui il giudizio, inerente la prima impugnazione, si sia invece arrestato per ragioni meramente procedurali, legate al mancato rispetto delle modalità e delle forme con le quali il giudizio stesso è stato introdotto, in cui il rischio di accertamenti di merito contrastanti sull’accusa penale, sull’oggetto del procedimento, non è paventabile – deve prendersi atto che, nel caso qui in esame, si ricade esattamente nella suddetta situazione.

Infatti, ove si riqualificasse l’impugnazione originaria del PG in ricorso per cassazione, il giudice di legittimità dovrebbe nuovamente pronunciarsi nel merito della qualificazione giuridica del fatto, che è esattamente il tema prospettato con il gravame alla Corte di appello e sulla quale, come detto, il giudice territoriale si è già pronunciato.

Va, dunque, affermato che il principio di consumazione dell’impugnazione opera nel caso in cui – a fronte di un appello del pubblico ministero avverso una sentenza di primo grado inappellabile ai sensi dell’art. 443 comma 3, cod. proc. pen. – la Corte di appello si sia, invece, pronunciata nel merito, con la conseguenza che non può, detto gravame, essere, successivamente, riqualificato quale ricorso per cassazione.

Dunque, stando così le cose, la Suprema Corte – lungi dal pronunciarsi nuovamente su una impugnazione del pubblico ministero in relazione alla quale il potere decisorio si è già consumato – è piuttosto chiamata a decidere sul ricorso dell’imputato, il quale lamenta la violazione degli artt. 443 e 593, cod. proc. pen., per avere la Corte di appello dichiarato ammissibile l’appello avverso una sentenza non appellabile dal pubblico ministero.

Per quanto si è già detto, il ricorso è fondato, perché la sentenza di primo grado non era appellabile dal PG, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio.