Si segnala la proposta di legge 2633 del deputato Dori: “Disposizioni in materia di accesso alla professione forense”, per modificare l’accesso alla professione forense.
Il proponente sottolinea che l’obiettivo non è abbassare la qualità, ma rimettere al centro il merito, la dignità e la sostenibilità del percorso per diventare avvocato.
Si intende raggiungere quanto premesso prevedendo il coordinamento tra gli studi universitari in giurisprudenza e l’accesso alla professione, un tirocinio dalla durata di diciotto mesi, finalizzato a fornire competenze specifiche per la professione, compresa la conoscenza del l’ordinamento, della deontologia e della gestione dello studio legale e modifica delle modalità di svolgimento del tirocinio, che deve avvenire principalmente presso un avvocato con al meno cinque anni di iscrizione nell’albo degli avvocati ovvero presso enti pubblici o all’estero per brevi periodi.
Le altre novità sono leggibili nella proposta allegata al post.
Nella Relazione introduttiva si ricorda che il sistema italiano per accedere alla professione forense è tra i più lunghi e complessi in Europa: dopo una laurea magi strale quinquennale, è previsto un tirocinio di almeno diciotto mesi, la frequenza obbligatoria di una scuola forense e il superamento di un esame di abilitazione notoriamente selettivo e privo di tempi certi.
In tale scenario, l’introduzione di ulteriori osta coli, come le scuole forensi di durata eccessivamente prolungata o le prove d’esame troppo tecnicistiche e ripetitive, rischia di compromettere ulteriormente l’attrattività della professione, senza necessariamente innalzarne la qualità.
Quest’ultima, infatti, dovrebbe essere garantita, in primo luogo, da un percorso universitario rafforzato, più integrato con la realtà professionale e me glio coordinato con gli Ordini.
Un problema sistemico: l’accesso alla professione è costruito su un percorso lungo, frammentato, privo di tutele economiche, con scarsa sinergia tra le sue componenti, quali l’università, il tirocinio, la formazione teorica, e nessuna garanzia formativa né reddituale.
L’effetto è l’allontanamento progressivo dei giovani dalla professione forense, con un conseguente impoverimento del ricambio gene razionale e una perdita di competenze preziose per il sistema giustizia.
La presente proposta di legge riproduce i contenuti del titolo IV della citata propo sta del CNF, apportandovi opportuni e significativi correttivi volti ad affrontare efficacemente le predette criticità in modo strutturale e organico, intervenendo su più fronti.
Ad esempio, viene mantenuta la previsione della scuola forense, ma con una durata limitata a dodici mesi e prevedendo l’armonizzazione dei contenuti su scala na zionale e garantendo l’accesso gratuito per chi possiede un indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) di valore inferiore a una soglia prestabilita.
Per quanto riguarda il tirocinio si impone un compenso minimo obbligatorio per i praticanti, a garanzia di un’esperienza formativa effettiva e dignitosa, e viene estesa la possibilità di anticipare l’inizio del tirocinio, cosiddetto « tirocinio anticipato », anche agli studenti fuori corso.
Parallelamente, l’esame di Stato viene reso più razionale e coerente, semplificando le prove e orientandole maggiormente alla verifica delle competenze effettive, evitando inutili duplicazioni di natura teorica.
L’intero percorso è concepito per essere rigoroso ma equo, finalizzato a selezionare i migliori non sulla base della sola « resistenza alla precarietà », ma valorizzandone le capacità reali.
La qualità della professione, infatti, si costruisce attraverso per corsi coerenti e integrati, non attraverso l’accumulo disordinato di ostacoli.
L’importanza di un intervento normativo strutturale è evidenziata anche dalle principali tendenze demografiche, reddituali e organizzative dell’avvocatura ita liana, ben documentati nel citato Rapporto sull’Avvocatura 2025.
Il calo degli iscritti (233.260 nel 2024, con una diminuzione dell’1,6 per cento rispetto all’anno prece dente), l’età media in crescita (48,9 anni), la scarsa presenza di iscritti di età inferiore a 35 anni (circa il 12,7 per cento) e le pro fonde disuguaglianze di genere, con un divario reddituale medio tra gli uomini e le donne superiore a 30.000 euro annui, im pongono una risposta normativa di sistema.
A ciò si aggiunge un diffuso disagio professionale: un terzo degli avvocati considera di abbandonare la professione, oltre il 60 per cento fatica a conciliare vita e lavoro, e circa due terzi dichiarano redditi inferiori a 35.000 euro.
Le giovani genera zioni, più esposte alla precarietà, all’incertezza e allo sfruttamento, sono le più col pite. In questo scenario, la presente proposta di riforma mira a incentivare il ricambio generazionale, rendendo più accessibile e sostenibile il percorso di accesso.
Si propone di promuovere l’equità, intervenendo sulle disparità economiche e di genere at traverso la gratuità dei corsi sulla base delle fasce di reddito ai fini dell’ISEE e l’obbligo di compenso per i praticanti.
Allo stesso tempo, si intende qualificare la formazione e il tirocinio mediante l’applicazione di standard nazionali omogenei, una vigilanza effettiva e percorsi professionalizzanti già in ambito universitario.
La presente proposta di legge vuole essere una risposta concreta e lungimirante a una professione che sta cambiando e che ha bisogno di essere accompagnata, non frenata.
L’obiettivo non è abbassare la qualità, ma rimettere al centro il merito, la dignità e la sostenibilità del percorso per diventare avvocato.
Un accesso più giusto, moderno e inclusivo rappresenta l’unica strada per garantire una professione all’altezza delle sfide della giustizia contempo ranea e capace di attrarre nuove genera zioni di professionisti motivati e competenti.
