L’articolo 111 della Costituzione stabilisce in modo chiaro e inequivocabile che la giustizia è amministrata in nome del popolo e che ogni processo deve rispettare i principi di imparzialità, terzietà del giudice e contraddittorio tra le parti.
Questi principi non sono semplici formule astratte: sono il fondamento della fiducia che i cittadini ripongono nel sistema giudiziario.
Eppure, quando si discute di organizzazione della magistratura, capita troppo spesso che le parole della Costituzione vengano piegate a interpretazioni fantasiose, trasformando principi chiari in oggetto di polemiche ideologiche o di allarmismi privi di fondamento.
Attualmente, giudici e pubblici ministeri appartengono allo stesso ordine giudiziario, condividendo percorsi formativi e organi di autogoverno come il Consiglio Superiore della Magistratura.
Questo assetto ha garantito per anni una formazione condivisa e una gestione coordinata della magistratura, favorendo un equilibrio interno che ha funzionato bene. Tuttavia, per quanto la sostanza possa essere solida, la percezione esterna è altrettanto importante.
La fiducia dei cittadini non dipende solo dal fatto che la giustizia sia imparziale nella realtà: deve apparire imparziale anche agli occhi del pubblico. L’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo lo ricorda chiaramente: la giustizia deve apparire giusta, perché la legittimità non nasce soltanto dalla sostanza, ma anche dalla trasparenza dei ruoli e dalla chiarezza dei processi.
È qui che interviene la proposta di separazione delle carriere. Essa non nasce per punire, criticare o limitare nessuno; nasce per chiarire, rendere più trasparente e rafforzare un sistema già solido.
I giudici potranno dedicarsi esclusivamente alla funzione giurisdizionale, mentre i pubblici ministeri manterranno la loro autonomia nell’esercizio dell’azione penale.
Si tratta di un distinguo che rende evidenti le responsabilità di ciascun magistrato e aiuta il cittadino a comprendere chi fa cosa, senza compromettere in alcun modo l’autonomia di nessuno.
Eppure, non mancano le voci allarmistiche: “i PM saranno sottomessi all’esecutivo”, “la giustizia perderà indipendenza”, e simili allarmismi circolano da anni ogni volta che si propone una riforma.
È importante sottolineare che queste affermazioni non hanno fondamento. I pubblici ministeri restano magistrati costituzionalmente autonomi, e la riforma non modifica questo principio.
La separazione delle carriere non riduce l’autonomia di nessuno, ma chiarisce i ruoli e rende più leggibile il sistema ai cittadini, riducendo ogni possibile confusione.
Le paure infondate, spesso amplificate dai media o dai social, rischiano di distogliere l’attenzione dai benefici reali di una riforma pensata per rafforzare la trasparenza.
Oltre alla chiarezza dei ruoli, la separazione delle carriere contribuisce anche a una gestione più efficiente della magistratura.
La distinzione permette a ciascun magistrato di concentrarsi pienamente sulle proprie funzioni, senza sovrapposizioni o interferenze di natura organizzativa. È un vantaggio pratico che si traduce in una maggiore efficacia e precisione nell’attività giudiziaria e in quella requirente.
Un sistema più chiaro e lineare è anche più facilmente comprensibile dai cittadini, che possono seguire meglio i procedimenti e fidarsi con maggiore sicurezza dell’imparzialità dei giudici.
Va inoltre ricordato che la separazione delle carriere rafforza la percezione di imparzialità e terzietà, valori fondamentali sanciti dalla Costituzione.
Non si tratta di un cambiamento rivoluzionario, ma di un passo logico e coerente per rendere la giustizia più visibile e comprensibile.
La riforma valorizza il lavoro dei magistrati, rende trasparente il sistema e consolida la fiducia dei cittadini nella giustizia.
In sintesi, sostenere la separazione delle carriere significa scegliere coerenza costituzionale, trasparenza e autonomia.
Significa affermare che la giustizia è al servizio dei cittadini, che ogni ruolo è distinto e chiaro, e che le false paure non devono oscurare la realtà. È una riforma che rende evidente ciò che già esiste: un sistema giudiziario autonomo, terzo e affidabile.
Votare sì non è un atto tecnico, né una scelta ideologica: è una scelta di buon senso, un segnale di fiducia nella Costituzione e nella capacità dei magistrati di svolgere il proprio ruolo in piena autonomia.
La separazione delle carriere è anche un messaggio verso la società: la giustizia non è un’entità astratta, ma un sistema concreto, comprensibile e credibile.
Separare ruoli e funzioni significa rendere visibili i principi costituzionali nella pratica quotidiana, consolidando la fiducia dei cittadini in un sistema che, pur con i suoi limiti, rimane uno dei pilastri della democrazia.
Le polemiche infondate possono continuare a circolare, ma la realtà costituzionale e i benefici concreti della riforma parlano da soli: una giustizia più chiara è una giustizia più forte, per tutti.
