Difensore fiduciario che comunica in udienza al giudice la rinuncia al mandato: nessuna nullità ove partecipi all’attività processuale e il giudice, pur nominando un difensore d’ufficio, ne differisca il subentro all’udienza di prosieguo (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 35795/2025, 9/31 ottobre 2025 (allegata alla fine del post in versione anonimizzata), ha affermato che non si configura la nullità di cui agli artt. 97, 107, 178 lett. c) e 179 cod. proc. pen. quando la rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia sia rappresentata al giudice in udienza e, nelle more della comunicazione dell’atto abdicativo all’assistito, il difensore rinunciante partecipi all’attività processuale ed il giudice nomini il nuovo difensore per l’udienza in prosieguo.

Provvedimento impugnato

Con la sentenza impugnata del 4 febbraio 2025, la Corte territoriale ha confermato la decisione del Tribunale con la quale [Tizio] è stato condannato alla pena di giustizia per il reato di atti persecutori e lesioni aggravate in danno di oltre statuizioni accessorie.

Ricorso per cassazione

Avverso la sentenza indicata ha proposto ricorso l’imputato, con atto a firma del suo difensore, affidando le proprie censure a quattro motivi.

Con il primo motivo, deduce violazione di legge ex artt. 97, 107, 178 lett. c) e 179 cod. proc. pen. e correlato vizio della motivazione in relazione alla reiezione della questione di nullità proposta con il primo motivo d’appello relativamente all’attività svolta nell’udienza del 5 dicembre 2023, quando il difensore di fiducia presente aveva rappresentato di rinunciare al mandato ed il Tribunale, non essendovi prova della comunicazione all’imputato, aveva dato corso alla fase ammissiva delle prove ed all’acquisizione, sull’accordo delle parti, di documentazione, nominando un difensore d’ufficio solo per l’udienza successiva.

AI riguardo, la Corte d’appello ha ritenuto che non sussistesse l’obbligo di immediata nomina del difensore d’ufficio e che la perdurante assistenza del difensore rinunciante non avesse determinato alcun vulnus alla difesa dell’imputato, assistito da un professionista che aveva piena contezza degli atti del procedimento, incorrendo nella violazione denunciata, come affermato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’art. 107, comma 3, cod. proc. pen. impone la nomina del difensore d’ufficio non appena la dichiarazione di rinuncia è comunicata al giudice che procede. La motivazione è, inoltre, mancante laddove non ha tenuto conto dell’effettivo vulnus alle prerogative difensive, avendo l’appellante puntualmente indicato le conseguenze sfavorevoli derivanti dalle preclusioni maturate all’udienza del 5 dicembre 2023, in conseguenza del decorso dei termini perentori per l’indicazione dei testi a discarico, e del consenso prestato all’utilizzabilità di documenti prodotti dalla parte civile; vulnus neppure sanato dalle richieste svolte dal difensore subentrato ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., rigettate dal Tribunale.

Con il secondo motivo, deduce analoga censura in riferimento agli artt. 507 e 603 cod. proc. pen. quanto all’esame dei testi di cui la difesa aveva richiesto l’ammissione, trattandosi di prove decisive poiché la testimonianza di dimostra l’inattendibilità della parte civile e l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato di atti persecutori, confermando la mancanza di qualsiasi stato d’ansia e di paura.

Il terzo motivo denuncia vizio della motivazione riguardo l’eccezione di nullità per violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. quanto al capo 2) dell’imputazione, in cui è contestata una condotta consumata in xxx dal luglio 2020, mentre la sentenza si riferisce ad una gomitata sferrata in xxx il 30 maggio 2021, smentita dal filmato versato in atti.

Con il quarto motivo si svolge analoga doglianza in riferimento agli esiti della relazione clinica svolta sulla persona offesa, che hanno evidenziato tratti della personalità inclini alla menzogna ed alla dissimulazione di aspetti negativi della personalità; al decorso positivo dei rapporti tra l’imputato e la figlioletta; al tentativo della parte civile di sostituire la figura paterna con l’attuale compagno; al contenuto dei messaggi intercorsi tra le parti, dai quali emerge l’assenza di minacce di morte e l’interesse dell’imputato volto esclusivamente al consolidamento del rapporto con la minore.

Decisione della Suprema Corte

Il ricorso è complessivamente infondato.

Primo motivo

Le censure proposte nel primo motivo, con il quale si deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione agli artt. 97, 107, 178 lett. c) e 179 cod. proc. pen. sono inammissibilmente formulate e sono, comunque, infondate.

Con indirizzo consolidato, anche di recente ribadito, la quinta sezione penale ha affermato che, in tema di ricorso per cassazione, quando sia dedotta l’erroneità di una decisione sul fatto e quando tale decisione sia destinata all’applicazione di una norma sostanziale relativa alla responsabilità penale o civile dell’imputato, il controllo esercitato dalla Corte è limitato alla sola motivazione del provvedimento impugnato; se, viceversa, è censurata la applicazione di una norma processuale, non ha alcuna rilevanza, in sede di legittimità, il fatto che tale scelta sia stata, o non, correttamente motivata dal giudice di merito, atteso che, quando viene sottoposta al giudizio della Corte suprema la correttezza di una decisione in rito, la Corte stessa è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla (Sez. 5, n. 15124 del 19/03/2002, Ranieri, Rv. 221322 – 01; si veda anche Sez. 1, n. 22337 del 23/03/2021, Di Giovanni, Rv. 281391 – 01).

Ne discende che il punto della censura che eccepisce il vizio della motivazione sulla questione di nullità prospettata è – al pari delle analoghe questioni processuali di cui infra – proposto fuori dei casi previsti dalla legge.

È, invece, infondata la dedotta violazione della legge processuale.

…Latitudine temporale cui l’art. 107 cod. proc. pen. collega gli effetti della non accettazione, rinuncia o revoca del difensore

La questione proposta con il primo motivo investe, essenzialmente, la portata della latitudine temporale alla quale l’art. 107 cod. proc. pen. correla gli effetti delle ipotesi ivi previste di non accettazione, rinuncia o revoca del difensore.

Con specifico riferimento al caso, che qui rileva, della rinuncia al mandato difensivo – atto unilaterale recettizio ad effetti eventualmente differiti – la disposizione citata prevede che la stessa non ha effetto finché la parte non risulti assistita da un nuovo difensore di fiducia o da un difensore d’ufficio e non sia decorso eventualmente il termine per la difesa di cui all’art. 108 cod. proc. pen.; termine di cui può avvalersi il nuovo difensore, o quello designato d’ufficio.

…la giurisprudenza maggioritaria sul punto

La giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che la rinuncia al mandato difensivo comporta l’obbligo per il giudice, a pena di nullità, di nominare all’imputato, che non abbia provveduto a una nuova nomina fiduciaria, un difensore d’ufficio (tra le tante,Sez. 6, n. 27637 del 30/04/2024, Cerbone, RV.286756 – 01; Sez. 5, n. 37438 del 25/05/2023, Mastromatteo, Rv. 285116-01; n. 39570 del 2019 Rv. 276872-01, n. 16958 del 2018 Rv. 272603 – 01, n. 47159 del 2022 Rv. 284024-01, n. 37875 del 2023 Rv.285025-01), sull’assunto che l’eventuale designazione temporanea di un sostituto, ai sensi dell’art. 97, comma 4, cod. proc. pen., avendo natura episodica, sia consentita nei soli casi di impedimento temporaneo del difensore di fiducia o di quello di ufficio.

Con specifico riferimento al dato temporale, si è affermato come, in caso di rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia, il giudice, in assenza di nuova nomina fiduciaria, abbia l’obbligo, a pena di nullità ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen., di designare tempestivamente un difensore di ufficio, onde evitare che all’imputato, in situazione di sostanziale minorata difesa, siano precluse, di fatto, scelte processuali soggette a termini perentori e consentire al difensore nominato di poter rendere edotto l’assistito innanzitutto della facoltà di indicare un nuovo difensore di fiducia (Sez. 2, n. 37875 del 07/07/2023, Rv. 285025-01 in fattispecie in cui il ricorrente, detenuto per altra causa, aveva potuto nominare un nuovo difensore di fiducia solo due giorni prima dell’udienza dinanzi alla Corte di appello, circostanza addebitabile anche al ritardo con cui il giudice, dopo aver preso atto della rinuncia al mandato da parte dell’originario difensore fiduciario, aveva nominato, ex art. 97, comma l, cod. proc. pen., un difensore di ufficio).

…quella minoritaria

Da siffatto orientamento ermeneutico sembra discostarsi altro filone giurisprudenziale, secondo cui la rinuncia al mandato difensivo non comporta l’obbligo, per il giudice, di nominare all’imputato, che non abbia provveduto a una nuova designazione fiduciaria, un difensore d’ufficio, essendo quello rinunciante onerato della difesa fino all’intervento di una nuova nomina (tra le ultime Sez. 2, n. 7313 del 08/01/2025, Aloisio, Rv. 287555 – 01; Sez. 3, n. 41233 del 01/10/2024, M., Rv. 287167 – 01; N. 46435 del 2019 Rv. 277795 – 01, n. 3094 del 2016 Rv. 266052 – 01).

Ponendosi in consapevole difformità con l’opzione interpretativa contraria, l’orientamento in rassegna sostiene che la tesi del perdurante onere del difensore di fiducia rinunciatario di provvedere alla difesa fino alla nuova nomina «trova un innegabile sostegno nella disposizione di cui al comma 3 dell’art. 107 cod. proc. pen., ai sensi del quale “Ia rinuncia non ha effetto finché la parte non risulti assistita da un nuovo difensore di fiducia o di ufficio”, ovvero non sia decorso il termine eventualmente concesso ai sensi dell’art. 108. E valorizzando la chiara opzione codicistica, nel senso della perdurante efficacia dell’assistenza difensiva da parte del difensore rinunciante fino alla nuova nomina, ritiene che non possa orientare l’interprete qualora il nuovo difensore non venga immediatamente nominato nel senso di una automatica ineluttabile nullità (tantomeno assoluta, essendo tale sanzione prevista per la diversa ipotesi della assenza del difensore dell’imputato “nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza”: art. 179, comma 1, cod. proc. pen.): una nullità, in altri termini, correlata alla semplice constatazione della mancanza di una immediata nomina del nuovo difensore da parte dell’A.G. procedente, e quindi configurabile senza che possa conferirsi rilievo alcuno alle concrete vicende processuali successive alla comunicazione della rinuncia» (Sez. 3, n. 41233 del 01/10/2024, cit.).

… e la soluzione interpretativa per superare il conflitto passa attraverso la verifica della garanzia dell’effettività della difesa

Il collegio ritiene che il rilevato contrasto trovi composizione alla luce della disamina delle concrete situazioni processuali che hanno dato luogo all’affermazione dei principi sopra sinteticamente riportati, letti nel solco dell’effettività della difesa, affermata dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, dep. 2012, Rossi, Rv. 251497 – 01).

In siffatta prospettiva, la correlazione temporale in termini di tempestività va riguardata in una dimensione sistematica, volta ad attribuire rilievo prioritario all’effettività del diritto alla difesa tecnica, in coerenza con i principi elaborati dalla Corte di Strasburgo, che ha più volte segnalato la necessità di assicurare il pieno contraddittorio attraverso l’effettività della difesa, se del caso anche attraverso la concessione di idonei termini volti a realizzare tale obiettivo (si rinvia a Corte EDU, 27/04/2006, Sannino, c. Italia; Corte EDU 21/04/1998, Daud c. Portogallo).

In questa chiave, deve ritenersi che, nel momento in cui ha notizia della rinuncia al mandato, il giudice debba provvedere, tempestivamente, alla nomina di un nuovo difensore, fermo restando che, nelle more, fintantoché il nuovo difensore non abbia assunto il pieno esercizio dell’incarico e non sia decorso l’eventuale termine richiesto, risulta ancora efficace la nomina fiduciaria precedente; ma siffatta prorogatio degli effetti della nomina “rinunciata” deve ritenersi temporalmente circoscritta, con la conseguenza che la stessa postula la designazione del nuovo difensore senza indugio, nel senso che il giudice deve valutare se, nonostante la rinuncia, la difesa sia comunque in concreto assicurata e, ove non lo sia, differire la trattazione del processo, onde consentire il pieno esercizio del mandato al nuovo difensore designato.

A tale verifica non si sottrae la giurisprudenza evocata anche dal ricorrente.

Il caso esaminato dalla sentenza n. 47159 del 25/10/2022, cit., afferiva ad una rinuncia al mandato difensivo comunicata prima dell’udienza, a cui era seguita la nomina di un sostituto ex art. 97 comma 4 e, successivamente, la nomina tardiva del nuovo difensore, in relazione alla quale la Suprema Corte ha reputato essersi realizzato, in concreto, un vulnus alle prerogative difensive in relazione alle attività svolte dal sostituto del difensore rinunciante.

La fattispecie disaminata nella sentenza n. 37438 del 2023, cit. riguardava, allo stesso modo, una rinuncia al mandato anteriore all’udienza, nella quale il difensore rinunciante non comparso è stato sostituito ai sensi del predetto art. 97, comma 4.

Il ritardo nella nomina del nuovo difensore non è stato, invece, ritenuto effettivamente pregiudizievole nel caso esaminato nella sentenza n. 41233 del 2024, cit., poiché la perdurante efficacia del mandato difensivo ha posto il difensore rinunciante, in pendenza del termine per appellare la sentenza di primo grado, nella piena facoltà di proporre l’impugnazione fino alla nuova nomina (come già affermato da Sez. 5, n. 3094 del 19/11/2015, dep. 2016, Arnoldo, Rv. 266052 – 01 in un caso di verifica della validità della notifica dell’estratto contumaciale della sentenza ai fini dell’appello); ed analoga verifica di effettività della difesa è stata svolta nella fattispecie oggetto della sentenza n. 7313 del 2025, relativa sempre alla nomina del sostituto processuale all’udienza, seguita solo successivamente dall’investitura di un nuovo difensore.

Ne discende che la giurisprudenza di legittimità, pur con le necessarie precisazioni implicate dalle concrete fattispecie esaminate e dalla specificità o meno dell’eccezione di nullità, si indirizza univocamente nel ravvisare la patologia solo laddove il ritardo nella nomina del difensore subentrante abbia, in concreto, determinato una lesione dei diritti della difesa.

…adattamento della soluzione interpretativa al caso in esame

Nel quadro così delineato, la questione posta dal ricorrente non è fondata.

Nel caso in esame, dalla lettura degli atti processuali si ricava che la prorogatio del munus difensivo prevista dall’art. 107, comma 3, cod. proc. pen. si è dispiegata nel corso dell’udienza del 5 dicembre 2023, quando il difensore di fiducia presente ha rappresentato di aver rinunciato al mandato, senza tuttavia dare prova che l’atto abdicativo fosse stato già portato a conoscenza dell’imputato; ed il medesimo difensore ha legittimamente esercitato le doverose prerogative difensive nel corso della attività svolte nella stessa udienza, partecipando al contraddittorio nella fase di ammissione delle prove secondo il dovere di assistenza postulato dal codice di rito e dalla deontologia professionale.

A fronte di siffatta situazione di fatto, nella quale lo stesso difensore di fiducia presente ha assicurato la partecipazione e l’assistenza, senza necessità di nomina di sostituti ex art. 97, comma 4., cod. proc. pen. (casi ai quali, come visto, la giurisprudenza riconnette effetti invalidanti, per le ipotesi di pregiudizio effettivo), legittimamente il giudice ha proceduto alla nomina del difensore d’ufficio subentrante, differendone l’efficacia alla successiva udienza.

…irrilevanza delle preclusioni che le scelte del difensore rinunciante hanno imposto a quello subentrante

In tale quadro, non rileva poi che, ex post, l’odierno ricorrente contesti le scelte processuali del difensore rinunciante, eventualmente rilevanti sotto il profilo deontologico, posto che il dovere di lealtà e correttezza – e, in particolare, l’obbligo di difesa sancito dall’art. 46 del Codice deontologico forense – segue l’esercizio effettivo della difesa; ciò che, invece, rileva è che l’imputato abbia potuto contare sulla rappresentanza ed assistenza del difensore di fiducia, ancorché rinunciante, nell’esplicarsi del contraddittorio.

È, quindi, alla luce dell’effettività della difesa che va letto il riferimento temporale implicito al dovere del giudice di nomina del difensore dell’imputato in seguito alla rinuncia del precedente difensore, e non già alla luce di un generico ed astatizzante [sic: verosimilmente l’estensore intendeva estetizzante] concetto di tempestività.

…il principio di diritto

Va, pertanto, qui affermato il principio per cui non si configura la nullità di cui agli artt. 97, 107, 178 lett. c) e 179 cod. proc. pen. quando la rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia sia rappresentata al giudice in udienza e, nelle more della comunicazione dell’atto abdicativo all’assistito, il difensore rinunciante partecipi all’attività processuale ed il giudice nomini il nuovo difensore per l’udienza in prosieguo.

Il primo motivo è, pertanto, infondato.

Secondo motivo

Il secondo motivo è proposto fuori dei casi previsti dalla legge.

Va qui ribadito il consolidato principio per cui la mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo d’impugnazione ex art. 606, comma l, lett. d) cod. proc. pen., può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione ai sensi dell’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà essere validamente articolato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 2, n. 884 del 22/11/2023, dep. 2024, Pasimeni, Rv. 285722 – 01; n. 24259 del 2010 Rv. 247290 – 01, n. 4672 del 2017 Rv. 269270 – 01, n. 33105 del 2003 Rv. 226534 – 01, n. 841 del 2013 Rv. 254052 – 01, n. 16772 del 2010 Rv. 246932 – 01, n. 9763 del 2013 Rv. 254974 – 01).

Quanto, invece, al punto della censura che contesta il diniego della rinnovazione istruttoria richiesta in appello, devesi rilevare come il sindacato che il giudice di legittimità può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato dal giudice di appello sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere svolto sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (Sez. 3, n. 34626 del 15/07/2022, Grosso, Rv. 283522 – 01; conf.: n. 2110 del 1995, Rv 203764-01).

E, nell’ambito cognitivo così circoscritto, si ritiene che la deduzione del ricorrente sia rimasta nell’alveo della aspecificità laddove, nel dedurre mancanza di motivazione riguardo la richiesta di cui all’art. 603 cod. proc. pen. – asseritamente risolta al punto 7 della sentenza impugnata attraverso il richiamo alla genericità dell’istanza – si limita ad evocare la violazione del diritto di difesa e le necessità istruttorie “rappresentate nei motivi d’appello formulati prima del settimo”, in tal modo precludendo il controllo di legittimità sul contenuto esplicativo della sentenza rispetto alla decisività delle prospettazioni asseritamente ignorate.

Il terzo motivo

Esso è, del pari, proposto fuori dei casi previsti dalla legge ed è, comunque, manifestamente infondato.

Sotto la rubrica “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione”, il ricorrente espone una questione processuale che, come già rilevato, deve essere invece dedotta sub specie di violazione di legge.

Ricondotta la doglianza nell’alveo dell’art. 606, lett. c) cod. proc. pen., la stessa è comunque manifestamente inconducente.

Il ricorrente eccepisce la nullità per violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. quanto al capo 2) dell’imputazione, in cui è contestata una condotta consumata in xxx dal luglio 2020, mentre la sentenza si riferisce ad una gomitata sferrata in xxx il 30 maggio 2021, smentita dal filmato versato in atti.

Ebbene, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, si ha violazione del principio di correlazione solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito.

Tale violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta – che realizza l’ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione – venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell’originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l’imputato non ha avuto modo di difendersi (cfr. Sez. 3, n. 1960 del 28/06/2017, dep. 2018, Licco, Rv. 272093 – 01; Sez. 3, n. 9916 del 12/11/2009, dep. 2010, Rv. 246226; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, dep. 2013, Rv. 254888; Sez. 6, n. 899 del 11/11/2014, dep. 2015, Rv.2 61925; Sez. 6, n.17799 del 06/02/2014, Rv. 260156; Sez. 6, n. 899 del 11/11/2014, dep. 2015, Rv. 261925).

In tale quadro, il luogo di consumazione del reato costituisce una circostanza che non determina alcuna modificazione in ordine al fatto contestato, in quanto non costituisce “fatto nuovo”, rappresentando una mera variazione dell’originaria contestazione (Sez. 4, n.17039 del 18/02/2009, Rv. 243445; Sez. 3, n. 19725 del 03/04/2008, Rv. 240038).

Risulta, pertanto, destituita di fondamento l’eccepita violazione del principio di correlazione tra contestazione e fatto ritenuto in sentenza, non costituendo, alla luce del principio suesposto, la variazione del luogo di consumazione del reato uno stravolgimento dell’originaria contestazione nei suoi elementi essenziali, in violazione del diritto di difesa che si è, anzi, esplicato proprio sulla – unica – condotta di lesione effettivamente contestata.

Nel resto, il motivo si indirizza alla svalutazione delle videoriprese in atti, denunciandone il travisamento in modo assertivo, e senza assolvere all’onere di deduzione imposto nei casi di “doppia conforme” (tra le tante,Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, Seccia, Rv. 283777 – 01 a mente della quale “Nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado”).

Il quarto motivo

Esso si risolve in una manifestazione di dissenso e denuncia, ancora, un travisamento per omissione di cui non si specifica l’effettiva portata demolitoria della ratio decidendi della sentenza impugnata, con la quale non si confronta.

Attraverso una formale denuncia di vizio di motivazione, il ricorrente richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.

Nel motivo in esame, in sostanza, si espongono censure che si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508).

Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, Rv. 234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv. 253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).

La Corte di cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4, 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989; Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, dep.16/02/2015, Rv. 262722).

Il ricorso è, pertanto, complessivamente infondato.

Note di commento

La decisione del collegio della quinta sezione penale appena riportata appare ben poco convincente in relazione ad almeno due profili.

Il primo di essi chiama in causa il criterio regolatore utilizzato riguardo alla determinazione della latitudine temporale cui l’art. 107 cod. proc. pen. collega gli effetti della rinuncia al mandato del difensore fiduciario.

Il collegio, dove avere sciorinato due opposti orientamenti interpretativi, ha adottato un criterio per così dire mediano: il giudice che abbia notizia della rinuncia è tenuto a provvedere senza ritardo alla nomina del nuovo difensore; il rinunciante rimane in carica finché il subentrante non abbia assunto il pieno esercizio dell’incarico;  la proroga deve essere temporalmente contenuta e richiede comunque che il giudice valuti positivamente che la difesa sia concretamente assicurata perché, se così non fosse, dovrebbe differire il processo senza compiere ulteriori attività fino al subentro effettivo del nuovo difensore designato.

Giustifica questa scelta con il rilievo prioritario che ha inteso dare all’effettività del diritto di difesa nell’accezione ad esso attribuita dalla giurisprudenza dei giudici europei dei diritti umani.

Osserva, questa volta sul piano di quanto è concretamente successo nella vicenda processuale sottostante al ricorso, che il difensore rinunciante – il quale, è bene ricordarlo, non aveva dato alcuna prova di avere comunicato la rinuncia al suo assistito –  “ha legittimamente esercitato le doverose prerogative difensive nel corso della attività svolte nella stessa udienza, partecipando al contraddittorio nella fase di ammissione delle prove secondo il dovere di assistenza postulato dal codice di rito e dalla deontologia professionale”.

L’apparente perfezione di questo meccanismo si infrange tuttavia alla prima curva.

Il ricorrente, tramite il suo difensore, contesta il modo in cui il difensore uscente ha esercitato le sue prerogative e fa constare che ne è derivato un pregiudizio alla sua difesa.

Il collegio della quinta penale non attribuisce alcuna importanza al rilievo difensivo, limitandosi a concedere che potrebbe semmai avere un seguito sul piano deontologico.

Conta unicamente che l’imputato sia stato rappresentato ed assistito, il resto è un inutile, anzi estetizzante, esercizio di stile.

Ciò che pare sfuggire ai giudici di legittimità è l’irrimediabile contraddizione tra il richiamo al principio dell’effettività della difesa che hanno dichiarato di volere assumere come linea guida ed il confinamento sullo sfondo dell’accusato che è il titolare ed il beneficiario della difesa.

Il fatto essenziale è in fondo assai semplice: il difensore di fiducia ha rinunciato al mandato all’insaputa dell’assistito (o, il che è lo stesso, non avendo fornito prova di averglielo comunicato) e il giudice procedente gli ha consentito di continuare a spiegare attività difensive nonostante la conclamata cessazione del canale comunicativo con il suo ormai ex rappresentato il quale ha per ciò stesso subito da inerme scelte processuali che non è detto conoscesse e condividesse.

Eppure, proprio a Strasburgo è stato affermato che “Il dialogo tra l’avvocato e il suo cliente non deve essere ostacolato privando quest’ultimo di elementi che gli permettano di farsi un’idea propria delle forze e delle debolezze dei mezzi di prova prodotti dall’accusa” (cfr. “Guida sull’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Diritto a un processo equo (profilo penale)”, edizione aggiornata al 2020, par. 137, pagina 40).

Pare dunque che la violazione del diritto di difesa via sia stato eccome e ben diverso si ritiene avrebbe dovuto essere l’esito del ricorso sul punto.

Il secondo profilo di censurabilità della decisione attiene al terzo motivo di ricorso.

Come si ricorderà, la difesa ha lamentato una violazione del principio di correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza.

Tale violazione, secondo quanto è dato ricavare dal testo della sentenza, sarebbe avvenuta su un duplice piano: quello territoriale, essendo state indicate località diverse nella contestazione e nella decisione, sia su quello temporale, avendo la contestazione fatto riferimento ad una condotta consumata dal luglio 2020 e la sentenza ad una gomitata sferrata il 30 maggio 2021.

Ciò premesso, si osserva che il collegio di legittimità ha limitato la sua attenzione al profilo territoriale, peraltro ed ancora una volta banalizzandone gli effetti e riducendolo ad una mera ed insignificante variazione, mentre ha totalmente omesso la differente descrizione del tempo del commesso reato.

Un sintomo, anche questo, di un tono generale della decisione palesemente influenzato dalla tendenza di lungo corso della giurisdizione di legittimità di privilegiare la conservazione degli atti cui segue il prezzo di una continua erosione dello statuto garantistico spettante a chi si difende.

Un segno dei tempi.