Terzo proprietario di un immobile confiscato: la nozione di buona fede in ambito penale è diversa da quella civilistica (Vincenzo Giglio)

Secondo Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 11456/2025, 5/21 marzo 2025, non è corretta l’affermazione secondo la quale, in applicazione dell’art. 1147, comma terzo, cod. civ., la buona fede del terzo proprietario è presunta e basta che vi sia stata al momento dell’acquisto.

È necessario prendere le mosse dal concetto di terzo, i diritti del quale sono salvaguardati dal legislatore prevalendo, in caso di buona fede, anche sulla sanzione della confisca.

Terzo è la persona estranea al reato, ovvero la persona che non solo non abbia partecipato alla commissione del reato, ma che da esso non abbia ricavato vantaggi e utilità (Sez. 2, n. 11173 del 14/10/1992, Rv 193422; Sez. 3, n. 3390 del 19/01/1979, Rv 141690, secondo le quali non può considerarsi estraneo al reato il soggetto che da esso abbia ricavato vantaggi e utilità); soltanto colui che versi in tale situazione oggettiva e soggettiva può vedere riconosciuta la intangibilità della sua posizione giuridica soggettiva e l’insensibilità di essa agli effetti del provvedimento di confisca.

La sentenza Bacherotti (Sez. U, n. 9 del 28/04/1999, Bacherotti, Rv. 213511), che merita di essere condivisa, ha precisato che al requisito oggettivo, integrato dalla non derivazione di un vantaggio dall’altrui attività criminosa, deve aggiungersi la connotazione soggettiva della buona fede del terzo, intesa come «non conoscibilità, con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, del predetto rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato».

Si tratta di considerazioni del tutto ragionevoli che sono state ribadite dalla sentenza SU, Uniland, cit. e che costituiscono ulteriore argomento a favore della competenza in materia del giudice penale, dal momento che deve essere accertata la estraneità del terzo al reato nel senso dinanzi precisato.

Il concetto di buona fede per il diritto penale è, dunque, diverso da quello di buona fede civilistica a norma dell’art. 1147 cod. civ., dal momento che anche i profili di colposa inosservanza di doverose regole di cautela escludono che la posizione del soggetto acquirente o che vanti un titolo sui beni da confiscare o già confiscati sia giuridicamente da tutelare. Quanto all’onere della prova della buona fede, la sentenza SU, Uniland, cit., ha precisato che l’inversione dell’onere della prova, derivante dalla precedente SU, Bacherotti, cit., non trova fondamento in norme giuridiche; ciò che, invece, sembra del tutto ragionevole pretendere è un onere di allegazione a carico del terzo che voglia far valere un diritto acquisito sul bene in ordine agli elementi che concorrono a integrare le condizioni di appartenenza del bene e di estraneità al reato dalle quali dipende l’operatività della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato.

Una siffatta rigorosa impostazione trova giustificazione nel fatto che la confisca dei beni è disposta perché viene accertato, a seguito di un processo penale, che i beni oggetto del provvedimento costituiscono una “proprietà” del clan nonché il luogo nel quale veniva esercitato il dominio mafioso, dunque un bene utilizzato per commettere il reato.