In questi giorni la litania più ripetuta è che la separazione delle carriere non riguarda la giustizia di tutti i giorni dei cittadini ed anzi ridurrebbe “le garanzie per chiunque chieda giustizia”, così nell’articolo datato 26 settembre 2025 sulla rivista la Magistratura dell’Anm: Il patto da difendere, perché il no alla separazione delle carriere – La Magistratura .
La previsione fosca non tiene conto del presente che si traduce in giudici piegati alle richieste dei pubblici ministeri in particolare nella fase delle indagini.
La domanda di quante volte una richiesta del PM di misura cautelare o di sequestro viene respinta da un Gip non trova risposta da anni, nonostante il Ministero della Giustizia enfatizzi il progetto Banca dati misure cautelari che: “ è nata per dare completa esecuzione sia alla normativa prevista dall’art. 97 disp. Att. c.p.p., norma che dispone la comunicazione dell’applicazione di una qualsiasi misura cautelare al servizio informatico all’uopo istituito da un decreto del ministro della giustizia, sia alla normativa sui Registri penali informatici”.
Leggendo quanto scritto dal Ministero della Giustizia la Banca dati misure cautelari permette un controllo capillare sin dalla fase della richiesta di misura cautelare, si legge: “Notevoli sono anche i vantaggi, nella fase dell’emissione e/o della richiesta della misura cautelare, forniti dalla consultazione della base dati nazionale. Si pensi alla possibilità di verificare se un soggetto abbia altre misure cautelari in procedimenti penali in qualsiasi ufficio giudiziario d’Italia, verificando, altresì, anche i capi di imputazione delle eventuali misure riscontrate. Ma anche, per il giudice, il vantaggio di avere un quadro completo delle imputazioni richieste per ogni singolo soggetto dal Pubblico Ministero, consentendo una analisi completa anche nei casi di “mega ordinanze” di applicazione delle misure cautelari”
Ed allora coma mai nonostante le potenzialità della Banca dati non si riesce a sapere quante volte una richiesta di intercettazione viene respinta al mittente da un Gip e ancor di più quante volte una richiesta di misura cautelare personale o reale viene disattesa dal giudice?
Secondo l’onorevole Enrico Costa: “quasi il 100 per cento delle richieste dei pubblici ministeri (proroghe, intercettazioni, misure cautelari, rinvii a giudizio) sono accolte dai giudici”, così scrive nell’interrogazione numero a risposta scritta 4-05322 depositata il 23 giugno 2025 ove, tra l’altro, si legge che: “come riportato dal Corriere della Sera del 19 giugno 2025, in un articolo a firma di Giuseppe Ferrarella, la Procura della Repubblica di Milano ha segnalato ai pubblici ministeri di Brescia (sul piano penale) ed al Presidente della Corte (su quello disciplinare) il Gip Tommaso Perna, il giudice per le indagini preliminari che nei mesi scorsi era divenuto bersaglio degli attacchi della stessa Procura per aver rigettato oltre 100 richieste di misure cautelari predisposte dagli stessi pubblici ministeri.
Il motivo delle segnalazioni risiederebbe nel fatto che alcuni detenuti intercettati avrebbero parlato di interlocuzioni tra lo stesso giudice per le indagini preliminari e i difensori;
ovviamente tutto è finito nel nulla, ma, a giudizio dell’interrogante, è un chiaro segnale di quanto può capitare a chi contrasta le tesi dei pubblici ministeri”.
Quindi i giudici che disattendono le richieste delle procure sono delle mosche bianche che subirebbero ritorsioni? Noi non vogliamo crederci.
Ritornano al tema iniziale, sappiamo quante misure cautelari personali sono state messe nel 2024, leggendo la relazione al Parlamento per l’anno 2025, il numero complessivo di misure emesse è di 94.168 per l’anno 2024:
Come accade negli ultimi anni, Terzultima Fermata, in anteprima, ha pubblicato la Relazione del Ministero della Giustizia contenente i dati sulle misure cautelari e sulle riparazioni per ingiusta detenzione per l’anno 2024.
Si dice che la matematica non è un’opinione: 552 indennizzati nel 2024 per l’ingiusta detenzione (evidenziamo che le riparazioni derivante da errore giudiziario (art. 643 c.p.p.) non sono conteggiate, per capirci i Zuncheddu di turno non ci sono), il 23,1% delle misure cautelari (cioè quasi un quarto) delle misure custodiali emesse in procedimenti definiti sia connesso ad esiti che, in ipotesi, sarebbero in grado di sconfessarne la legittimità ab origine e a fronte di questo sono solo 2 (due) le azioni disciplinari intraprese nei confronti dei magistrati.
La Relazione permette di monitorare l’uso delle misure cautelari e le conseguenze del loro abuso che si concretizza con gli indennizzi per l’ingiusta detenzione subita.
Considerate nel loro totale, nell’88% dei casi le misure cautelari del 2024 sono state emesse in procedimenti conclusi con condanna definitiva o non definitiva e nel 12% in procedimenti conclusi con assoluzione o proscioglimento (rispettivamente 88,8% e 11,2% nel 2023).
…Misure emesse nei procedimenti definiti distinte per tipologia delle misure
Si prendono qui in considerazione solo quelle di tipo custodiale.
Riguardo alla misura degli arresti domiciliari senza braccialetto nel 2024 il 7,2% sono state emesse in procedimenti conclusi con condanna definitiva a pena sospesa, il 6,1% con condanna non definitiva a pena sospesa, il 6,1% con assoluzione definitiva o non definitiva e il 3,7% con altro tipo di sentenza.
Riguardo alla misura della custodia cautelare in carcere, il 4,3% sono state emesse in procedimenti conclusi con condanna definitiva a pena sospesa, il 3,9% con condanna non definitiva a pena sospesa, il 6,1% con assoluzione definitiva o non definitiva e il 3,5% con altro tipo di sentenza.
Le misure custodiali continuano a pesare oltre il 50% del totale sicché proprio quelle che dovrebbero essere utilizzate come ultima risorsa sono, al contrario, la moneta più corrente.
L’esito dei procedimenti nei quali sono state emesse misure custodiali continua ad evidenziare un aspetto preoccupante: il 9,8% del totale sono state emesse in procedimenti con esito assolutorio o di proscioglimento e il 13,3% sono state emesse in procedimenti conclusi con condanna definitiva o non definitiva a pena sospesa.
Si ha ben presente la possibilità che una percentuale di assoluzioni, proscioglimenti e benefici della pena sospesa siano maturati in virtù di elementi conoscitivi o valutativi acquisiti nelle fasi successive a quelle dell’emissione della misura (e, se non la conosciamo questa percentuale, è perché la Relazione non la indica e non sembra neanche capace di rilevarla) ma fa comunque impressione che il 23,1% (cioè quasi un quarto) delle misure custodiali emesse in procedimenti definiti sia connesso ad esiti che, in ipotesi, sarebbero in grado di sconfessarne la legittimità ab origine.
La conseguenza diretta di quest’ultimo dato è che nel 2024 lo Stato ha speso 26,9 milioni di euro per risarcire 552 ingiuste detenzioni.
Volete sapere quante azioni disciplinari sono state avviate a fronte di questi dati?
Nel 2024 sono state promosse due azioni disciplinari per incolpazioni connesse ad ingiuste detenzioni.
Entrambe sono state proposte dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione.
Non risultano invece iniziative analoghe del Ministro della Giustizia.
Le due azioni sono ancora in corso.
Anche dopo una lettura analitica ed accurata delle pagine della relazione ministeriale, le conclusioni negative non cambiano ed anzi trovano ulteriori elementi di conferma.
Le prime ragioni di sfiducia sono tutte interne al documento e all’istituzione da cui promana: depositato in ritardo di mesi, redatto sulla base di dati parziali ed attingendo ad una fonte non nata e non immaginata per scopi statistici, completamente autoreferenziale posto che continua a tradursi in una mera osservazione dell’esistente senza stimolare alcuna misura correttiva.
Sono poi sconfortanti i dati sull’uso del potere cautelare e sulle reazioni agli abusi ad opera delle istituzioni competenti.
Le misure più afflittive continuano ad essere le più usate e dovrebbe essere il contrario.
Continua ad essere elevata la percentuale di misure restrittive della libertà personale che non avrebbero dovuto essere emesse e non dovrebbe essere così.
Lo Stato continua a pagare, sebbene meno che in passato, elevati importi per la riparazione delle ingiuste detenzioni e gran parte di essi sono ascrivibili a misure emesse nei distretti giudiziari meridionali.
Continua a non esserci alcun colpevole, a giudicare dall’inesistenza di procedimenti e provvedimenti disciplinari nei confronti di chi ha chiesto e di chi ha applicato misure rivelatesi ingiuste.
Un quadro desolante e non sembra di dover aggiungere altro.
Allora per cambiare rotta la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudicanti serve eccome e riguarda la vita di tutti noi.
