La nozione di fatto notorio ha una chiara fonte normativa nell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ., il quale consente al giudice “senza bisogno di prova, [di] porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”.
La difficoltà di mettere a fuoco cosa debba intendersi per comune esperienza e cosa sia necessario perché una nozione possa rientrarvi ha generato indirizzi giurisprudenziali improntati alla cautela e ai limiti: si sono quindi, ad esempio, considerati estranei al concetto di fatto notorio elementi valutativi che richiedano accertamenti e valutazioni particolari così come la cosiddetta scienza privata del giudice e informazioni tratte dal libero accesso al web.
Ciò nondimeno, affiorano talvolta nella giurisprudenza della Suprema Corte attribuzioni di notorietà di dubbia plausibilità.
Ecco due esempi recenti.
Secondo Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza 35135/2025, 10/28 ottobre 2025, è fatto notorio che “anche imprese di “successo” a fronte della reiterata mancanza di pagamento dovuti dagli enti pubblici per i lavori effettuati vengano a trovarsi in situazioni di crisi finanziaria”.
A sua volta, Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 29368/2025, 26 giugno/8 agosto 2025, ha opinato che “l’affermata esistenza, nel Sulcis-Iglesiente di un mercato del lavoro favorevole alla parte datoriale per la prevalenza dell’offerta sulla domanda di lavoro si deve ritenere corrispondere a una comune cognizione, riconducibile alla categoria del fatto notorio – per la quale non vi è pertanto la necessità di dimostrazione del probandum”.
Le due affermazioni appena riportate sono fortemente correlate alla specificità della vicenda giudiziaria portata all’attenzione dei due collegi di legittimità ed in essa trovano giustificazione e condivisibilità.
Ma è proprio questo il punto: la plausibilità di una tesi in un contesto specifico può bastare a legittimarne l’esportazione in altre vicende giudiziarie fino a farla diventare fatto notorio?
Nel primo dei due casi si fa riferimento a non meglio precisate imprese di successo senza neanche curarsi cosa si intenda con questa espressione e quali siano i parametri oggettivi cui ancorarla. Si comprende bene, infatti, che considerare di successo imprese con un fatturato annuo non inferiore a 20.000 € non è la stessa cosa che richiedere un fatturato minimo di 2 milioni di €.
Basterebbe già questo deficit per sconsigliare il ricorso al fatto notorio.
Nel secondo caso, addirittura, si applica la nozione di fatto notorio a fatti socio-economici complessi che implicano la conoscenza di dinamiche imprenditoriali, relazioni industriali, dati oggettivi sulla domanda e sull’offerta di lavoro.
Ci si chiede come questa necessità di conoscenza sia appagabile con l’istruttoria specifica di un singolo processo penale nel quale, magari, alcuni testi hanno descritto una realtà difficile per chi cerca lavoro nell’area territoriale del Sulcis-Iglesiente ma senza che queste fonti dichiarative possano sostituirsi ad un’indagine ISTAT.
