Aggravante non contestata: il giudicante non può sostituirsi al pubblico ministero (Riccardo Radi)

La Cassazione penale con la sentenza numero 34663/2025 ha ricordato che in assenza della contestazione di una circostanza aggravante, il giudice non può restituire gli atti al pubblico ministero, in quanto è inapplicabile la disciplina codicistica relativa al fatto diverso, né può ritenere esistente la circostanza non contestata in base agli atti, atteso che ciò gli è precluso dal disposto dell’art. 521, comma 1, cod. proc. pen., sicché deve limitarsi a pronunciare condanna per il fatto di reato non circostanziato, come di fatto contestato, dovendo essere considerata tamquam non esset un’aggravante non contestata e, quindi, non oggetto di contraddittorio tra le parti.

Principio già espresso dalla Cassazione Sez. 5, n. 15455 del 26/11/2024, dep. 2025, La Giglia, Rv. 287730.

Più volte si era già puntualizzato che la “diversità del fatto” ex art. 521 cod. proc. pen. è da escludere quando risultino configurabili esclusivamente nuove o diverse circostanze aggravanti (tra le altre: Sez. 4, n. 44973 del 13/10/2021, Nodari, Rv. 282246, sub nn. 2-4 del considerato in diritto, pp. 2-3; Sez. 1, n. 25882 del 12/05/2015, Dello Monaco, Rv. 263941, sub n. 2 del “considerato in diritto”, pp. 2-3; Sez. 4, n. 31446 del 25/06/2008, Mustaccioli, Rv. 240896, la cui massima ufficiale recita «Il giudice che riconosca la diversità di una circostanza aggravante rispetto a quella originariamente contestata, non può trasmettere gli atti al Pubblico ministero ai sensi dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen., atteso che le circostanze sono elementi esterni al fatto che non ne determinano la diversità»).

Deve, quindi, escludersi che la diversità di una circostanza aggravante, così come la presenza o l’assenza di un’aggravante, determini diversità del fatto o sia comunque riconducibile alla relativa nozione, in quanto la circostanza aggravante non incide sulla fattispecie incriminatrice ma rileva solo al fine della maggiore gravità dell’illecito, che resta tale.

Il “fatto diverso“, consiste, difatti, in un’ipotesi storica difforme rispetto a quella contestata e con essa incompatibile (così Sez. 4, n. 31446 del 25/16/2008, Mustaccioli, cit., sub n. 3.2 dei “motivi della decisione”, p. 5) e la relativa nozione, che è desumibile dall’art. 649 cod. proc. pen., deve essere correlata alle componenti essenziali della fattispecie, attinenti: alla condotta; al nesso causale; all’evento.

Nessuna rilevanza è, pertanto, a tal fine attribuibile, non soltanto alla definizione giuridica, ma anche alle circostanze, che non determinano diversità del fatto, ma ad esso accedono, semplicemente appunto – circostanziandolo, cioè, rendendolo più o meno grave.

E nessuna possibilità è, per conseguenza, data al giudice che ritenga la sussistenza di una ulteriore aggravante o che riconosca la diversità di una circostanza rispetto a quella originariamente contestata, di trasmettere gli atti al Pubblico ministero e di vanificare, così, l’inerzia di questi, che, qualora non abbia tempestivamente e ritualmente contestato la nuova o diversa circostanza aggravante, non può che subire il giudicato destinato a formarsi sull’originaria contestazione, senza rimedio.

Detto in altri termini: anche ove il giudice ravvisi la sussistenza di una circostanza aggravante, non può restituire gli atti al P.m., cosi consentendo il recupero della mancanza; ciò in quanto l'”antidoto” previsto dall’art. 521 cod. proc. pen. per “neutralizzare” l’ipotesi di inerzia del P.m. può essere attivato soltanto ove il “fatto” risulti diverso (nel suo nucleo essenziale: condotta-nesso-evento) da come descritto nell’imputazione, non già ove invece risulti essere il medesimo, benchè diversamente circostanziato.

Tale soluzione è in linea con la decisione della Corte costituzionale n. 230 del 2022, che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 521, comma 2, cod. proc. pen., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 112 Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice disponga con ordinanza la trasmissione degli atti al Pubblico ministero, quando accerti che risulta una circostanza aggravante non oggetto di contestazione.

Giacché l’alternativa metterebbe in crisi lo stesso principio di terzietà ed imparzialità del giudice e favorirebbe l’adagiarsi della imputazione al processo, che deve invece restare un prius rispetto al momento dimostrativo dell’ipotesi d’accusa, pena una deleteria confusione tra ipotesi, tesi e sintesi, che demolirebbe lo stesso sillogismo giudiziario.

Nel caso esaminato, l’aggravante ad effetto speciale ritenuta in sentenza deve pertanto ritenersi tamquam non esset.

La giurisprudenza della Suprema Corte, sin da Sezioni unite Alberti (n. 21837 del 29/03/2012, Rv. 252518-01), insegna che “Nel reato di estorsione, la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia”.

Il principio è stato poi ribadito e declinato, a seconda delle concrete fattispecie, numerose altre volte dalla giurisprudenza di questa stessa Sezione (tra le tante, Sez. 2 n. 40860 del 20/09/2022, Conton, Rv. 284041-01; Sez. 2, n. 671 del 23/10/2019, dep. 2020, Pignataro, Rv. 287817; Sez. 2, n. 19646 del 26/05/2025, Solazzo, non massimata).

Della correttezza di tale affermazione di principio non mostra di dubitare, invero, neppure la Corte territoriale, che ritiene però, come poco sopra riferito, che la traccia di tale simultanea presenza, non descritta in imputazione e, tuttavia, palesatasi nel corso della istruttoria, possa efficacemente tener luogo di una contestazione mancante, integrandone, per così dire, il testo a posteriori.

Tale convincimento è errato in diritto come è stato illustrato nella parte iniziale del post.