Separazione delle carriere: mentre le opinioni continuano a prevalere sui fatti, ai cittadini continuano a mancare le informazioni che contano davvero (Vincenzo Giglio)

Agli ormai numerosi commenti sulla separazione delle carriere si è aggiunto lo scritto “Separazione delle carriere: ogni cosa è “illuminata”, un’interessante riflessione di Maurizio Romanelli, attuale Procuratore della Repubblica di Bergamo, pubblicata ieri 29 ottobre 2025 su Sistema Penale (a questo link per la consultazione).

In quale direzione si muova l’Autore è reso chiaro dai tre punti che seguono il titolo, da intendersi come asserzioni dei fautori della riforma che Romanelli si propone di confutare: “1) Cambiamo la Costituzione “per attuarla”; 2) Dopo che l’abbiamo modificata ne eliminiamo le criticità con legge ordinaria successiva; 3) La vittoria del no è il ritorno alla sottomissione della Repubblica da parte dei magistrati”.

Scorriamo adesso le sue principali proposizioni.

  • È scorretto affermare che la riforma serva ad attuare la Costituzione

All’omessa attuazione di regole costituzionali, puntualizza Romanelli, si ovvia con leggi ordinarie che colmino la lacuna, non certo con la soppressione di norme costituzionali e la loro sostituzione con norme antitetiche.

Sono eclatanti in tal senso l’istituzione di due differenti CSM al posto dell’unico esistente, il sorteggio come criterio di selezione dei componenti dei CSM al posto dell’elezione, la creazione di un giudice speciale, l’Alta Corte di Disciplina, cui attribuire la competenza a giudicare le contestazioni disciplinari ai magistrati, sottraendola così al CSM.

  • È scorretto affermare che alle criticità delle nuove disposizioni costituzionali si porrà rimedio attraverso successive leggi ordinarie

L’Autore ragiona ancora una volta in punto di gerarchia delle fonti ed osserva che le leggi ordinarie non sono e non possono essere lo strumento per correggere imperfezioni di norme costituzionali per l’ovvia impossibilità di una fonte di rango inferiore di incidere su un’altra di rango superiore.

E dunque, a titolo di esempio, se la riforma istituisce il sorteggio secco per i componenti togati dei due CSM e quello temperato per i componenti laici, nessuna legge ordinaria potrà mai estendere il sorteggio temperato anche ai componenti togati.

Ed ancora: se, a Costituzione vigente, il ruolo di garante di diritti fondamentali è attribuito all’autorità giudiziaria, cosa succederà domani, a riforma approvata, quando l’unitarietà di quel riferimento sarà frammentata tra la magistratura giudicante e quella requirente?

  • È scorretto affermare che, se vincesse il no al referendum confermativo, sarebbe una vittoria delle Procure

Sebbene la tesi della vittoria delle Procure sia stata sostenuta dal Ministro della Giustizia, il no al referendum significherebbe più semplicemente la contrarietà dei cittadini alla riforma.

Brevi note di commento

Tutte le proposizioni dell’Autore sono formalmente ineccepibili, fondate come sono su una corretta lettura della gerarchia delle fonti e del significato del referendum confermativo.

Pare tuttavia di scorgere un elemento di debolezza intrinseca nel suo ragionamento complessivo.

Le critiche, talvolta anche irridenti, di Romanelli, hanno infatti come bersaglio primario non la “materia prima” della riforma, cioè il suo testo, ma le dichiarazioni – spesso sgrammaticate, in questo senso ha ragione da vendere – attorno a quella materia.

È finanche inutile sottolineare l’irrilevanza della fonte, fosse pure la più autorevole, da cui provengono le dichiarazioni, posto che a regolare il nuovo assetto ordinamentale della magistratura, ove la riforma sia approvata e confermata, saranno le sue norme e non certo questo o quel fiato di voce di fonte governativa o politica.

La debolezza di cui si parla aumenta se si considera il totale oblio che l’Autore ha riservato ad analoghi ma contrapposti fiati.

Tante cose sono state dette sugli effetti della riforma: indebolirebbe l’attuale sistema delle garanzie dei cittadini (e proprio per difenderlo è nato il Comitato per il no al referendum), costituirebbe l’anticamera per la sottoposizione del pubblico ministero all’Esecutivo, promuoverebbe un idealtipo di magistrato burocrate e timoroso, annienterebbe la cultura della giurisdizione, renderebbe la giustizia disciplinare dei magistrati influenzabile dalla politica e tanto altro ancora.

Sono state dette, sì, ma nella gran parte dei casi gli si è assegnato un valore assiomatico, come di cose così autoevidenti da non richiedere alcuna spiegazione.

Eppure, piacerebbe capire attraverso quali ferree sequenze interpretative si possa dare per certa l’incorporazione prossima ventura dei PM nei ranghi dell’Esecutivo, quali garanzie di cittadinanza siano a rischio e perché, in che modo la tipicità della magistratura scolorirà, assimilando i suoi membri a impiegati del catasto, di cosa si parla quando si chiama in ballo la mitica cultura della giurisdizione e se esista davvero e sia mai esistita, come sia possibile una giustizia disciplinare serva della politica e – si aggiunge – su quali basi quella attuale sia ritenuta così meritevole di essere conservata.

Sono queste, a parere di chi scrive, le incompiute della riflessione di Romanelli e di tante altre simili che l’hanno preceduta.

Ed è davvero un peccato perché si aggiungono ad un’altra grande incompiuta, questa volta propria della riforma: nessuno ci ha spiegato come questo progetto che viene presentato come epocale e di un’ampiezza visionaria da togliere il fiato diminuirà anche solo di un giorno la durata dei giudizi civili e penali e promuoverà decisioni sempre e soltanto corrette e correttamente motivate, riporterà al di sotto della soglia di guardia gli abusi della libertà personale dei cittadini e gli errori giudiziari, agevolerà realmente l’autonomia della magistratura giudicante da quella requirente, intaccherà finalmente l’indebita centralità dell’accusa nel procedimento e nel processo penale, introdurrà finalmente remore sostanziali alla promozione di ipotesi accusatorie labili o addirittura sgangherate.

Questa spiegazioni continuano a mancare e, come si diceva, è un vero peccato.