La Cassazione penale sezione 4 con la sentenza numero 28437/2025, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ha stabilito che la colpa grave, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, non si identifica con la colpa penale, in quanto viene in rilievo solo la sua componente oggettiva, ma è costituita da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente, valevole a ingenerare l’intervento dell’autorità giudiziaria, alla stregua di un giudizio di prevedibilità “ex ante”, formulato avendo riguardo non già al singolo agente, bensì al parametro della comune esperienza.
In tema di riparazione per ingiusta detenzione, come sintetizzato da Sez. 4, n. 30826 del 13/06/2024, Pellizza, in termini ripresi di recente da Sez. 4, n. 19432 dell’08/04/2025, Moati, il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (ex plurimis: Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, De Benedictis, Rv. 222263 – 01; Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, La Fornara, Rv. 268952 – 01).
La colpa grave di cui all’art. 314 cod. proc. pen., quale elemento negativo della fattispecie integrante il diritto all’equa riparazione in oggetto non necessita difatti di estrinsecarsi in condotte integranti, di per sé, reato, se tali, in forza di una valutazione ex ante, da causare o da concorrere a dare causa all’ordinanza cautelare (sul punto si vedano anche Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, B., Rv. 273996 – 01, in motivazione, oltre che i precedenti ivi richiamati, tra cui Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, Maltese, dep. 2014, Rv. Rv. 259082 – 01).
Come di recente ribadito da Sez. 4, n. 2039 del 10/10/2024, dep. 2025, Vernarecci, la colpa che vale a escludere il diritto all’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può insorgere, grazie all’efficienza sinergica con l’intervento dell’Autorità, una misura custodiale.
Tuttavia, diversamente da quanto sostanzialmente sostenuto dal ricorrente, il concetto di colpa che assume rilievo quale condizione ostativa, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, non si identifica con la «colpa penale», venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel senso di condotta che, secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, possa aver créato una situazione di prevedibile e doveroso intervento dell’Autorità, pur se tesa, in concreto, al perseguimento di altri risultati.
Sicché, anche il giudizio sulla prevedibilità va formulato con criterio ex ante e in una dimensione oggettiva, quindi non come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente ma come prevedibilità secondo il parametro della comune esperienza, in relazione alla possibilità che la condotta possa dare luogo a un intervento coercitivo dell’Autorità.
È sufficiente, pertanto, analizzare quanto compiuto dal richiedente sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento solidaristico dell’indennizzo, per cui la colpa grave costituisce il punto di equilibrio tra gli antagonisti interessi in campo.
Diversamente da quanto dedotto, la Corte territoriale pone alla base dell’accertamento della condotta ostativa gli elementi accertati in sede penale per poi, rapportandoli all’intervento cautelare, ritenerli sinergici al fermo e alla successiva misura custodiale.
L’approccio metodologico all’accertamento dell’elemento negativo del diritto all’equa riparazione, la condotta ostativa, è corretto oltre che retto da motivazione coerente e non manifestamente illogica (quanto al corretto approccio metodologico si vedano, ex plurimis, Sez. 4, n. 30826 del 13/06/2024, Pellizza, la giurisprudenza di legittimità in essa richiamata, tra cui Sez. 4, n. 9910 del 16/01/2024, Valentini, e a essa successiva, tra le più recenti Sez. 4, n. 19432 dell’08/04/2025, Moati).
Il riferimento è alla fuga dalle forze dell’ordine valutata non di per sé ma in uno con l’aver acquistato un motociclo privo di documentazione e con l’averlo guidato in tali condizioni, peraltro senza fornire giustificazione alcuna in merito al relativo possesso.
Nel confrontarsi con la sentenza assolutoria, il giudice della riparazione evidenzia difatti che solo in sede processuale (già revocata la misura cautelare) l’instante ha dichiarato di aver acquistato il bene al prezzo di 250,00 euro da un suo connazionale (tale «Alex»).
Nei termini di cui innanzi i giudici di merito mostrano altresì di confrontarsi con la circostanza, sottesa all’assoluzione penale ma ritenuta non escludente la condotta ostativa alla riparazione, per cui l’essersi dato alla fuga non integra indizio univoco della consapevolezza della provenienza delittuosa, ben potendo nella specie essere stata giustificata dalla mancata disponibilità del documento del motociclo e, soprattutto, dall’assenza di un permesso legittimante la permanenza nel territorio dello Stato Italiano.
Sul punto, peraltro, il ricorrente non si confronta con i principi governanti la materia, con censura che quindi sotto tale profilo si mostra manifestamene infondata.
