Investigazioni difensive: l’incerto cammino verso il “diritto a difendersi cercando” e l’invito a condividere le prassi applicative nei distretti (Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Il disegno ispiratore

Si è voluto restituire dignità sistematica alle investigazioni difensive includendole nel corpo del codice e liberandole dall’abbandono loro riservato dal legislatore del 1989 che le aveva relegate in una disposizione secondaria ovviamente non dal punto di vista della gerarchia delle fonti avendo le norme di attuazione forza e valore di legge. Il parallelismo fra le indagini dei difensori e quelle del pubblico ministero è di tutta evidenza in quanto i primi avranno la facoltà di attivarsi sin dalla fase iniziale del procedimento potendo avere colloqui, ricevere e documentare dichiarazioni, assumere informazioni, richiedere documentazione alla pubblica amministrazione, accedere ai luoghi per prendere visione del loro stato al fine di esaminare le cose ovvero procedere alla loro descrizione o per eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi ed infine potranno dispiegare attività investigativa preventiva in vista dell’eventuale instaurazione di un procedimento penale”.

Così si legge nel paragrafo 3.1 a pagina 29 della relazione al Disegno di legge n. 3979 da cui derivò la Legge n. 397 del 7 dicembre 2000 che, modificata dalle successive interpolazioni, disciplina organicamente le investigazioni difensive.

Si rendeva in tal modo chiaro l’intento del legislatore: occorreva attribuire un nuovo e più avanzato ruolo per le investigazioni difensive, fino ad allora confinate nell’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice Vassalli e rendere evidente che l’attività difensiva doveva poter procedere parallelamente a quella dell’accusa pubblica fin dalla fase iniziale del procedimento e anche prima di esso nella prospettiva della sua eventuale instaurazione.

Le investigazioni difensive diventavano così uno strumento che avrebbe dovuto consentire al difensore un ruolo non più soltanto oppositivo e reattivo ma proattivo.

Il diritto a difendersi veniva conseguentemente ampliato e, soprattutto, anticipato nel senso di potersi manifestare non solo nella fase della costituzione della prova ma anche in quella precedente della ricerca degli elementi conoscitivi potenzialmente commutabili in prova.

La legge 397 era dunque un mezzo per realizzare, sia pure ad un livello che non eliminava l’asimmetria di poteri tra accusa e difesa, i precetti dell’art. 111, commi 2 e 3, Cost. in virtù dei quali il processo deve svolgersi in condizioni di parità tra le parti e l’accusato deve disporre degli strumenti per impostare efficacemente la sua difesa.

Quell’asimmetria sarebbe stata avallata, quasi dieci anni dopo, dalla Corte costituzionale che così si espresse con la sentenza n. 184/2008: “il principio di parità delle parti  – per consolidata giurisprudenza di questa Corte –, non comporta necessariamente l’identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell’imputato, potendo una disparità di trattamento risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze di funzionale e corretta amministrazione della giustizia; e ciò anche in una prospettiva di complessivo riequilibrio dei poteri dei contendenti, avuto riguardo alle disparità di segno opposto riscontrabili in fasi del procedimento distinte da quella in cui s’innesta la singola norma discriminatrice avuta di mira.

La fase delle indagini preliminari è, in effetti, caratterizzata da un marcato squilibrio di partenza fra le posizioni delle parti, correlato alla funzione istituzionale del pubblico ministero: i poteri e i mezzi investigativi di cui dispone la parte pubblica restano – anche dopo gli interventi operati dalla L. 397/2000, in tema di disciplina delle investigazioni difensive – largamente superiori a quelli di cui fruisce la difesa […] Anzi, la disciplina delle indagini difensive, introdotta con detta legge (una delle leggi dichiaratamente attuative della riforma dell’art. 111 Cost.), si è proposta proprio con lo scopo di conseguire un minore squilibrio tra le posizioni della parte pubblica e dell’indagato-imputato, delineando una tendenziale pari valenza delle indagini di entrambi”.

La Consulta assumeva quindi come dato di sistema lo squilibrio tra l’accusa pubblica e la difesa privata senza metterlo in discussione.

È passato un quarto di secolo dall’introduzione del corpus organico in esame ed è un tempo più che sufficiente per verificare se la sua applicazione pratica abbia raggiunto i risultati sperati e, ancora prima, abbia prodotto l’auspicato cambio di approccio “culturale” verso la difesa penale.

Giunti a questo punto, potremmo mettere in fila un certo numero di decisioni di legittimità e trarne alcune conclusioni: possibile, magari lo faremo più in là, ma insufficiente.

Ci piacerebbe di più ascoltare la testimonianza di chi, operando nei distretti giudiziari diffusi sul territorio, cioè lì dove comincia l’elaborazione del diritto vivente, sia a contatto con le prassi buone e cattive che vi si manifestano.

Invitiamo quindi chiunque voglia raccontare esperienze che siano di interesse generale a considerarci come un tramite per la loro diffusione e speriamo di leggerne molte.