L’Ansa ha diramato le parole del magistrato Nino Di Matteo che ha dichiarato: “Nelle scorse settimane ho presentato le dimissioni dall’Associazione nazionale magistrati. Ho, progressivamente nel tempo, maturato questa decisione con molta amarezza.
Non mi sento parte di un’associazione all’interno della quale continuano a trovare spazio logiche di appartenenza correntizia e di opportunità politica che non ho mai condiviso e che, in passato, anche da membro del Consiglio superiore della magistratura, ho cercato in tutti i modi di contrastare”.
“Continuerò a titolo personale – prosegue Di Matteo – come ho sempre fatto (anche quando l’Anm preferiva restare silente) ad esprimere le mie opinioni e a denunciare pubblicamente il grave pericolo che le riforme degli ultimi anni (a partire dalla riforma Cartabia e fino all’ultimo progetto di revisione costituzionale che riguarda la separazione delle carriere) rappresentano, per la salvaguardia della indipendenza della magistratura, del principio di eguaglianza di tutti i cittadini innanzi alla legge, dell’efficacia dell’azione di contrasto alla criminalità e ad ogni forma di abuso nell’esercizio di pubblici poteri.
La scelta del magistrato era stata in realtà già annunciata il 14 marzo scorso, alla presentazione del libro di Saverio Lodato, “Cinquant’anni di mafia”, al Teatro Golden di Palermo con le parole di fuoco: “Non mi sento rappresentato da una Anm che ha reso più debole e meno credibile agli occhi dei cittadini la magistratura italiana”.
L’ANM continua a perdere pezzi ma incurante prosegue imperterrita ad utilizzare il manuale Cencelli una volta prerogativa esclusiva della politica.
Per chi non ricorda chi era Massimiliano Cencelli, funzionario della Democrazia Cristiana, riesumiamo dall’oblio dei ricordi una sua intervista su Avvenire del 25 luglio 2003 dove racconta le origini dell’espressione che trae origine dal suo cognome.
“Nel 1967 Sarti, con Cossiga e Taviani, fondò al congresso di Milano la corrente dei ‘pontieri’, cosiddetta perché doveva fare da ponte fra maggioranza e sinistra. Ottenemmo il 12% e c’era da decidere gli incarichi in direzione. Allora io proposi: se abbiamo il 12%, come nel consiglio di amministrazione di una società gli incarichi vengono divisi in base alle azioni possedute, lo stesso deve avvenire per gli incarichi di partito e di governo in base alle tessere. Sarti mi disse di lavorarci su. In quel modo Taviani mantenne l’Interno, Gaspari fu Sottosegretario alle Poste, Cossiga alla Difesa, Sarti al Turismo e spettacolo.
La cosa divenne di pubblico dominio perché durante le crisi di governo, Sarti, che amava scherzare, rispondeva sempre ai giornalisti che volevano anticipazioni: chiedetelo a Cencelli”.
Trascorrono gli anni ma all’ANM non hanno dimenticato il manuale.
