Cassazione civile, Sez. 1^, ordinanza n. 9218/2025, 11 febbraio/8 aprile 2025, ha chiarito, in tema di detenzione in condizioni non conformi all’art. 3 Cedu, che il ricorso ex art. 35-ter, comma 3, O.P. ha lo scopo di evitare il protrarsi della violazione dei principi enunciati in materia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, prevedendo, in via eccezionale, il rimedio indennitario ex lege di otto euro al giorno solo quando non è possibile la riduzione della pena, prevista dal comma 1 del citato art. 35-ter.
Di conseguenza, il soggetto che, dopo un periodo di custodia cautelare in carcere, venga rimesso in libertà, può invocare il ristoro entro sei mesi dalla cessazione della misura custodiale, solo ove non sia sottoposto, per il medesimo titolo, ad altro periodo di detenzione; se, invece, dopo essere stato rimesso in libertà per il venir meno della misura, venga condannato, il successivo inizio del nuovo periodo di detenzione non gli consente di chiedere il ristoro nella cd. forma specifica per la precorsa carcerazione preventiva, potendo egli, con riferimento al secondo periodo detentivo fondato su un diverso titolo, far valere il rimedio, ove ne ricorrano nuovamente i presupposti.
Il collegio di legittimità ha ulteriormente chiarito che il ricorso ex art. 35-ter, comma 3, O.P. rientra nella competenza non del magistrato di sorveglianza, bensì del tribunale civile del capoluogo del distretto in cui l’ex detenuto ha la residenza, che decide in composizione monocratica nelle forme previste dall’art. 737 c.p.c., attesa l’esigenza di assicurare uno strumento processuale agile ed effettivo, e la legittimazione ad avvalersene spetta a coloro che hanno subito una detenzione inumana a titolo definitivo o non definitivo, purché, nel primo caso, la pena sia cessata e, nel secondo, la custodia cautelare non sia convertibile in pena espiata.
Nel caso sottostante al ricorso, la persona che aveva sofferto la custodia cautelare in condizioni inumane non era poi stata condannata.
