Scomputo della custodia cautelare presofferta: non ricorribile per cassazione il mancato riconoscimento da parte del giudice dell’esecuzione se l’interessato non l’ha chiesto (Vincenzo Giglio)

Provvedimento impugnato

Con l’ordinanza impugnata il GIP, in funzione di giudice dell’esecuzione, pronunciandosi quale giudice di rinvio, ha disposto la sostituzione, ai sensi dell’art. 95, comma 1, d. lgs. n. 150 del 2022, della pena della reclusione (anni due e mesi quattro) – inflitta ad AY per effetto della sentenza del GIP in data 17 marzo 2022, irrevocabile il 20 gennaio 2023 – con quella di 850 giorni di lavoro di pubblica utilità, stabilendo le modalità di svolgimento.

Ricorso per cassazione

Avverso l’indicato provvedimento ricorre il condannato, tramite il difensore, deducendo la violazione dell’art. 657 cod. proc. pen.

Sostiene che il giudice dell’esecuzione, nel determinare la durata della pena sostitutiva, non avrebbe scomputato la frazione di pena presofferta in regime di misure cautelari: custodia in carcere dal 14 luglio 2021 al 10 novembre 2021; arresti domiciliari dal 10 novembre 2021 al 5 luglio 2022; obbligo di dimora con prescrizioni dal 5 luglio 2022 fino alla perdita di efficacia con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna e conseguente revoca in data 7 febbraio 2023.

Secondo il ricorrente dovrebbe tenersi conto anche del periodo di sottoposizione alla misura cautelare non custodiale.

Decisione della Suprema Corte

Il ricorso è infondato.

Il procedimento si è svolto in base alle scansioni di seguito riassunte.

L’incidente di esecuzione è stato promosso dal condannato a mezzo di istanza, depositata il 16 febbraio 2023, volta ad ottenere, in ossequio al regime transitorio dettato dall’art. 95 d. lgs. n. 150 del 2022, la sostituzione della pena detentiva “con la misura del lavoro di pubblica utilità sostitutivo ovvero, subordinatamente, con la misura della detenzione domiciliare sostitutiva” L’istanza non conteneva alcuna richiesta, ex art. 657, comma 3, cod. proc. pen., di computo dei periodi di presofferto. Il giudice dell’esecuzione, in parziale accoglimento della richiesta, disponeva la sostituzione della pena della reclusione (di anni due e mesi quattro) con quella della detenzione domiciliare di pari durata.

Il condannato proponeva ricorso per cassazione, contestando la mancata applicazione del lavoro di pubblica utilità ma senza formulare alcuna censura sulla mancata detrazione del “presofferto”.

Con sentenza n. 1559 del 26/10/2023, dep. 2024, la prima sezione della Corte di cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza del giudice dell’esecuzione, per difetto di motivazione sul rigetto della istanza volta ad ottenere l’applicazione del lavoro di pubblica utilità.

Con l’ordinanza qui impugnata, il giudice di rinvio ha accolto in toto l’istanza difensiva formulata in via principale, disponendo la sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità.

Con il ricorso in esame il condannato introduce un tema (quello dello scomputo del presofferto) che non aveva mai richiesto in sede di prima istanza, che non ha contestato con il primo ricorso quando già il giudice dell’esecuzione aveva omesso di computare il presofferto; che non ha formato oggetto di devoluzione al giudice di rinvio; che, pertanto, risulta estraneo al thema decidendi.

Rimane fermo il diritto del condannato di ottenere la detrazione del presofferto, presentando al giudice dell’esecuzione apposita istanza ex art. 657, comma 3, cod. proc. pen., con l’avvertenza che il successivo comma 4 prevede il computo soltanto della “custodia cautelare subita”, quindi dei periodi trascorsi in custodia cautelare in carcere ovvero in regime di arresti domiciliari, non di quelli interessati da misura non custodiale.

Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.