Richiesta di continuazione nella fase esecutiva: chi fa cosa (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 32860/2025, 30 settembre/6 ottobre 2025, ha chiarito le coordinate del procedimento di applicazione della continuazione nella fase esecutiva, il riparto del relativo onere probatorio e i poteri/doveri del giudice dell’esecuzione.

Nel procedimento di applicazione della continuazione in executivis, previsto dall’art. 671, cod. proc. pen., il giudice, fermo l’onere di allegazione da parte dell’istante (Sez. 1, n. 35806 del 20/04/2016, Rv. 267580), può acquisire o assumere, su richiesta di parte o ex officio, tutti i documenti e le prove di cui necessita e non deve basarsi, solo ed esclusivamente, sulle sentenze in relazione alle quali è richiesta l’applicazione della disciplina della continuazione, che deve acquisire d’ufficio, a norma dell’art. 186, disp. att., cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 17020 del 09/01/2015, Rv. 263363 – 01: fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che, nel rigettare l’istanza di applicazione della continuazione, aveva respinto la richiesta della difesa di acquisizione di documenti diversi dalle sentenze oggetto di esame, con la motivazione che questi erano “estranei” a quanto accertato in via definitiva nelle sentenze medesime), potendo addirittura disporre perizia (cfr. Sez. 3, n. 30167 del 09/05/2017, Rv. 270222), con l’unico limite, previsto all’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., del rispetto del contraddittorio (cfr. Sez. 1, n. 52620 del 08/11/2017, Rv. 271814; Sez. 1, n. 8585 del 11/02/2015, Rv. 262555).

D’altra parte, a chi chiede il riconoscimento del vincolo di continuazione tra più reati giudicati con distinte decisioni incombe l’onere di indicare i reati legati tra loro dall’unicità del disegno criminoso e, quantomeno, di prospettare, come per ogni aspetto che attiene alla psiche e alla volontà dell’agente, specifici elementi sintomatici della riconducibilità anche dei reati successivi a una preventiva programmazione unitaria.

Non spetta invece al condannato l’onere di provare tale unicità. È il giudice dell’esecuzione che, tenuto conto delle allegazioni difensive ed attraverso l’approfondita disamina dei casi giudiziari oggetto delle sentenze acquisite anche di ufficio, deve individuare i dati sostanziali di possibile collegamento (cfr. Sez. 1, n. 28762 del 28/04/2023, Rv. 284970-01; Sez. 1, 14188 del 30/3/2010, Rv. 246840).

Il giudizio volto all’accertamento degli estremi della continuazione da parte del giudice adito art. 671, cod. proc. pen. ed i suoi poteri cognitivi rimangono immutati qualora la richiesta di cui è investito abbia ad oggetto, come nel caso in esame, reati giudicati con sentenze di applicazione della pena che rechino una scarna, se non nulla, motivazione in merito al fatto. Anche in tale eventualità il giudice adito è sempre tenuto ad esaminare tutti gli elementi necessari ai giudizio, tenendo adeguatamente conto delle allegazioni difensive ed eventualmente anche acquisendo di ufficio i fascicoli degli altri procedimenti, laddove ritenga le sentenze non sufficienti. 

Coerentemente con un giudizio di siffatta ampiezza, il codice di rito ha espressamente previsto all’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., che “Il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno; se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del contraddittorio”, pacificamente applicabile alla procedura prevista dall’art. 671, cod. proc. pen., penetranti poteri istruttori che consentono al giudicante di acquisire informazioni e prove, anche di ufficio, senza l’osservanza dei principi sull’ammissione della prova di cui all’art. 190, cod. proc. pen., essendo essenziale l’accertamento dei fatti nel semplice rispetto della libertà morale delle persone e con le garanzie del contraddittorio (Sez. 1, n. 2510 del 27/4/1995, Rv. 202141).