Stupefacenti e destinazione allo spaccio: quando errare è umano ma perseverare è diabolico (Riccardo Radi)

Non basta un bilancino e un quantitativo e qualche “massima di esperienza” per la destinazione allo spaccio.

La Cassazione penale sezione 6 con la sentenza numero 32483 dell’1 ottobre 2025 ha bacchettato i giudici di merito che hanno ritenuto “la destinazione a terzi dello stupefacente sulla base dell’elevato quantitativo, assumendo senz’altro la incompatibilità con l’esclusivo uso personale, della suddivisione in ovuli circolari e della presenza di un bilancino di precisione”.

Prosegue la Suprema Corte: “Tuttavia, alcuna motivazione è fornita dalla Corte, a fronte dell’analitica impugnazione, che aveva dedotto il rinvenimento dello stupefacente secondo la sua condizione naturale, e in relazione alle stesse stringate ragioni della prima decisione, in ordine alla avvenuta suddivisione dello stupefacente in parti e alla valenza indiziaria dei predetti indici fattuali ai fini della destinazione a terzi dello stupefacente”.

Con la sentenza esaminata la Corte di appello di L’Aquila, a seguito di gravame interposto dall’imputato D.A. avverso la sentenza emessa il 20 settembre 2022 dal Tribunale di Sulmona, in parziale riforma della decisione, riqualificato il fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, ha rideterminato la pena inflitta all’imputato riconosciuto responsabile del reato di detenzione illecita di 97,85 grammi di sostanza stupefacente del tipo marjuana.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che deduce il vizio cumulativo della motivazione ed erronea applicazione dell’art. 73, comma 5. D.P.R. n. 309/90 in relazione alla affermazione di responsabilità con riferimento alla destinazione a terzi della sostanza stupefacente sulla base dell’erroneamente ritenuto frazionamento dello stupefacente, in realtà rinvenuto in un solo e unico involucro in plastica secondo la sua caratteristica forma naturale dell’inflorescenza. Inoltre, non si colgono le ragioni per le quali il ricorrente non sia stato ritenuto in grado di acquistare la medesima sostanza a titolo di approvvigionamento personale per il periodo estivo, pur emergendo la sua qualità di assuntore abituale della medesima sostanza e titolare di ingenti redditi oltre che dedito a lecita attività lavorativa.

Né la sentenza ha spiegato, a seguito del gravame, perché la detenzione del bilancino fosse indice inequivoco della destinazione a terzi dello stupefacente.

Ora la parola passerà per il nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia che vedremo se perseverà.

Ricordiamo che la destinazione all’uso personale della sostanza stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità, poiché, al contrario, la destinazione della sostanza allo “spaccio” è elemento costitutivo del reato di illecita detenzione della stessa e, come tale, deve essere provata dalla pubblica accusa; non spetta, pertanto, all’imputato dimostrare la destinazione all’uso personale della sostanza stupefacente di cui sia stato trovato in possesso (così, tra le altre, Sez. 4, n. 39262 del 25/09/2008, Rv. 241468 e Sezione 6 numero 26738/2020).

L’impostazione argomentativa dei giudici di merito, nella quale è ravvisabile un erroneo impiego di massime di esperienza, permette di rilevare la mancanza assoluta di prova circa l’esistenza di un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice contestata: Stupefacenti: quantitativo e bilancino non dimostrano lo spaccio (di Riccardo Radi) – TERZULTIMA FERMATA