Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 32488/2025, 30 settembre/1° ottobre 2025, ha ricordato che, in tema di mandato di arresto europeo, una volta che l’autorità di emissione ha affermato — come nella specie – che, secondo le norme interne, la sentenza di condanna a carico del soggetto di cui si chiede la consegna è divenuta esecutiva, non spetta all’autorità giudiziaria italiana sindacare sulla base di quali presupposti normativi dell’ordinamento dello Stato di emissione sia stata affermata la esecutività della sentenza di condanna.
Dall’inserimento nel SIS (Sistema informativo Schengen) emerge che nei confronti del ricorrente è stata emessa una sentenza di condanna definitiva e tale circostanza risulta confermata anche dal mandato di arresto europeo, successivamente trasmesso, senza che possa assumere rilievo la sola indicazione temporale delle date del passaggio in giudicato e di definitività della sentenza di condanna.
Costituisce principio consolidato in tema di mandato di arresto europeo, che una volta che l’autorità di emissione ha affermato — come nella specie – che, secondo le norme interne, la sentenza di condanna a carico del soggetto di cui si chiede la consegna è divenuta esecutiva, non spetta all’autorità giudiziaria italiana sindacare sulla base di quali presupposti normativi dell’ordinamento dello Stato di emissione sia stata affermata la esecutività della sentenza di condanna (per tutte, Sez. 6, n. 46223 del 24/11/2009, Rv. 245449).
Pertanto, l’accertamento richiesto dal ricorrente, oltre ad essere meramente esplorativo, si presenta ultroneo rispetto alle indicazioni già fornite dallo Stato di emissione nel mandato di arresto europeo, tenuto conto che neppure può escludersi secondo la normativa dello Stato richiedente che la sentenza di condanna costituisca titolo esecutivo o assuma efficacia di irrevocabilità ancor prima del deposito della motivazione. Si deve ricordare che, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 3, comma 1, lett. c), del d. lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, all’art. 6 della legge 22 aprile 2005, n. 69, non è necessaria l’allegazione della sentenza di condanna, né è necessario che questa sia irrevocabile (Sez. 6, n. 14220 del 14/04/2021, Rv. 280878).
Ancora, sebbene la Corte di appello abbia dato parziale rilievo alle risultanze del casellario giudiziario per desumerne l’incertezza sulla presenza in Italia nell’ultimo quinquennio senza tenere conto dei periodi di esecuzione della pena, deve innanzitutto rilevarsi l’erroneo riferimento a tali risultanze ai fini della prova del radicamento nel territorio nazionale.
Il ricorrente ripropone in questa sede la medesima documentazione già valutata dalla Corte di appello senza considerare che la prova dello stabile radicamento in Italia con riferimento all’ultimo periodo, non può essere desunta dai reati commessi nel territorio nazionale o dalla esecuzione in Italia della pena detentiva.
Al riguardo va osservato che dopo l’introduzione del nuovo comma 2-bis dell’art. 18-bis per effetto del d.l. 13 giugno 2023 n. 69, convertito con modificazioni nella legge 10 agosto 2023 n. 103, in vigore dal 11 agosto 2023, sono stati specificati normativamente i criteri che devono orientare l’esercizio della facoltà di avvalersi del motivo di rifiuto alla consegna ai fini della verifica della idoneità della esecuzione della pena nel territorio nazionale in funzione del reinserimento sociale del detenuto, e tra essi assumono rilievo anche la natura e le modalità della residenza o della dimora, la commissione di reati, e quindi anche la qualità di vita ed in genere la solidità e legalità dei legami che la persona intrattiene sul territorio italiano.
Pertanto, come già condivisibilmente affermato, i precedenti penali e le pendenze giudiziarie, contraddicendo la finalità di reinserimento sociale e lavorativo della persona richiesta in consegna, non costituiscono elementi di fatto utili ad attestare l’esistenza di un radicamento territoriale stabile e non estemporaneo nello Stato (Sez. 6, n. 17706 del 18/04/2014, Rv. 262760).
Nella fattispecie in esame avendo la Corte di appello dato conto della carenza di prova della effettiva solidità del radicamento in Italia, il vaglio della sussistenza di tale presupposto andava eseguito alla stregua dei predetti indici normativi, che presiedono all’esercizio della facoltà di rifiutare la consegna. Pertanto, non avendo il ricorrente fornito prove coerenti del radicamento sul territorio nazionale, e quindi di un inserimento sociale connotato dal rispetto delle leggi, risulta privo di adeguato supporto probatorio il requisito di stabilità della presenza in Italia, non essendo stata data dimostrazione di un inserimento nel tessuto sociale nazionale in assenza della prova di una occupazione lavorativa stabile risalente nel tempo o comunque riferita all’ultimo quinquennio.
Va rammentato, peraltro, che dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, il ricorso per cassazione è proponibile, solo per i motivi di cui all’art. 606, comma 1, lett. a), b) e c) cod. proc. pen., dunque solo per violazione di legge. Rispetto alla previgente disciplina normativa è stata soppressa la possibilità, ammessa invece dalla precedente disposizione di cui al comma 1 dell’art. 22, di proporre ricorso «anche per il merito».
Pertanto, trattandosi di censure che investono essenzialmente la motivazione senza fare emergere alcuna violazione di legge, ne discende la infondatezza del motivo.
