Rinnovazione istruttoria: effetti della mancata ammissione a prova contraria dell’esame del consulente tecnico sulle conclusioni rassegnate dal perito nominato in tale grado (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 20374/2025, 10 aprile, 3 giugno 2025, ha riaffermato, in tema di rinnovazione istruttoria in appello, che la mancata ammissione a prova contraria dell’esame del consulente tecnico della parte civile sulle conclusioni rassegnate dal perito nominato in tale grado dà luogo a una nullità di ordine generale a regime intermedio ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen., integrando la lesione del diritto al contraddittorio della parte in ordine alla prova.

Tra le precedenti decisioni richiamate dal collegio decidente vi è Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 19134/2022, 17 marzo/13 maggio 2022, di cui si riportano immediatamente di seguito i passaggi salienti, apprezzabili per la chiarezza e il tratto garantista.

Il contraddittorio nella formazione della prova scientifica deve essere salvaguardato nel corso di tutte le fasi che caratterizzano la formazione della prova scientifica dal conferimento dell’incarico, allo svolgimento delle operazioni peritali, fino all’ esame dibattimentale del perito e dei consulenti di parte.

Il diritto al contraddittorio nella formazione della prova scientifica, è garantito oltre che dalla nostra Carta fondamentale, anche dal diritto convenzionale, che ha chiarito come in tale area lo stesso si risolva nel tutelare la “parità delle armi” (art. 6 § 1 Convenzione EDU), ovvero nell’offrire all’accusato la possibilità di contrastare le tesi – del tecnico di parte o di ufficio – attraverso la tesi veicolata nel processo dal proprio consulente. Così la Corte europea nel caso Matytsina v. Russia (27 aprile 2014) ha identificato la lesione del contraddittorio proprio nella mancata acquisizione delle prove tecniche di parte e, segnatamente, nella mancata escussione degli esperti dell’accusa dei quali era stata acquisita la relazione; e nel caso Mantovanelli v. Francia (18 marzo 1997) ha rilevato l’iniquità del processo e la violazione dell’art. 6 § 1, perché ai ricorrenti non era stato consentito di partecipare alle operazioni peritali extraprocessuali, sviluppatesi attraverso l’audizione di persone in possesso di informazioni decisive.

Sul versante interno, la Cassazione è stata invece costante nel ritenere che la violazione del diritto al contraddittorio sia rinvenibile solo nel caso dell’omesso esame di consulenti di parte “attivi”, che abbiano cioè fornito un concreto contributo alla svolgimento delle operazioni peritali in ambiente extraprocessuale: si è infatti affermato che il giudice, dopo l’esame del perito, è tenuto ad integrare il contraddittorio con l’esame del consulente tecnico dell’imputato, qualora questi abbia assunto iniziative di sollecitazione e di contestazione rispetto all’attività peritale ed ai relativi esiti (Sez. 1^, sentenza n. 54492 del 05/04/2017, Rv. 271899 – 01; Sez. 6^, sentenza n. 27928 del 01/04/2014, Rv. 261641; Sez. 6^, sentenza n. 12610 del 14/01/2010, Rv 246725; Sez. 1^, sentenza n. 11867 del 26/10/1995, Rv. 203247).

Si tratta di una giurisprudenza che merita di essere aggiornata nella parte in cui legittima l’omesso esame del tecnico di parte nei casi in cui questo non abbia tenuto un atteggiamento reattivo nel corso delle operazioni peritali.

Invero la tutela del diritto al contraddittorio nella formazione della prova scientifica assuma una configurazione più complessa di quella del semplice diritto al controesame, che connota la prova dichiarativa e si invera nel costante confronto tra tecnico d’ufficio e consulenti di parte che deve essere tutelato dalla fase del conferimento dell’incarico, durate lo svolgimento delle operazioni peritati, fino alla esposizione in contradditorio dibattimentale dei pareri. Di contro, non si rinviene alcuna ragione, invero, che legittimi il condizionamento dell’audizione del tecnico di parte – ove richiesta – ad una partecipazione “reattiva” e non acquiescente alle operazioni extra-dibattimentali: non è insolito, infatti, che i tecnici che rappresentano gli interessi delle parti condividano il metodo proposto dal perito e, dunque, non si oppongano all’uso dello stesso, pur avendo opinioni diverse quanto alle valutazioni finali, espresse nella relazione. Non consentire alla parte che lo richiede che il proprio tecnico esprima in contraddittorio le ragioni del dissenso sulle conclusioni del perito, denegando l’esame sulla base della acquiescenza mostrata nel corso delle operazioni peritati, integra invece una lesione del diritto di difesa, dato che si impedisce alla parte di “contraddire” una prova sfavorevole con le armi disponibili, che nel caso della prova scientifica si traducono nella veicolazione nel processo di un parere tecnico antagonista. In conclusione, il collegio ribadisce che il diritto al contraddittorio deve essere tutelato in tutte le fasi che caratterizzano la formazione della prova scientifica: dunque sia nella fase del conferimento dell’incarico attraverso la formulazione del quesito, che nel corso delle operazioni peritati extra-dibattimentali (che devono essere svolte garantendo la partecipazione dei tecnici di parte), che, infine, attraverso l’ ammissione dell’esame del perito e dei tecnici, cui segue l’acquisizione degli elaborati scritti, ai sensi dell’art. 511 comma 3 cod. proc. pen.

Affinché la tutela di tale diritto sia effettiva i tecnici di parte devono (a) avere la possibilità di presenziare al conferimento dell’incarico ed alla formulazione del quesito, (b) essere posti nelle condizioni partecipare alle operazioni tecniche, (c) se la parte lo chiede, devono essere esaminati in contraddittorio nel dibattimento (o nell’incidente probatorio peritale), nulla rilevando che la loro partecipazione alle operazioni peritati non sia stata ” reattiva”, ovvero caratterizzata dalla proposizione di specifiche critiche nei confronti del metodo proposto ed utilizzato. Tale interpretazione, oltre ad essere coerente con la tensione verso la massima tutela del diritto al contraddittorio, che si ricava sia dalla Costituzione che dalla Convenzione di Roma, trova conforto anche nel tessuto codicistico, tenuto conto che: (a) l’art. 230 cod. proc. pen. riconosce ai consulenti di parte il diritto ad assistere al conferimento dell’incarico ed a partecipare attivamente allo stesso, presentendo al giudice richieste, osservazioni e riserve delle quali è fatta menzione nel verbale; (b) lo stesso articolo riconosce ai consulenti il diritto a “partecipare” alle operazioni peritati, “anche” – e “non solo” – attraverso la proposizione di specifiche indagini, osservazioni e riserve; (c) l’art. 468 cod. proc. pen. facoltizza le parti ad inserire in lista i consulenti e ad ottenerne l’esame, anche attraverso la presentazione diretta in dibattimento.

Peraltro, il diritto al contraddittorio nella formazione della prova scientifica è tutelato anche dalla previsione del diritto a nominare consulenti tecnici “dopo l’esaurimento delle operazioni peritali” (art. 230, comma 3 e 233 comma i cod. proc. pen.): norma che risulta incompatibile con la contrazione della tutela delle prerogative del consulente di parte endo-peritale. Si tratta di una griglia di tutela, che all’evidenza sostiene tutto l’iter di formazione della prova scientifica (e si dipana anche “oltre” con la previsione del diritto alla nomina di consulenti extra-peritali). E che non appare compatibile con la limitazione del diritto all’esame del consulente di parte nei soli casi in cui questi, nel corso delle operazioni peritali, abbia manifestato il suo parere contrario al metodo proposto e in concreto utilizzato.

Nel caso di specie la Corte di appello denegava l’esame del consulente sulla base del fatto che questi, nel corso delle operazioni tecniche – cui pure aveva partecipato – non aveva criticato la metodologia che il perito aveva illustrato, dimostrando di condividerla.

Come già rilevato, deve ritenersi che il diniego non sia legittimo, in quanto l’acquiescenza del tecnico di parte alla metodologia utilizzata dal perito non implica la condivisione dei risultati dell’analisi, dato che si può giungere a risultati differenti anche utilizzando un metodo condiviso.

Si rileva, pertanto, una violazione del diritto di difesa che non avrebbe potuto essere sanata neanche attraverso l’acquisizione della consulenza di parte – non avvenuta, ma suggerita – tramite il deposito di una “memoria”, dato che la ipotetica veicolazione di un parere cartolare non ha la stessa capacità dimostrativa di un esame orale in contraddittorio e, comunque, si profila come un espediente che si pone fuori dalla procedura che caratterizza la formazione della prova scientifica, caratterizzata dal costante confronto tra perito e tecnici di parte.