Sospensione del corso della prescrizione: non va computata nel calcolo del termine se maturata in un segmento processuale dichiarato nullo (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 22378/2025, 15 maggio/12 giugno 2025, ha affermato che i periodi di sospensione del corso della prescrizione appartenenti ad un segmento processuale dichiarato nullo non vanno computati nel calcolo del termine previsto per il maturare di tale causa estintiva del reato.

Provvedimento impugnato

Con sentenza del 25 ottobre 2024, il Tribunale dichiarava non doversi procedere a carico di ADL per i reati di cui ai capi a), b) e c) e condannava lo stesso in ordine ai residui reati alla pena di euro 5.000,00 di ammenda.

Ricorso per cassazione

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato.

Lamenta la violazione di legge in relazione agli articoli 157, 159 e 161 comma 2 cod. pen. e 177 cod. proc. pen.

Evidenzia come al difensore fiduciario non erano stato notificati gli atti introduttivi del giudizio, tanto che, in data 9 giugno 2023, il giudice ebbe a dichiarare la nullità di tutti gli atti processuali nel frattempo compiuti (compreso il decreto di citazione a giudizio del 2 dicembre 2020).

Il processo riprenderà poi nel 2023.

Il giudice ritiene non maturato il termine prescrizionale quinquennale, facendo riferimento a delle cause di sospensione intervenute dal 29/09/2021 al 14/03/2022 e dal 13/01/2023 al 09/06/2023.

Tuttavia, tutti questi atti interruttivi appartengono ad un segmento processuale dichiarato radicalmente nullo e non possono quindi spiegare la loro efficacia interruttiva a causa della regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari.

In data 6 maggio 2025 il difensore dell’imputato depositava conclusioni scritte in cui contestava le conclusioni del PG e insisteva per l’accoglimento del ricorso.

Evidenzia che costui, nella sua requisitoria scritta, nella sua richiesta di declaratoria di inammissibilità del ricorso ha richiamato a supporto autorevoli precedenti giurisprudenziali che, però, riguardano l’istituto giuridico dell’interruzione della prescrizione che è diverso da quello della sospensione della prescrizione.

L’assunto è inconferente perché, nel caso di specie, non è in discussione che il decreto di citazione abbia prodotto l’interruzione del termine ordinario di quattro anni di prescrizione del reato contravvenzionale per il quale è intervenuta condanna.

Con il ricorso si è, invece, eccepito che, tenuto conto degli atti interruttivi, alla data della sentenza impugnata ad essere interamente decorso fosse il termine massimo di prescrizione pari a cinque anni, non potendosi computare i periodi di sospensione della prescrizione di cui ha tenuto conto il Tribunale territoriale, in quanto afferenti ad atti inefficaci perché travolti dalla declaratoria di nullità.

L’art. 185 c.p.p. prevede espressamente, al comma 1, che «la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo» e al comma 3 che «la dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l’atto nullo».

È, dunque, previsto in linea generale il principio di «diffusività» della nullità: la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi da esso dipendenti.

Trattasi di una scelta, intermedia, voluta dal legislatore per impedire l’estensione della nullità in maniera automatica ed indistinta a tutti gli atti, limitando e riconoscendo l’invalidità dei soli atti consecutivi in rapporto di dipendenza con l’atto nullo.

Affinché si determinino gli effetti previsti dall’art. 185 c.p.p., della c.d. nullità derivata, occorre che gli atti successivi all’atto dichiarato nullo si trovino in rapporto di derivazione con il primo, dovendo l’atto nullo costituire la premessa logico-giuridica degli atti successivi.

Sotto tale profilo rileva la differenza tra «atti propulsivi» e «atti di acquisizione probatoria», vale a dire tra atti che costituiscono una condicio sine qua non nella meccanica processuale ed atti che, considerata la loro natura istruttoria, non contaminano l’ulteriore evolversi dell’iter procedimentale. È solo in tale seconda ipotesi che ai fini della configurabilità della nullità derivata è richiesta una connessione ben delineata, un legame sostanziale che presuppone un rapporto di causa ad effetto tra l’atto nullo e quello successivo in grado di decidere direttamente sulla formazione del convincimento del giudice. Nel caso, invece, di atti propulsivi l’invalidità è, per così dire, presunta.

In conclusione, illegittima è la sentenza impugnata, perché alla data della sua emissione, 24/10/2024, il reato p. e p. dall’art. 256 comma 4 d. Igs 152/2006 di cui al capo d) dell’imputazione per cui è intervenuta condanna, si era già estinto per decorso del termine massimo di prescrizione, pari a cinque anni, trascorsi interamente in data 09/07/2024.

Nella determinazione del tempo previsto dalla legge per la prescrizione del reato non si può tenere conto delle due cause di sospensione ex art. 159 c.p. indicate dal Tribunale territoriale, in quanto si trattava di atti invalidi che appartengono alla categoria degli «atti consecutivi» che, ai sensi dell’art. 185 c.p.p., dipendono dall’atto dichiarato nullo.

Decisione della Suprema Corte

Il ricorso è fondato.

La sentenza gravata ritiene che la prescrizione dei reati per cui è intervenuta condanna, non potrebbe decorrere prima del 5 febbraio 2025, in considerazione delle cause di sospensione intervenute dal 29/09/2021 al 14/03/2022 e dal 13/01/2023 al 09/06/2023.

Tuttavia, la doglianza secondo cui tutti questi periodi di sospensione appartengono ad un segmento processuale dichiarato radicalmente nullo, e non possono quindi spiegare la loro efficacia a causa della regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, è fondata.

Coglie nel segno il ricorrente laddove richiama il principio, enucleato dalla Suprema Corte nella sua massima composizione (Sez. U., n. 17050 dell’11/04/2006, Maddaloni, Rv. 233729, in motivazione), secondo cui, con riferimento alle nullità verificatesi nel giudizio di primo grado, occorre distinguere tra la nullità degli «atti propulsivi», rispetto ai quali la pronuncia conclusiva si pone in rapporto di stretta e inevitabile dipendenza, e la nullità degli «atti di acquisizione probatoria».

Tale distinzione si rinviene per la prima volta in Sez. 1, n. 4342 del 9/02/1979, Rv. 141971, secondo cui l’art. 189 c.p.p. 1930 – che disciplinava illo tempore gli effetti della dichiarazione di nullità – presuppone la distinzione tra atti propulsivi e atti di acquisizione probatoria, con la conseguenza che, mentre nei primi si ha una propagazione della nullità agli atti consecutivi, nei secondi è da escludere tale propagazione, determinando la nullità dell’atto soltanto l’impossibilità di utilizzare il mezzo di prova irritualmente assunto), rispetto ai quali detta pronuncia si trova in relazione di dipendenza meramente logica, evidenziando che, solo in riferimento ai primi, la dichiarazione di nullità del giudizio di primo grado e della sentenza che lo conclude vincola il giudice di primo grado a ripetere il giudizio e a considerare tamquam non essent gli atti sui quali è caduta la statuizione di annullamento.

Nel caso di specie, è indubbio che la nullità concernente la notifica dell’atto introduttivo del giudizio debba ricondursi alla categoria della nullità afferente agli «atti propulsivi», con conseguente travolgimento – a cascata – di tutti gli atti successivi, ivi compresi quelli di sospensione della prescrizione.

Né può trovare applicazione al caso in esame la giurisprudenza citata dal PG (Sez. 5, n. 1387 del 09/12/1998, dep. 1999, Rv. 212435; Sez. 3, n. 29081 del 19/03/2015, Rv. 264161 – 01; Sez. 5, n. 40996 del 01/07/2021, Rv. 282091 – 01; Sez. 4, n. 5121 del 18/11/2021, dep. 2022, Rv. 282598 – 01; Sez. 3, n. 1432 del 01/10/2019, dep. 2020, Rv. 277943 – 01), secondo cui «gli atti interruttivi della prescrizione del reato sono idonei a conseguire lo scopo anche se nulli, in quanto rilevano per il loro valore oggettivo di espressione della persistenza dell’interesse punitivo da parte dello Stato».

Ed infatti, appare di tutta evidenza come esso non si attagli alle cause di «sospensione» della prescrizione che, a differenza delle cause di «interruzione» della stessa, non costituiscono espressione della perdurante volontà punitiva dello Stato, ma sono riconducibili alla parte (come nel caso di richiesta di rinvio) o ancorate al verificarsi di fatti oggettivi (come nel caso delle modifiche normative apportate alla disciplina della prescrizione, come nel caso della c.d. “legge Orlando”).