Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 22641/2025, 3/17 giugno 2025, ha ribadito che il sequestro diretto e per equivalente nei casi di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio può riguardare sia il profitto sia il prodotto del reato.
L’art. 648-quater cod. pen. prevede che, quando si procede per taluno dei reati di cui agli artt. 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 cod. pen. “è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto”.
Il secondo comma della suddetta norma prevede, poi, la confisca per equivalente stabilendo altresì che: “nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca di cui al primo comma, del prodotto o del profitto dei reati di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio, il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato”.
Deriva necessariamente affermarsi che per espressa previsione normativa il sequestro diretto e per equivalente nei casi di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio può riguardare sia il profitto sia il prodotto del reato.
Sulla nozione di prodotto del reato va ricordata quella prima affermazione delle Sezioni unite secondo cui in tema di confisca, il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato (Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni Samir, Rv. 205707 – 01); in motivazione detta pronuncia precisa che: “deve ritenersi pacifica in dottrina e giurisprudenza la definizione dei concetti di prodotto, profitto e prezzo del reato contenuti nell’art. 240 c.p. Il prodotto rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato. Ed in proposito si ricorda che già con la decisione 15.2.1992, Bissoli, le Sezioni Unite si sono specificamente interessate anche di questo problema, ribadendo la distinzione tra “prezzo” e “provento” del reato nel senso innanzi specificato”.
La nozione di prodotto del reato nei termini sopra specificati risulta ribadita anche da una successiva pronuncia delle sezioni semplici secondo cui in tema di confisca, il “profitto” del reato è costituito dal vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dalla commissione dell’illecito e si contrappone al “prodotto” e al “prezzo” del reato; il “prodotto”, invece, rappresenta il risultato empirico, cioè le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato (Sez. F, n. 44315 del 12/09/2013, Rv. 258636 – 01).
La qualificazione del prodotto del reato come il frutto delle attività delittuose risulta ribadita dalla recente giurisprudenza delle Sezioni unite nella sentenza “Massini”; invero, richiamando l’orientamento della Corte costituzionale, in detta pronuncia hanno affermato ancora come: “la confisca del “prodotto” – identificato nell’intero ammontare degli strumenti acquistati dall’autore, ovvero nell’intera somma ricavata dalla loro alienazione – così come quella dei “beni utilizzati” per commettere l’illecito – identificati nelle somme di denaro investite nella transazione, ovvero negli strumenti finanziari alienati dall’autore” può assumere “ un effetto peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale del trasgressore” (Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 08/04/2025, Rv. 287756 – 02) confermando così che per “prodotto” del reato si intende l’intero ammontare ricavato dall’operazione illecita.
Tale essendo la nozione di prodotto, la questione dedotta dalle difese sulla rilevanza decisiva dell’identificazione del profitto imputabile a ciascuno dei riciclatori, rimane assorbita nel caso in cui il sequestro o la confisca siano stati disposti ex art. 648-quater indifferentemente a titolo di profitto o prodotto.
Deve, cioè, ritenersi che ove il giudice abbia disposto il sequestro richiamando il presupposto applicativo contenuto nell’art. 648-quater cod. pen. l’eventuale errore di identificazione risolvendosi in una semplice difformità nominalistica non determina la nullità del provvedimento se nel corpo dello stesso sia stato esattamente indicato l’importo sequestrato a titolo di prodotto del reato di riciclaggio, reimpiego od autoriciclaggio.
Nel caso in esame, il GUP, pur individuando l’oggetto della confisca diretta e per equivalente con il titolo di “profitto”, ha in verità chiarito nel contesto della motivazione, richiamando anche un precedente giurisprudenziale di legittimità, che oggetto del provvedimento ablatorio è “il valore corrispondente alle somme oggetto delle operazioni dirette ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa anche se non corrispondenti all’utilità economica tratta dal riciclatore e non appartenenti a quest’ultimo”. Lo stesso giudice precisava che la confisca disposta è obbligatoria ex artt. 648-quater cod. pen. e 12-bis d. lgs. 74/2000.
Così identificati i presupposti normativi del provvedimento ablatorio oltre che l’oggetto della confisca, non vi è dubbio che il GUP, pur identificando l’oggetto della confisca nel profitto del delitto di riciclaggio, ha in verità esteso la misura ablatoria al prodotto del reato di cui all’art. 648-bis contestato a tutti gli imputati, identificandolo proprio nell’intero importo delle somme riciclate da ciascuno degli stessi nelle diverse fattispecie loro contestate, individuato nelle somme di € 132.905,433 per XXX, di € 11.018.691 per XXX e di € 20.024.522 per XXX secondo quanto ricavato dai reati contestati in rubrica e per i quali tutti i ricorrenti hanno chiesto l’applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.
Ne deriva affermare che tale decisione, in quanto assunta in applicazione del preciso disposto dell’art. 648-quater cod. pen., si rivela esente dai lamentati vizi dedotti con i tre distinti ricorsi i quali tutti hanno insistito, pur cogliendo l’incongruità della definizione fornita dal GUP, su aspetti e problematiche relative al profitto del reato di cui all’art. 648-bis cod. pen. che secondo una interpretazione giurisprudenziale è costituito dal solo vantaggio patrimoniale ottenuto direttamente dal riciclatore per effetto delle operazioni di sostituzione.
Tale definizione però, essendo come anticipato puramente nominalistica, non può determinare la nullità del provvedimento impugnato e ciò perché il GUP, pur riferendosi al profitto ha in realtà motivato correttamente la confisca del prodotto.
Anche le fonti internazionali confermano la legittimità della decisione del giudice di procedere alla confisca dell’intero oggetto delle operazioni di riciclaggio da ciascun imputato compiute; in particolare la Convenzione di Vienna contro il narcotraffico del 1988, la Convenzione contro il crimine organizzato di Palermo del 2000 e la Convenzione contro la corruzione di New York del 2003, per definire l’oggetto della confisca, fanno riferimento ai proceeds, cioè ai proventi, non ai profitti. Secondo tali Convenzioni, costituiscono proceeds anche i beni ottenuti o derivati direttamente o indirettamente dalla commissione di un reato.
Non diversamente, la Direttiva U.E. 2014/42, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea, riferisce l’oggetto della confisca al «provento», inteso come ogni vantaggio economico derivato, direttamente o indirettamente, da reati; esso, si legge, può consistere in qualsiasi bene e include ogni successivo reinvestimento o trasformazione di proventi diretti e qualsiasi vantaggio economicamente valutabile (art. 2, ma anche considerando 11).
In senso conforme si pone anche l’articolo 12 della nuova Direttiva U.E. 2024/1260 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea del 24 aprile 2024 (in vigore dal 22 maggio 2024), che ha sostituito lo strumento del 2014 sopra citato (art. 36) e che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 23 novembre 2026 (art. 33). Detta Direttiva impone agli Stati membri di consentire la confisca di beni strumentali e proventi di reato a seguito di una condanna definitiva e di permettere la confisca di beni di valore equivalente ai beni strumentali e ai proventi di reato.
Deve poi essere escluso che la suddetta conclusione possa ritenersi in alcun modo in conflitto con la citata sentenza “Massini”, ripetutamente richiamata dai ricorsi e dalla stessa sentenza impugnata; la predetta decisione, intervenuta in una ipotesi di corruzione e di confisca disposta ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen., è stata chiamata a risolvere la questione “se, in caso di pluralità di concorrenti nel reato, la confisca per equivalente del relativo profitto possa essere disposta per l’intero nei confronti di ciascuno di essi, indipendentemente da quanto da ognuno eventualmente percepito, oppure se ciò possa disporsi soltanto quando non sia possibile stabilire con certezza la porzione di profitto incamerata da ognuno; od ancora se, in quest’ultimo caso, la confisca debba comunque essere ripartita tra i concorrenti, in base al grado di responsabilità di ognuno oppure in parti eguali, secondo la disciplina civilistica delle obbligazioni solidali”.
Precisate le nozioni di profitto e prezzo del reato, le sole rilevanti ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen. che disciplina la confisca nelle ipotesi di reati contro la pubblica amministrazione, le Sezioni unite hanno chiarito come in caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca deve essere disposta nei confronti di ciascun concorrente limitatamente a quanto dal medesimo conseguito, il cui accertamento costituisce oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti e, solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, è legittima la ripartizione in parti uguali (Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 2025, Rv. 287756 – 01); in motivazione la pronuncia con riferimento al caso concreto sottoposto al suo esame ha precisato che: “nel caso di specie, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale e dalle parti, non si verte in un caso di confisca del profitto, quanto, piuttosto, di confisca del prezzo del reato di corruzione. È stato confiscato il prezzo corrisposto dai corruttori ai corrotti…”; nella stessa pronuncia chiamata a dettare i criteri distintivi le Sezioni unite precisano come: “Costituisce prezzo del reato il compenso dato o promesso per indurre, determinare o istigare un soggetto a commettere il reato. Costituisce profitto il vantaggio che il reo consegue dal reato. La confisca del denaro che costituisce il prezzo o il profitto del reato è diretta se vi è la prova del nesso di derivazione del denaro dal reato. L’estensione della nozione di profitto, e, quindi, la possibilità di disporre la confisca diretta del “provento” del reato (surrogati, utilità mediate, reimpieghi) non esime, come anche nel caso di abiezione del prezzo del reato, dalla prova del nesso di derivazione della res dal reato. La confisca, anche diretta, del profitto o del prezzo ha carattere punitivo solo quando eccede il valore del vantaggio economico che l’autore ha tratto dal reato. La confisca per equivalente del prezzo e del profitto costituisce una modalità di apprensione dei beni alternativa a quella diretta, assolve ad una funzione ripristinatoria, ha una componente sanzionatoria e può solo eventualmente assumere carattere punitivo, nel senso in precedenza indicato”.
Così ricostruiti i principi dettati dalla pronuncia delle Sezioni unite Massini deve certamente essere escluso che le affermazioni secondo cui la confisca deve essere disposta nei confronti di ciascun concorrente limitatamente a quanto dal medesimo conseguito, e cioè nei limiti della quota di arricchimento, possano estendersi anche all’ipotesi della confisca del prodotto del reato prevista dall’art. 648-quater cod. pen. e ciò perché, con evidenza, le Sezioni unite in tale recente pronuncia hanno ragionato in termini esclusivi di prezzo e profitto del reato, tali essendo gli unici parametri dettati dall’art. 322-ter cod. pen. in tema di confisca diretta e per equivalente nei reati contro la pubblica amministrazione.
Anche sotto tale profilo, pertanto, le doglianze si rilevano infondate non ravvisandosi alcun conflitto della decisione del GUP di confiscare l’intero ammontare delle operazioni di riciclaggio con i principi stabiliti dalle Sezioni unite.
Del resto, non può che rimarcarsi come essenzialmente differenti siano i parametri di riferimento dell’art. 648-quater cod. pen. rispetto a quelli dell’art. 322-ter cod. pen.; con la previsione della confiscabilità del prodotto del reato di riciclaggio appare evidente come il legislatore abbia inteso dare applicazione a quelle istanze dirette a chiarire che qualsiasi oggetto proveniente dal reato deve essere sottratto alla circolazione ed alla immissione nel circuito economico legale in quanto capace di alterarne il regolare funzionamento. Il reato di riciclaggio è fattispecie che protegge l’ordine pubblico economico e mira ad impedire la circolazione di beni conseguiti a seguito di precedenti operazioni di trasformazione o sostituzione nel libero mercato sicché l’interesse punitivo impone la eliminazione del frutto dell’operazione di sostituzione o trasformazione dal circuito economico e tale eliminazione può realizzarsi soltanto mediante la confisca del “prodotto” del reato e cioè del frutto delle operazioni di sostituzione o trasformazione del bene di origine illecita.
Tale nozione risulta ripetutamente affermata dalla Corte di cassazione in quelle pronunce secondo cui i beni giuridici tutelati dalla suddetta norma di cui all’art. 648-bis cod. pen. sono sia l’ordine pubblico economico, violato a seguito della circolazione dei beni di origine illecita immessi sul mercato, sia il patrimonio individuale, anch’esso aggredito da attività che rendono viepiù difficile l’individuazione della destinazione della res furtiva (Sez. 2, n. 57805 del 07/12/2018, Rv. 274490 – 01 in motivazione; ed anche con riferimento alle condotte punibili Sez. 2, n. 47088 del 14/10/2003, Rv. 227731 – 01; Sez. 2, n. 2818 del 12/01/2006, Rv. 232869 – 01; Sez. 6, n. 16980 del 18/12/2007, Rv. 239844 – 01; Sez. 2, n. 52549 del 20/10/2017, Rv. 271530 – 01).
Una recente pronuncia di legittimità ha ulteriormente approfondito il tema anche con riguardo alle recenti modifiche normative; si è così ritenuto che: “Va rimarcato che a seguito della modifica normativa introdotta con l’art. 23 L. 55/1990 è stato ampliato il novero delle condotte di ripulitura concretamente sanzionabili, fino ad includervi tutte le operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro o altra utilità” (Sez. 2, n. 17771 del 11/04/2014, Rv. 259581 – 01).
La fattispecie si caratterizza, infatti, come reato a forma libera comprensivo non solo di comportamenti che alterano gli elementi caratteristici e identificativi del bene proveniente da delitto, ma di ogni altra azione che sia in grado di impedire la riconducibilità del bene al delitto. La seconda parte dell’art. 648-bis cod. pen. recita infatti “ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa”, così che appare chiaro che, attraverso la nuova formulazione della norma, il legislatore ha inteso perseguire un ampio spettro di condotte inclusivo di tutte quelle attività dirette a neutralizzare a o comunque ad intralciare l’accertamento dell’origine illecita dei proventi ricavati da attività delittuose. All’esito della modifica normativa, deve quindi ritenersi che oggetto della tutela giuridica del riciclaggio, è non solo il patrimonio ma anche l’amministrazione della giustizia e l’ordine economico che verrebbe ad essere inquinato e destabilizzato attraverso qualsiasi operazione di riciclaggio (Sez. 2, n. 17473 del 27/02/2024, non mass.).
Una siffatta nozione del reato di riciclaggio, del bene giuridico protetto e, conseguentemente, del prodotto oggetto di possibile confisca ex art. 648-quater cod. pen., risulta recepita da numerose sentenze della Corte di legittimità; in termini analoghi a quanto ricostruito ed affermato nella presente pronuncia si è stabilito recentemente che in tema di confisca per equivalente conseguente al reato di riciclaggio, il provvedimento ablatorio deve essere disposto per il valore corrispondente alle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa, anche se non corrispondenti all’utilità economica tratta dal riciclatore e non appartenenti a quest’ultimo (Sez. 5, n. 32176 del 08/05/2024, Rv. 286816 – 01).
Sempre negli stessi termini, precedentemente, si era affermato che costituiscono prodotto dei reati di riciclaggio, di reimpiego e di autoriciclaggio non solo i beni oggetto di trasformazione per effetto della condotta illecita, che, in quanto tali, presentano caratteristiche identificative alterate, modificate o manipolate, ma anche i beni e i valori che, pur non avendo subito modificazioni materiali, risultano diversamente attribuiti in termini di titolarità ed ai fini delle regole di circolazione, per effetto di operazioni negoziali (Sez. 2, n. 18184 del 28/02/2024, Rv. 286323 – 02) ovvero che, in tema di confisca per equivalente, il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro è costituito dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, posto che, in assenza di tali operazioni, esse sarebbero destinate a essere sottratte definitivamente, essendo provento del delitto presupposto (Sez. 2, n. 10218 del 23/01/2024, Rv. 286131 – 01); in tale ultima pronuncia, la Corte ha precisato che il denaro, i beni o le altre utilità trasferite ovvero manipolate in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa si prestano ad essere qualificate, comunque, come prodotto del reato, rappresentando il risultato empirico dell’attività illecita in cui si sostanzia la fattispecie, in quanto tale assoggettabile a vincolo ex art. 648-quater, commi primo e secondo, cod. pen.
Proprio in tema di individuazione dell’oggetto confiscabile nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti si era già affermata una nozione estensiva di profitto stabilendosi che in tema di confisca per equivalente, il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro è costituito dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, poiché, in assenza di tali operazioni, esse sarebbero destinate a essere sottratte definitivamente, essendo provento del delitto presupposto (Sez. 2, n. 7503 del 07/12/2021, dep. 2022, Rv. 282957 – 01); la suddetta pronuncia in motivazione precisa come: “Deve ritenersi, quindi, che nel caso del riciclaggio il profitto coincide con il denaro derivante dal reato presupposto, quindi con la ricchezza illecitamente conseguita dal reato presupposto e non importa se, poi, il soggetto condannato per riciclaggio abbia goduto di questa somma solo in minima parte: il valore del profitto del primo reato, dunque, si identifica col valore del secondo, cioè del riciclaggio”.
Alla luce delle predette considerazioni deve, pertanto, affermarsi che l’opzione secondo la quale anche in caso di riciclaggio sarebbe confiscabile soltanto il profitto del reato e cioè quanto ricevuto dal riciclatore a titolo di compenso per le operazioni di sostituzione o trasformazione, porterebbe alla conclusione del tutto irragionevole ed in contrasto con le fonti nazionali ed internazionali, di lasciare liberamente circolare il prodotto del reato; e tale conclusione sarebbe evidentemente in conflitto con l’individuazione del bene giuridico tutelato dalle fattispecie previste dagli artt. 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 cod. pen. nell’ordine pubblico economico come sopra delineato e cioè nell’interesse fondamentale a non vedere turbato il libero mercato dalla circolazione di beni di origine delittuosa, oltre che, con l’interpretazione giurisprudenziale delle Sezioni unite e delle sezioni semplici richiamate sul tema della individuazione del prodotto del reato.
L’opzione si rileva infondata anche nel caso concreto e ciò perché nelle ipotesi in esame, accertato che i tre imputati sono stati coinvolti in massicce operazioni di riciclaggio, il denaro successivamente transitato nei conti correnti per effetto delle operazioni incriminate non sarebbe confiscabile con ovvia lesione del bene giuridico protetto dagli artt. 648-bis e 648-quater cod. pen.
Alla luce delle predette considerazioni, pertanto, i motivi di gravame con i quali è stata dedotta l’illegittimità della confisca perché estesa oltre il profitto conseguito da ciascuno dei ricorrenti sono infondati avendo correttamente il giudice proceduto alla confisca dell’intero compendio oggetto delle operazioni di sostituzione e trasformazione.
