La riflessione di Désirée Fondaroli
La rivista Archivio Penale ha pubblicato nei giorni scorsi «The Importance of Being Earnest». La «dottrina penalistica» e le sfide della postmodernità, di Désirée Fondaroli (scaricabile liberamente a questo link).
La cerchia cui si riferisce l’Autrice è “quel circuito culturale c.d. dottrinale di studiosi «cui non partecipano esclusivamente gli accademici (la tradizionale identificazione tra accademia ed élite culturale è stata travolta dalla progressiva perdita di prestigio dell’istituzione universitaria)», ma, nel rispetto della specificità dei rispettivi ruoli, include «tutti coloro che contribuiscono al dibattito scientifico, con serietà di metodo e correttezza deontologica», Avvocatura e Magistratura comprese”.
I profili prescelti sono due: gli “stili di comunicazione” e l’incidenza dell’“associazionismo” della comunità penalistica”.
La Fondaroli, consapevole della scivolosità di questi temi e magari anche – ma è solo una mia ipotesi – del possibile risentimento dei colleghi accademici e degli altri che fanno o ambiscono a far parte della “dottrina penalistica”, abbonda in precisazioni preliminari: non sono in discussione l’individualità di ogni singolo studioso e ognuna delle sue manifestazioni; ugualmente, sono fuori dal focus le ideologie individuali e collettive, in quanto componenti imprescindibili del diritto penale e della cultura che ne è espressione.
Nondimeno, sottolinea subito dopo l’Autrice entrando così in medias res, “La promozione delle singole ideologie, tuttavia, pur rappresentando il fisiologico terreno di coltura delle scelte politico-criminali, non può spingersi al punto di pregiudicare le aspettative che si ripongono nell’attività dei «penalisti» quando si esprimono, nei differenti ambiti, in qualità di “esperti di diritto”: aspettative che si incentrano sul contributo essenziale del sapere alla conoscenza anche dei “non addetti ai lavori”, all’esercizio dell’analisi critica e alla progettazione del diritto, nella cornice di tuttora imprescindibili – sebbene malconci – princìpi fondamentali di garanzia, selezionando proposte di soluzioni, la cui attuazione resta affidata alle procedure legittimate a produrre diritto”.
Il passaggio successivo è dedicato agli stili di comunicazione ovvero, per meglio dire, i “piani comunicativi mediatici che investono fatti di rilevanza penale”.
Qui il pensiero della Fondaroli è assai netto e merita di essere riportato integralmente:
“Il diritto penale che si vuole liberale, unitamente al principio del giusto processo, si confronta ormai da alcuni anni con nuovi strumenti di comunicazione “esterna”, che si aggiungono ai modelli tradizionali della pubblicazione sui media non specializzati e della libertà di parola all’interno delle aggregazioni politiche di tipo partitico, o, ancora, della partecipazione a commissioni di studio istituzionali statali e sovranazionali.
Dette forme di “esternazione” prendono corpo in documenti volti a mettere in discussione provvedimenti normativi promulgati o in corso di adozione, e non solo in relazione a temi prettamente penalistici o costituzional-penalistici, ma anche in ordine a questioni che sempre più spesso si radicano in un humus di diritto sovranazionale ed internazionale molto complesso, rispetto al quale l’ascrizione di fatti penalmente rilevanti – a maggior ragione – pretende l’applicazione scrupolosa dei princìpi garantistici relativi al riconoscimento della responsabilità delle Persone. Tali più che legittime modalità di comunicazione rappresentano uno “stile” – fondato su immediatezza e istantaneità, semplificazione estrema e utilizzo di espressioni “a presa diretta”, polarizzazione delle questioni – che travalica il dato formale per farsi sostanza, svelando al contempo l’incontrovertibile limite dell’inevitabile impoverimento dell’argomentare («il sale del diritto»), a favore di «affermazioni didascaliche» che non danno conto delle tesi contrarie e quasi azzerano la prospettiva dialettica: escludendo la prefigurazione di angolazioni diverse, nessun contributo può essere offerto sul piano della riflessione analitica a proposito della fondatezza dell’una piuttosto che dell’altra tesi, (a proposito) della veridicità dei fatti in discussione, come anche (a proposito) del conflitto tra princìpi e garanzie sovraordinati che può generarsi in relazione alle diverse situazioni”.
Il secondo e ultimo passaggio è dedicato all’associazionismo della comunità penalistica nel quale l’Autrice include le associazioni degli studiosi accademici e quelle degli studiosi che esercitano le professioni legali.
Il suo punto di partenza è una constatazione empirica unita ad una valutazione di rischio: tali aggregati “si avvalgono sempre più frequentemente delle citate forme di esternazione pubblica e massmediatica, con il non irrilevante rischio di suscitare assuefazione o, peggio ancora, indifferenza, e conseguente perdita di efficacia ed incisività (se non addirittura di autorevolezza)”.
Ancora più grave, nell’opinione della Fondaroli, è un’ulteriore insidia:
“proprio perché la “pluralità delle differenze” configura una delle cifre della modernità, quando la poliedricità dei punti di vista interessa il diritto, in specie quello penale, che di questa ricchezza si nutre, dette forme di espressione “collettiva” non possono non dare conto della difformità delle prospettive, manifestazioni di libero pensiero: il «politeismo valoriale» che si riscontra nella realtà culturale, prima ancora che in quella del diritto penale, rende anacronistico inseguire un “consenso sociale” che presuppone l’idea di una società omogenea, molto distante da quella disgregata e contraddittoria disvelata dall’esperienza contemporanea”.
E dunque “Con tale realtà composita, frammentata ed in continuo divenire, risulta quindi difficilmente compatibile quel “modus” assertivo tipico dell’“enunciato pubblico” i cui canoni e spazi sono per sua stessa natura poco conciliabili con quelli della “divulgazione scientifica”, custode degli strumenti che consentono, se non di governare, quanto meno di proporre chiavi di lettura pluriarticolate a fronte di questioni giuridiche complesse, regolate da molteplici fonti “normative” oggetto di contrastanti interpretazioni – concernenti contesti a forte rischio di condizionamento massmediatico – ed informazioni di origine non sempre verificata o verificabile, che tuttavia diventano essenziali perché il giudizio dell’“esperto” possa essere fondatamente formulato attraverso la motivazione ed il processo argomentativo”.
Questo “stile performante” – afferma la Fondaroli – mentre caratterizza la sostanza comunicativa, ne riduce l’apporto euristico e svilisce l’autorevolezza della dottrina che finisce per perdere la sua funzione di “pungolo, crogiuolo di dubbi, fonte di curiositas, di ricerca meticolosa e critica, che nasce dal confronto dialettico, dall’interazione, dalla rappresentazione di visioni e teorie diverse, supportate dalla metodologia dell’analisi giuridica “scientifica”.
Brevi note di commento
Comprendiamo adesso molto meglio l’inserimento nel titolo dello scritto dell’espressione “The Importance of Being Earnest”: è il titolo originale della commedia teatrale di Oscar Wilde che in italiano traduciamo “L’importanza di chiamarsi Ernesto”.
Wilde giocò con le parole: ‘earnest’ in inglese significa franco, onesto, leale, ma si pronuncia allo stesso modo di Ernest che è un nome proprio equivalente all’italiano Ernesto; inutile aggiungere che il personaggio corrispondente non è affatto onesto.
La citazione – immagino – può ugualmente indicare sia la franchezza cui si considera tenuta l’Autrice in un giudizio che certo non piacerà molto all’accademia ed agli altri studiosi, soprattutto quelli che coniugano la carriera universitarie con fiorenti attività professionali, sia la franchezza che dovrebbe caratterizzare la dottrina penalistica e che, come teorizzato nello scritto, viene talvolta a mancare.
Un fatto è certo: sempre più spesso ci è dato leggere documenti, promossi e sottoscritti da accademici e pratici di ogni ordine e grado del diritto penale, esattamente corrispondenti alla tipologia presa di mira dalla Fondaroli.
Sono stati concepiti e diffusi per contestare leggi vigenti, progetti di legge in itinere, politiche governative, questioni di politica interna ed estera.
Ad essi se ne sono aggiunti altri riferiti a sentenze definitive così come a sentenze non definitive e non sono mancati riferimenti addirittura a procedimenti nelle loro fasi iniziali.
Ve ne sono stati alcuni che hanno promosso autonomamente questioni ritenute degne di interesse ed altri che sono stati invece oppositivi verso iniziative altrui.
Alcuni si sono esauriti in se stessi, altri sono invece sfociati in ulteriori sequenze: interviste alla stampa, partecipazioni a trasmissioni televisive, convegni, manifestazioni pubbliche.
Non di rado, i comunicati e i documenti di cui si parla hanno apertamente fiancheggiato visioni e posizioni lato sensu politiche, così altrettanto apertamente inserendosi nel dibattito pubblico a favore di una delle parti in causa.
Tutto questo è sicuramente esercizio della libertà di manifestazione del pensiero.
Piacerebbe tuttavia, in questo condividendo integralmente l’auspicio della Fondaroli, che ai destinatari delle esternazioni, cioè tutti noi, siano date tutte le informazioni necessarie, nessuna esclusa, per comprendere oltre che il messaggio esternato anche le ragioni di chi lo formula e l’eventuale presenza di interessi individuali oltre che scientifici.
