L’arresto in quasi flagranza (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 31273/2025, 10/18 settembre 2025, ha trattato i temi congiunti dell’arresto in flagranza di reato da parte del privato e del successivo arresto in quasi flagranza da parte della polizia giudiziaria.

Provvedimento impugnato

Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale non ha convalidato l’arresto di XXX, eseguito dai Carabinieri della Stazione di XXX, alle 20.45 del 7 aprile 2025, in ordine al delitto di cui all’art. 614, comma primo, cod. pen.

Il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti della misura precautelare trattandosi di arresto eseguito da privati per un reato, procedibile a querela, per il quale non è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza ai sensi dell’ad. 383 cod. pen.

Ricorso per cassazione

Avverso l’ordinanza indicata ha proposto ricorso il PM, affidando le proprie censure ad un unico motivo, di seguito, con il quale deduce violazione di legge in relazione alla riconducibilità della fattispecie concreta entro l’alveo dell’arresto eseguito da privati, vedendosi, invece, in una ipotesi di quasi flagranza a seguito di inseguimento, conclusosi con la consegna dell’indagato alla polizia giudiziaria sopravvenuta, con conseguente legittimità della misura.

Decisione della Suprema Corte

Il ricorso è fondato.

Ai fini della delibazione delle censure del PM ricorrente, va premesso che l’arresto in flagranza di reato da parte del privato, nei casi consentiti dalla legge ai sensi dell’ad. 383 cod. proc. pen., si risolve nell’esercizio di fatto dei poteri, anche coattivi, e nell’esplicazione delle attività procedimentali propri degli organi di polizia giudiziaria, istituzionalmente titolari di siffatte prerogative; ove, invece, il privato si limiti ad invitare il presunto reo ad attendere l’arrivo dell’organo di polizia giudiziaria, medio tempore avvertito, non si versa nella fattispecie di cui al citato art. 383 cod. proc. pen., ma in un mero comportamento di denuncia, consentita a ciascun cittadino in qualsiasi situazione di violazione della legge penale (Sez. 4, n. 48986 del 21/9/2017, Rv. 271156; Sez. 5, n. 10958 del 17/02/2005, Rv. 23122301; Sez. 4, n. 4751 del 15/12/1999, dep. 2000, Rv. 215450).

Nel quadro così delineato, è incontroversa – nel caso all’odierno vaglio – la condotta dei privati di sostanziale “inseguimento” dell’autore della violazione di domicilio, sia pur per un breve segmento temporale e nelle vicinanze della dimora di G., sino all’intervento dei carabinieri, chiamati prontamente e sopravvenuti senza soluzione di continuità.

Tanto emerge dalla stessa ricostruzione resa dal giudice nel provvedimento impugnato che incorre, tuttavia, in errore nell’applicazione dei principi di diritto dettati dalla giurisprudenza di legittimità sul tema dell’arresto in (quasi) flagranza subito dopo la commissione del reato.

Prendendo le mosse da quanto affermato dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 39131 del 24/11/2015, dep. 2016, Ventrice, Rv. 26759101), che hanno ritenuto illegittimo l’arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria eseguito, seppur nell’immediatezza della commissione del reato, sulla base delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da testimoni del fatto, appare opportuno rimarcare la distinzione, nell’ambito della nozione storico-giuridica della cd. quasi flagranza, dell’ipotesi dell’inseguimento effettivo, in cui l’inseguitore non perde di vista, senza soluzione di continuità, colui che è inseguito, subito dopo la consumazione del reato, con ciò validando il rapporto logico temporale “azione delittuosa-individuazione dell’autore”, da quella dell’inseguimento ideale – estranea al caso di specie – e configurata da ipotesi nelle quali la polizia giudiziaria, solo dopo la fuga dell’autore del reato, si ponga, pur nell’immediatezza dei fatti, sulle sue tracce attraverso informazioni e indagini svolte sul campo. Nella seconda delle due ipotesi richiamate si è affermato il principio secondo cui è illegittimo l’arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni acquisite dalla vittima o da terzi nell’immediatezza del fatto poiché, in tale caso, non sussiste la condizione di “quasi flagranza” che implica, invece, l’immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all’arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato.

Le Sezioni unite hanno evidenziato come “il lemma inseguire, denotante, con tutta la sua pregnanza, l’azione del «correre dietro chi fugge», e l’ulteriore requisito cronologico di immediatezza, «subito dopo il reato», richiesto dalla legge, postulano la necessità della correlazione funzionale tra la diretta percezione della azione delittuosa e la privazione della libertà del reo fuggitivo”; tanto in linea con la considerazione che l’eccezionale attribuzione alla polizia giudiziaria (o al privato) del potere di privare della libertà una persona trova concorrente giustificazione nella altissima probabilità della colpevolezza dell’arrestato. E “sono proprio la diretta percezione e constatazione della condotta delittuosa da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria procedenti all’arresto, che possono suffragare, nel senso indicato, la sicura previsione dell’accertamento giudiziario della colpevolezza. Mentre, in difetto, apprezzamenti e valutazioni, fondati sul piano affatto differente degli elementi investigativi assunti (ancorché prontamente e magari anche in loco) dalla polizia giudiziaria, non offrono analoghe sicurezza e affidabilità di previsione”. L’inseguimento immediato, dunque, da chiunque sia compiuto (un privato o direttamente la polizia giudiziaria), assume valore determinante per la verifica dello stato di quasi flagranza; è l’inseguimento, teleologicamente orientato alla cattura del fuggitivo, autore del reato, e non già la fuga ad avvince il reo allo stato di flagranza, in quanto assicura, per le ragioni indicate, il pregnante collegamento tra il reato e il suo autore.

È quanto occorso nel caso al vaglio.

Si rientra, invero, in un’ipotesi di ininterrotto collegamento tra l’autore del fatto di reato e chi lo ha visto nell’atto di commetterlo e, sia pur in un ristretto lasso temporale e nelle vicinanze della abitazione violata, lo ha inseguito e immobilizzato, attendendo subito dopo l’arrivo della polizia giudiziaria, immediatamente e contestualmente chiamata.

La polizia giudiziaria ha, a sua volta, direttamente percepito l’attività di inseguimento del privato, sia pur nella sua fase finale, ed ha proceduto, quindi, all’arresto in una delle due ipotesi di flagranza previste dalla seconda parte del primo comma dell’art. 382 cod. proc. pen. e che, per esemplificazione dogmatica, possono ancora denominarsi – come suggerito dalle Sezioni unite – con il sintagma quasi flagranza, pur nella consapevolezza del fatto che esso è “ormai privo di ogni valore giuridico-concettuale” ed equivalente ad indicare, appunto, i due casi di “flagranza” sussistenti allorchè l’autore, subito dopo il reato, sia inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone, ovvero sia sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima.

In entrambe le ipotesi sussiste una “coessenziale correlazione tra la percezione diretta del fatto delittuoso (quantomeno attraverso le tracce rivelatrici della immediata consumazione, recate dal reo) e il successivo intervento di privazione della libertà dell’autore del reato”.

In altri termini, nel caso di specie si realizza, per quanto sopra esposto, proprio quella condizione di quasi-flagranza, costituita dall’immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all’arresto, dell’esito dell’inseguimento, che rientra perfettamente nello schema logico e paradigmatico selezionato dalle Sezioni unite, le quali hanno affermato che “la successione sul piano temporale, stabilita dalla legge in termini di immediatezza, tra il reato e l’inseguimento del suo autore rivela il nesso che avvince, sul piano logico, la condotta delittuosa alla previsione normativa del succitato stato di flagranza. Se l’inseguimento origina «subito dopo il reato», necessariamente l’inseguitore deve aver personale percezione, in tutto o in parte, del comportamento criminale del reo nella attualità della sua concreta esplicazione: è proprio tale contezza che – eziologicamente – dà adito all’inseguimento orientato – teleologicamente – alla cattura del fuggitivo, autore del reato”.

Per altro verso, deve osservarsi che l’art. 382 cod. proc. pen. richiede che chi procede all’inseguimento abbia avuto cognizione diretta del delitto, ma non postula la coincidenza del soggetto inseguitore con chi procede all’arresto.

Come non è necessario che colui che procede all’arresto abbia avuto diretta cognizione del reato, laddove l’indagato venga sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima, essendo sufficiente la immediata ed autonoma percezione delle cose o delle tracce e del loro inequivocabile collegamento con l’arrestato, così non è necessario che la polizia giudiziaria, ove proceda all’arresto di chi è inseguito dalla vittima o da altre persone, abbia avuto diretta cognizione del reato, essendo sufficiente che essa abbia avuto diretta cognizione dell’inseguimento, ad opera di terzi ed immediatamente dopo il reato, dell’autore del delitto che si sia dato alla fuga.

L’unico limite, infatti, imposto dall’interpretazione nomofilattica delle Sezioni unite Ventrice è quello secondo cui, ai fini della legittimità dell’arresto, è rilevante il fatto che colui che lo esegue si determini – indipendentemente dalla condizione personale di appartenenza alla forza pubblica ovvero di privato cittadino – in virtù della diretta percezione della situazione fattuale, costitutiva dello stato di flagranza dell’autore del reato, e non sulla base di informazioni ricevute da terzi.

Militano nell’ottica interpretativa appena richiamata anche le applicazioni giurisprudenziali successive alla sentenza Ventrice: si richiamano le fattispecie decise da Sez. 2, n. 20687 del 11/4/2017, Rv. 270360; Sez. 4, n. 53553 del 26/10/2017, Rv. 271683; Sez. 5, n. 3719 del 28/11/2019, Rv. 278295.

Così come deve essere ribadito che, in tema di arresto in flagranza, la cd. “quasi flagranza” presuppone che l’inseguimento dell’indagato sia attuato subito dopo la commissione del reato, a seguito e a causa della sua diretta percezione, da parte della polizia giudiziaria, del privato o di un terzo, ma non postula la coincidenza del soggetto inseguitore con quello che procede all’arresto (così Sez. 5, n. 34326 del 12/10/2020, Rv. 280247 – 01; Sez. 5, n. 12767 del 17/1/2020, Rv. 279023). Nel caso di specie, la situazione è assimilabile a quella del precedente suddetto e ben diversa da quella che ha portato le Sezioni unite ad escludere lo stato di flagranza, in quanto all’inseguimento dell’indagato hanno proceduto i vicini di casa della vittima dell’intrusione che ne segnalarono l’indebita presenza e che subito si erano posti all’inseguimento dell’autore, senza perderlo di vista ed anzi bloccandone i movimenti sino al momento in cui la polizia giudiziaria, sopraggiunta, aveva proceduto all’arresto. Non si verte, pertanto, nell’ipotesi di cui all’art. 383 cod. proc. pen.

Alla luce di quanto premesso, deve disporsi l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza di non convalida dell’arresto, attesa l’inutilità di investire il Tribunale di una pronuncia che avrebbe valore meramente formale, essendo già stata riconosciuta in questa sede la legittimità dell’operato della polizia giudiziaria (Sez. 2, n. 21389 del 11/03/2015, Rv. 264026; Sez. 5, n. 12508 del 07/02/2014, Rv. 260000; Sez. 1, n. 5983 del 21/01/2009, Rv. 243358).