“Perché il condominio lo facciamo amministrare da chi ne capisce e il Consiglio superiore della magistratura da chi capita?”: le spiazzanti dichiarazioni del segretario generale dell’ANM (Vincenzo Giglio)

Un tempo i partiti eleggevano come componenti del Consiglio superiore della magistratura personalità di rilievo: Giovanni Fiandaca, Carlo Federico Grosso, Vittorio Bachelet. Potrei fare un elenco infinito. Andate a leggere i nomi degli attuali consiglieri del Csm, ditemi se ne conoscete qualcuno. Ditemi se conoscete il loro curriculum, cosa facevano prima, che storia hanno, cosa hanno scritto nella loro vita, di cosa si sono occupati, o se semplicemente facevano l’avvocato della Lega, di Forza Italia o del Partito democratico”.

Ed ancora, come non bastasse: “Perché il condominio lo facciamo amministrare da chi ne capisce, e il Consiglio superiore della magistratura da chi capita? E non mi si dica che 9.000 magistrati sono tutti capaci di fare i consiglieri superiori, perché non è così”.

Queste parole sono state pronunciate non dall’uomo della strada – fermo restando che ci sono uomini e donne della strada di grandissimo valore – ma da Rocco Maruotti, attuale segretario generale dell’Associazione nazionale magistrati.

Sono state pronunciate non in una discussione tra pensionati in sosta ai giardinetti – dando comunque per scontato che i giardinetti sono un luogo che ben si presta a riflessioni profonde – ma in un convegno dell’Unione giuristi cattolici ad Assisi sulla componente laica del Consiglio superiore della magistratura.

La notizia, riportata da molti quotidiani (qui il link all’articolo di Simona Musco sull’edizione digitale di ieri del Dubbio), ha fatto ovviamente scalpore e, caso più unico che raro, ha provocato il compattamento dei componenti del CSM, sia togati che laici, che hanno indistintamente reagito con sdegno.

A quanto pare, il dr. Maruotti, resosi conto, autonomamente o per stimolo altrui, della carica offensiva delle sue considerazioni, della loro palese inopportunità in questa fase di conflitto tra politica e magistratura e del danno che possono creare alla campagna ANM contro la separazione delle carriere, si è affrettato a chiedere scusa pubblicamente:

Le mie parole sui consiglieri del Csm per come pronunciate, non corrispondono al mio pensiero. Non era in ogni caso mia intenzione offendere nessuno e mi scuso se ciò è avvenuto […] Ho grande rispetto del lavoro dei consiglieri laici del Csm, che sono stati eletti dal Parlamento per la loro riconosciuta autorevolezza, e che svolgono il loro delicato incarico nell’interesse del Paese”.

Il segretario generale dell’ANM ammette dunque l’infortunio, lo addebita ad una sorta di bipolarismo (parole che vanno in una direzione, pensiero che va in quella opposta) e vira di 180 gradi riconoscendo l’autorevolezza dei consiglieri laici dell’organo di autogoverno della magistratura.

Non è detto che gli basterà per cavarsela ma questo è un problema suo, della corrente di cui è espressione e dell’intera ANM.

Qui si vuole invece ricordare, in qualche modo a specchio rispetto alle dichiarazioni di Maruotti, che, così come i condomini sono affidati alla gestione di professionisti competenti, anche il ruolo di segretario generale dell’ANM richiede personalità, senso “politico”, intelligenza di contesto e, naturalmente, competenze specifiche: un mix di doti e talenti che non discendono automaticamente dalla designazione di una corrente e dal pacchetto di voti e consensi di cui si può disporre.

Basti pensare che tra i predecessori di Maruotti nella medesima carica figurano magistrati che hanno fatto la storia della magistratura e che hanno svolto il loro mandato associativo con autorevolezza e carisma, al di là della condivisione che si possa avere delle loro idee.

Tra questi, e senza pretesa di esaustività: Vincenzo Chieppa, Salvatore Giallombardo, Armando Senese, Elena Paciotti, Adolfo Beria di Argentine, Franco Ippolito, Claudio Castelli, Nello Rossi.

Ecco, Vincenzo Chieppa.

Era segretario generale dell’AGMI (Associazione generale magistrati italiani) che fu sciolta dal regime fascista nel 1925. I suoi dirigenti rifiutarono di trasformarla in un sindacato schierato a favore del regime e, in esito ad un’assemblea generale tenutasi il 21 dicembre del 1925, deliberarono essi stessi, autonomamente, di scioglierla.

Il 15 gennaio 1926 uscì l’ultimo numero della rivista La Magistratura e vi fu pubblicato un editoriale senza firma ma unanimemente attribuito a Chieppa.

Era titolato “L’idea che non muore” e vi si leggeva una frase così: “Forse con un po’ più di comprensione – come eufemisticamente suol dirsi – non ci sarebbe stato impossibile organizzarsi una piccola vita senza gravi dilemmi e senza rischi, una piccola vita soffusa di tepide aurette, al sicuro dalle intemperie e protetta dalla nobiltà di qualche satrapia… La mezzafede non è il nostro forte: la ‘vita a comodo’ è troppo semplice per spiriti semplici come i nostri. Ecco perché abbiamo preferito morire”.

Alla fine di quello stesso anno, Chieppa e vari dirigenti dell’AGMI furono destituiti dalla magistratura con questa motivazione “l’associazione assunse un indirizzo antistatale…”, i suoi dirigenti “avversarono [il governo] criticandone astiosamente gli atti…”; occorreva quindi dispensarli dal servizio perché “non offrono garanzia di un fedele adempimento dei loro doveri di ufficio e si sono posti in condizioni di incompatibilità con le direttive politiche del governo”.

Caduto il regime, Vincenzo Chieppa fu riammesso in magistratura e fece a tempo a diventarne prima segretario generale e poi presidente negli anni Cinquanta dello scorso secolo.

Che dire allora?

Che come non tutti sono adatti a fare gli amministratori di condominio o i consiglieri del CSM, così anche non tutti sono adatti a fare i segretari generali dell’ANM.