Raccolta di scommesse su eventi sportivi da parte di un intermediario che opera per un allibratore straniero: è reato se non preceduta dal rilascio della licenza di pubblica sicurezza (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 23237/2025, 14 maggio/23 giugno 2025, ha affermato che integra il reato previsto dall’art. 4 L. 13 dicembre 1989, n. 401, la raccolta di scommesse su eventi sportivi da parte di un soggetto che compia attività di intermediazione per conto di un allibratore straniero senza il preventivo rilascio della prescritta licenza di pubblica sicurezza o la dimostrazione che l’operatore estero non abbia ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a causa di illegittima esclusione dalle gare.

L’attività legata alle scommesse lecite è soggetta a concessione rilasciata dalla Agenzia delle dogane e dei monopoli (già prima Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato – A.A.M.S.) e, ottenuta tale autorizzazione, deve essere rilasciata la licenza di pubblica sicurezza di cui all’art. 88 TULPS, con la conseguenza che il reato di cui all’art. 4 L. 13 dicembre 1989, n. 401 risulta integrato da qualsiasi attività, comunque organizzata, attraverso la quale si eserciti, in assenza di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’art. 88 TULPS, una funzione intermediatrice in favore di un gestore di scommesse, a nulla rilevando l’esistenza di abilitazione in capo al gestore stesso (Sez. U, n. 23271 del 26/04/2004, Corsi, Rv. 227726).

A seguito di diversi interventi dei Giudici europei, che hanno esaminato funditus la normativa interna per verificarne la compatibilità con quella comunitaria, la giurisprudenza della Suprema Corte si è attestata nel senso di ritenere che integra il reato previsto dall’art. 4 L. 13 dicembre 1989, n. 401 la raccolta di scommesse su eventi sportivi da parte di un soggetto che compia attività di intermediazione per conto di un allibratore straniero, privo di concessione. Tuttavia, poiché le autorizzazioni di polizia sono rilasciate unicamente ai titolari di una concessione, le eventuali irregolarità commesse nell’ambito della procedura di concessione vizierebbero anche la procedura di rilascio di autorizzazioni di polizia, la cui mancanza non potrà perciò essere addebitata a soggetti che non siano riusciti a ottenere tali autorizzazioni per il fatto che il rilascio di tale autorizzazione presuppone l’attribuzione di una concessione, di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto dell’Unione (sentenza Corte di cassazione, Placanica, punto 67).

Ne consegue che, in mancanza della concessione e della licenza, per escludere la configurabilità della fattispecie incriminatrice, occorre la dimostrazione che l’operatore estero non abbia ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a causa di illegittima esclusione dalle gare (Sez. 3^, n. 40865 del 20/09/2012, Rv. 253367), o per effetto di un comportamento comunque discriminatorio tenuto dallo Stato nazionale nei confronti dell’operatore comunitario. In casi del genere, il giudice nazionale, a seguito della vincolante interpretazione data alle norme del trattato dalla Corte di giustizia CE, dovrà disapplicare la normativa interna per contrasto con quella comunitaria. Ed infatti non integra il reato di cui all’art. 4 L. n. 401 del 1989 la raccolta di scommesse in assenza di licenza di pubblica sicurezza da parte di soggetto che operi in Italia per conto di operatore straniero cui la licenza sia stata negata per illegittima esclusione dai bandi di gara e/o mancata partecipazione a causa della non conformità, nell’interpretazione della Corte di giustizia CE, del regime concessorio interno agli artt. 43 e 49 del Trattato CE (Sez. 3^, n. 28413 del 10/07/2012, Rv. 253241).

Tale indirizzo è stato confermato dalla sentenza Biasci, emessa dalla Corte di Giustizia UE, sez. 3^, in data 12 settembre 2013 nelle cause riunite C-660/11 e C-8/12. I giudici europei hanno affermato che gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d’azzardo l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività e che limiti il rilascio di una siffatta autorizzazione, segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione e, con ciò, legittimando il contesto normativo interno fondato sul criterio del cd. doppio binario.

In altri termini, è stata ritenuta compatibile con le norme del Trattato CE la disciplina prevista dall’art. 88 TULPS, alla stregua della quale “la licenza per l’esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione”, e dall’art. 2, comma 1 ter, d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito con I. n. 73 del 2010, in base al quale “l’articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che la licenza ivi prevista, ove rilasciata per esercizi commerciali nei quali si svolge l’esercizio e la raccolta di giochi pubblici con vincita in denaro, è da intendersi efficace solo a seguito del rilascio ai titolari dei medesimi esercizi di apposita concessione per l’esercizio e la raccolta di tali giochi da parte del Ministero dell’economia e delle finanze Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato”.

La Corte di Giustizia è pervenuta a tale conclusione (punti 21 e 23) sul rilievo che l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata ai giochi d’azzardo, è idoneo a giustificare le restrizioni alle libertà fondamentali derivanti da una normativa nazionale contenente il divieto, penalmente sanzionato, di esercitare attività in tale settore, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciata dallo Stato, purché tali restrizioni, siccome comportano limitazioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (sentenza Placanica, punto 42), soddisfino il principio di proporzionalità e nella misura in cui i mezzi impiegati siano coerenti e sistematici (v., in tal senso, sentenze Placanica, punti da 52 a 55, nonché Costa e Cifone, punti da 61 a 63). Di conseguenza, “il fatto che un operatore debba disporre sia di una concessione sia di un’autorizzazione di polizia per poter accedere al mercato di cui trattasi non è, in sé, sproporzionato rispetto all’obiettivo perseguito dal legislatore nazionale, ossia quello della lotta alla criminalità collegata ai giochi d’azzardo” (punto 27 sentenza Biasci). La Corte Europea ha poi precisato che gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati “nel senso che, allo Corte di Cassazione – copia non ufficiale 3stato attuale del diritto dell’Unione, la circostanza che un operatore disponga, nello Stato membro in cui è stabilito, di un’autorizzazione che gli consente di offrire giochi d’azzardo non osta a che un altro Stato membro, nel rispetto degli obblighi posti dal diritto dell’Unione, subordini al possesso di un’autorizzazione rilasciata dalle proprie autorità la possibilità, per un tale operatore, di offrire siffatti servizi a consumatori che si trovino nel suo territorio” (punto 43 sentenza Biasci). Va ricordato come, anche alla luce della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 12 febbraio 2012, Costa e Cifone, cause riunite C-72/10 e C-77/10, questa Corte abbia riaffermato (Sez. 3, n. 19462 del 27/03/2014 – dep. 12/05/2014, P.M. in proc. Ianetti e altro, Rv. 259756) che non vi è incompatibilità assoluta tra fattispecie incriminatrice e i principi di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei servizi in ambito comunitario (artt. 43 e 49 Trattato CE).

In particolare, è passibile di rilevanza penale l’attività del soggetto che non abbia richiesto la concessione e la licenza in Italia o di chi, già abilitato all’estero alla raccolta di scommesse, agisca in Italia tramite collaboratori o rappresentanti che non hanno chiesto alle autorità nazionali le necessarie autorizzazioni (Sez. 2^, n. 24656 del 09/03/2012, P.M. in proc. De Simone, Rv. 252828).

Sulla base dei principi affermati dalle sentenze della Corte di Giustizia, questa corte ha osservato che (Sez. 3, n. 7129 del 03/12/2020, dep. 2021, Ranucci, Rv. 281473 – 01) è possibile formulare un quadro interpretativo della disciplina contenuta nel Trattato che contribuisce a definire l’applicazione della disciplina domestica in materia di scommesse su eventi sportivi, presupposto della fattispecie penale, nel senso che: 1) le libertà di insediamento e di prestazione dei servizi costituiscono per il diritto dell’Unione principi fondamentali di cui gli operatori economici devono poter usufruire indipendentemente dal Paese membro in cui sono insediati; 2) tali principi possono conoscere restrizioni nel campo delle attività commerciali connesse ai giochi telematici e alle scommesse su eventi sportivi esclusivamente quando si tratta di limiti, anche consistenti nella previsione di un regime concessorio e di controlli di pubblica sicurezza, che sono fondati su “motivi imperativi di interesse generale” e che rispondono a principi di proporzionalità, non discriminazione, trasparenza e chiarezza; 3) qualora le restrizioni non rispondano ai requisiti ora ricordati, le libertà previste dagli artt. 43 e 49 del Trattato conservano piena espansione e la disciplina nazionale in contrasto con esse deve essere disapplicata.

Ne consegue che la mancanza di concessione rilasciata dalla Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (A.A.M.S.) comporta l’impossibilità per l’operatore italiano o straniero di ottenere la licenza di pubblica sicurezza di cui all’art. 88 del TULPS e ha quale conseguenza l’esercizio abusivo del gioco di scommesse.

Per concludere sul punto, va perciò ribadito il principio secondo cui integra il reato previsto dall’art. 4 I. 13 dicembre 1989, n. 401, la raccolta di scommesse su eventi sportivi da parte di un soggetto che compia attività di intermediazione per conto di un allibratore straniero senza il preventivo rilascio della prescritta licenza di pubblica sicurezza o la dimostrazione che l’operatore estero non abbia ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a causa di illegittima esclusione dalle gare (Sez. 6, n. 25510 del 19/04/2017 – dep. 22/05/2017, Rv. 270156; Sez. 3, n. 14991 del 25/03/2015 – dep. 13/04/2015, Rv. 263115; Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014 – dep. 16/09/2014, Rv. 260944; Sez. 2, n. 17093 del 28/03/2013 – dep. 15/04/2013, Rv. 255552).

Del tutto inconferente è il richiamo all’art. 1, comma 644, I. 28 dicembre 2014, n. 190, che nel regolamentare la situazione di coloro che non chiedono l’autorizzazione di cui all’art. 88 T.U.L.P.S. e regolarizzare la loro attività, non riconosce alcuna liceità allo svolgimento con la modalità di raccolta delle scommesse da parte dell’intermediario, effettuata tramite “conti gioco” on-line anziché mediante la raccolta da banco, limitandosi a prevedere a loro carico ulteriori obblighi e divieti.

Dunque, per quanto sinora osservato, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di principi summenzionati, avendo accertato che l’imputato, da una parte, benché privo della concessione o licenza ai sensi dell’art. 88 TULPS, assente anche in capo all’allibratore estero di riferimento, aveva allestito un esercizio con cui operava per l’attività di raccolta e di scommesse a distanza, per contro dell’operatore predetto, privo di concessione e che non risulta sia stato illegittimamente escluso dalle gare per l’aggiudicazione delle concessioni per l’esercizio dell’attività di raccolta delle scommesse; dall’altra, aveva anche messo a disposizione il proprio conto gioco effettuando una vera e propria autonoma raccolta diretta di scommesse.

Manifestamente infondata è anche la doglianza diretta a censurare la motivazione in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo, anche in relazione all’asserito errore provocato da una normativa ritenuta e oscura. Non emerge una situazione di ignoranza inevitabile, atteso che, in caso di dubbio, gravava un obbligo rigoroso di informazione, trattandosi di soggetto che svolgeva professionalmente un’attività commerciale, quale l’intermediazione in tema di giochi e scommesse. In un caso del genere, come chiarito da questa Corte nel suo più alto consesso, il “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia, è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994 – dep. 18/07/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv. 197885).

Di conseguenza, chi intende svolgere una data attività commerciale è gravato dell’obbligo di acquisire preventivamente informazioni circa la specifica normativa applicabile in quel settore, sicché, qualora deduca la propria buona fede, non può limitarsi ad affermare l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma, la quale non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva d’ignoranza inevitabile della legge penale. Al contrario, il dubbio sulla liceità o meno della condotta deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento fino cioè, secondo quanto affermato dalla sentenza 364 del 1988 della Corte costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità (Sez. 2^, n. 46669 del 23/11/2011, Rv. 252197).

L’imputato risulta, in assenza della prescritta autorizzazione ex art. 88 TULPS, avere deliberatamente esercitato l’attività di raccolta e di scommesse a distanza per conto di un operatore straniero, parimenti sprovvisto della necessaria concessione amministrativa, ciò che integra gli estremi del dolo richiesto dalla fattispecie in esame, essendo ravvisabile non una situazione di errore inescusabile, per i motivi dinanzi indicati, ma di errore (colpevole) sul precetto, che non ha efficacia  scusante. A ciò si aggiunge l’ulteriore attività illecita svolta in piena autonomia, pure rinvenuta dalla Corte di appello. 

Quanto alla speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. – applicabile, ai sensi del comma 1, ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta – è corretta l’esclusione alla luce del regime sanzionatorio previsto e applicabile attualmente per cui per il reato in esame è prevista a seguito di novella del 2019 la pena della reclusione da tre a sei anni e la multa da 20.000 a 50.000 euro.

Va ricordato che la contravvenzione di intermediazione abusiva di scommesse di cui all’art. 4, comma 4-bis, legge 13 dicembre 1989, n. 401, pur essendo un reato eventualmente abituale ed eventualmente permanente, in quanto può essere integrata sia da un unico comportamento, sia da una pluralità di condotte dello stesso tipo ripetute nel tempo, sia da un’attività criminosa che si protrae ininterrottamente, ha natura giuridica di reato unico, sicché, anche in caso di condotte reiterate o continuative, la sua consumazione è unitaria e si verifica al momento della commissione dell’ultimo atto espressivo dell’attività organizzata per l’accettazione o la raccolta di scommesse. (Sez. 3, n. 40858 del 11/09/2024, Rv. 287158 – 01). Al momento della commissione ultima, quindi, del reato, di cui era piena la consapevolezza della relativa previsione anche sul piano sanzionatorio, e che lo stesso ricorrente riconosce avvenuta dopo l’entrata in vigore del sopravvenuto e più grave trattamento sanzionatorio ex art. 27 del DL n. 4/219, era quest’ultimo il regime al riguardo applicabile, come tale ostativo, in punto di limiti di pena previsti, all’applicazione della fattispecie invocata.

Quanto alla contestata determinazione del nuovo regime sanzionatorio, occorre nuovamente richiamare quanto precisato dalla Suprema Corte, per cui il reato di cui all’art. 4, comma 4 bis, della legge 13 dicembre 1989 n. 401 (svolgimento di attività organizzata per la accettazione e raccolta anche per via telefonica e telematica di scommesse o per favorire tali condotte) risulta integrato da qualsiasi attività, comunque organizzata, attraverso la quale si eserciti, in assenza di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’art. 88 R. D. 18 giugno 1931 n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), una funzione intermediatrice in favore di un gestore di scommesse, a nulla rilevando l’esistenza di abilitazione in capo al gestore stesso. In ordine a tale fattispecie penale, in particolare, le Sezioni unite penali hanno evidenziato che le disposizioni di cui al citato art. 4 non sono in contrasto con i principi comunitari della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione europea, atteso che la normativa nazionale persegue finalità di controllo per motivi di ordine pubblico idonee a giustificare le restrizioni nazionali ai citati principi comunitari (conf. Cass. Sez. Un. 26 aprile 2004, dep. 18 maggio 2004 n. 23272, Poce e n. 23273, Gesualdi ed altri, non massimate, Sez. U, n. 23271 del 26/04/2004, Corsi, Rv. 227726 01).

Dunque, non è sostenibile, come si rinviene in ricorso, che il reato in esame non sia volto alla tutela dell’ordine di pubblico e che per questa via possa emergere una irragionevolezza nel nuovo regime sanzionatorio al riguardo stabilito.

La funzionalità plurima della fattispecie, rispetto ad esigenze di sicurezza e ordine pubblico, lascia comprendere come non sia enucleabile alcun profilo di irragionevolezza nella determinazione del trattamento sanzionatorio che, al contrario, è frutto della libera quanto ragionevole e proporzionata scelta del Legislatore rispetto ad una cornice edittale, invero non eccessiva in sé e che non appare disconnessa dalla rilevanza della peculiare tematica, proprio alla luce dei valori tutelati.

Tanto precisato, il ricorso, inammissibile, si pone nel quadro di consolidati quanto chiari indirizzi giurisprudenziali, anche convenzionali, che innanzitutto non giustificano alcun rimando a decisioni della Corte di Giustizia. Trattandosi peraltro di un ricorso le cui tematiche, come anche risolte da questa Corte più volte, appaiono in linea con i principi costituzionali, come pure già affermato in alcune sentenze di legittimità citate, non emergono ragioni giustificative di alcuna rimessione al giudice delle leggi. Tanto più a fronte di deduzioni assolutamente generiche, prive di puntuali analisi di eventuali contrasti con previsioni costituzionali, a partire dai profili di rilevanza delle stesse rispetto al caso concreto, posto che, come già rilevato, non emerge alcuna concreta discriminazione o ingiustificato aggravio a carico di alcuno degli attori della vicenda. Del tutto eccentriche rispetto al presente ricorso per cassazione, per come del tutto infondato, appaiono altresì le richieste di disapplicazione di norme, come anche il vizio di eccesso di potere, pure citato, tipicamente amministrativo, e infine le istanze di assunzione di mezzi istruttori, tipiche al più di un giudizio di merito e invece negligentemente proposte in questa sede.

Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.