Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 29381/2025, 8 luglio/8 agosto 2025, ha escluso l’abnormità del provvedimento del GIP presso il Tribunale per i minorenni che rigetta la richiesta di giudizio immediato del PM sul presupposto che lo stesso pregiudicherebbe gravemente le esigenze educative del minore.
Provvedimento impugnato
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello impugna l’ordinanza in data 19/11/2024 del GIP del Tribunale per i Minorenni, che ha rigettato la richiesta di giudizio immediato avanzata dal PM nei confronti dei minorenni indicati in epigrafe, in relazione al reato di rapina.
Ricorso per cassazione
Il PG deduce in primo luogo l’erronea applicazione della legge.
Premette che la sua richiesta di giudizio immediato è stata rigettata perché il GIP ha ritenuto che fosse di ostacolo al suo accoglimento quanto disposto dall’art. 25, comma 2-ter, d.P.R. n. 448 del 1988, che inibisce al PM di richiedere tale rito nei casi in cui esso pregiudichi gravemente le esigenze educative del minore. Aggiunge che nel provvedimento impugnato si afferma che la richiesta non contiene alcuna valutazione in merito, né tale valutazione può essere svolta dal GIP in quanto non risultavano acquisite informazioni ai sensi dell’art. 9 del d.P.R. n. 448 del 1988.
Il ricorrente denuncia, inoltre, l’omessa motivazione circa la sussistenza di un grave pregiudizio per il minore nel caso di celebrazione del processo nelle forme del giudizio immediato; sostiene, inoltre, che lo stesso GIP avrebbe potuto attivare le indagini di cui all’art. 9 del d.P.R. n. 448 del 1988. Osserva, ancora, che l’art. 25 d.P.R. n. 448 del 1988, quando ha ritenuto che fosse necessaria l’acquisizione delle informazioni di che trattasi, lo ha puntualmente disposto, come nel caso del giudizio direttissimo.
Conclude, dunque, osservando che il provvedimento impugnato patisce un’erronea applicazione della legge penale in relazione a tre aspetti:- nel mancato riconoscimento al giudice di un’autonoma possibilità di acquisire le informazioni di cui all’art. 9 d.P.R. 448 del 1988;- nell’attribuzione all’art. 9 d.P.R. n. 488 del 1988 di un inedito e non codificato presupposto per l’ammissibilità del giudizio immediato, che viene ricollegato al comma 2-ter dell’art. 25 d.P.R. n. 448/1988;- nel cagionare un’indebita regressione del procedimento, con conseguente pregiudizio dei principi fondamentali del diritto processuale minorile.
Decisione della Suprema Corte
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché l’ordinanza impugnata non è ricorribile per cassazione (si veda Sez. 6, n. 1701 del 07.05.1999, rv. 214323) e non è neanche viziata da abnormità.
Le Sezioni unite penali, già con la sentenza “Toni” (n. 25957 del 26/03/2009, Rv. 243590-01) hanno individuato due ipotesi di abnormità, una di carattere strutturale e l’altra di carattere funzionale.
L’abnormità strutturale è stata individuata nel caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge (carenza di potere in concreto). L’abnormità funzionale è stata individuata nelle ipotesi in cui il provvedimento provochi una stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, vale a dire nel caso in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo.
Nel caso in esame non si rinviene nessuna di tali ipotesi di abnormità.
Non si rinviene l’abnormità strutturale, in quanto il provvedimento è stato pronunciato dal giudice nell’ambito dei poteri attribuitigli dall’ordinamento e senza alcuna deviazione dal modello processuale previsto dalla legge, visto che rientra nel doveroso compito del GIP verificare la sussistenza dei presupposti richiesti per disporre il giudizio immediato, potendo, in caso contrario, rigettare la richiesta.
Vale la pena ricordare che esiste un raccordo tra il procedimento penale ordinario e quello minorile, per come è stato spiegato dalle Sezioni unite con la sentenza “De Tommasi” (n. 37 del 25/10/1995, Rv. 202857-01) che, in motivazione, ha osservato che il processo minorile non integra un sistema chiuso e del tutto autonomo, ma, al contrario, esso accoglie la disciplina processuale ordinaria, atteso che il rapporto tra il processo minorile e quello ordinario poggia sul principio di sussidiarietà del rito ordinario. Con la precisazione che il principio di sussidiarietà della disciplina del rito ordinario nel procedimento minorile non opera soltanto quando vi sia una espressa esclusione, quando vi sia un’incompatibilità della disciplina contenuta nel procedimento minorile con quella del procedimento ordinario e quando vi sia una diversa regolamentazione di determinati istituti processuali da parte del d.P.R. n. 448/1988.
Tanto porta a concludere che le norme sul giudizio immediato contenute nel d.P.R. n. 448 del 1988 non vanno lette isolatamente, ma in raccordo con le norme fissate nel codice di procedura per tale rito alternativo e, in particolare, per quello che qui interessa, in combinazione con l’art. 455, comma 1, cod. proc. pen., che dispone che il giudice, nel decidere sulla richiesta del pubblico ministero, o emette il decreto di giudizio immediato o lo rigetta.
Il potere legislativamente riconosciuto al GIP di rigettare la richiesta di giudizio immediato mostra come sia preciso compito del giudice verificare che la richiesta sia accompagnata dai requisiti richiesti dal legislatore per la celebrazione del processo con le forme del giudizio immediato, e, in particolare, che il pubblico ministero non abbia violato il divieto posto dall’art. 25, comma 2-ter, cod. proc. pen., che così recita: «il pubblico ministero non può […] richiedere il giudizio immediato nei casi in cui ciò pregiudichi gravemente le esigenze educative del minore».
In forza di tale disposto normativo, il GIP del tribunale era doverosamente tenuto a verificare che la richiesta di giudizio immediato, così come avanzata dal pubblico ministero, non violasse il divieto sancito dall’art. 25, comma 2-ter cod. proc. pen. Ne consegue che manca in radice ogni possibilità di ritenere configurata un’ipotesi di abnormità strutturale, atteso che il GIP ha esercitato una prerogativa riconosciutagli dalla legge.
Parimenti, non può ritenersi configurata un’ipotesi di abnormità funzionale. Il pubblico ministero si duole del fatto che il provvedimento del GIP ha provocato una regressione del procedimento e un suo rallentamento. Vale la pena ribadire, allora, che la regressione e/o il rallentamento non rientrano nella nozione di stasi processuale, poiché con questa espressione si fa riferimento a una vera e propria paralisi del procedimento, che non potrebbe avanzare se non in forza dell’intervento della Corte di cassazione, che rimuove l’atto paralizzante con il suo annullamento. Solo in siffatta ipotesi il pubblico ministero può ricorrere per cassazione lamentando che il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarità del processo; negli altri casi egli è invece tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice. Invero, quando l’atto del giudice è espressione di un potere riconosciutogli dall’ordinamento, si è in presenza di un regresso “consentito”, anche se i presupposti che ne legittimano l’emanazione siano stati ritenuti sussistenti in modo errato. In tale ipotesi, non importa che il potere sia stato male esercitato, giacché in tal caso esso sfocia in atto illegittimo, ma non in un atto abnorme.
L’inoppugnabilità del provvedimento di rigetto della richiesta di giudizio immediato rendono non scrutinabili le argomentazioni con cui il pubblico ministero ha denunciato il vizio di violazione di legge. Da ciò consegue che l’assenza di profili di abnormità conduce necessariamente all’inammissibilità del ricorso.
